Belloli precursore della poesia visuale e concreta  
conversazione con Carlo Belloli
a cura di Anna Guillot

Milano, 1997
ISISUF

“Il testo-poema di Belloli anticipa quel linguaggio di parole-segnali collocate nella rete comunicante di una civiltà matematica che dovrà riconoscersi nell’economia del colloquio dei gesti delle emozioni.

Anche un monosillabo potrà costituire uno spettacolo fonetico compiutamente comunicante.

Belloli ha realizzato una nuova operazione estetica con la quale il Futurismo rinnoverà il suo linguaggio di essenzialità poetica […]. La poesia di Belloli è il futuro del Futurismo.”

Filippo Tommaso Marinetti, 1944.

 

Carlo Belloli, Anna Guillot, ISISUF, Milano 1997

Anna Guillot: Ci troviamo a Milano nella sede dell’ISISUF Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo da lei fondato nel 1959 assieme a Giovanni Acquaviva, Cesare Andreoni, Alessandro Bruschetti, Tullio Crali, Pino Masnata, Bruno Munari e Agnoldomenico Pica. Proprio nell’anno che celebrava il primo cinquantenario della nascita del Futurismo, deste vita ad una fondazione permanente di studi su quello che è stato il primo movimento di avanguardia artistica nazionale. Lei è tuttora Conservatore dell’Istituto. Oltre ai nomi citati, quali figure delle avanguardie storiche ha conosciuto e frequentato?

Carlo Belloli: Filippo Tommaso Marinetti, Paolo Buzzi, Francesco Cangiullo, Armando Mazza, Tullio d’Albisola, Ezra Pound, Hanri-Martin Barzun, Pierre Albert-Birot, Tristan Tzara, Jean Arp, Blaise Cendrars, Roul Hausmann, Claire Goll, Paulo Menotti del Picchia, Guilherme de Almeida, Raoul Bopp, João Cabral de Melo Neto, Michel Seuphor. E tra i poeti siciliani Vann’Antò, Luciano Nicastro e Bartolo Cattafi.

 

AG: Lei è stato molto vicino al poeta e critico siciliano Luciano Nicastro, cofondatore della rivista d’avanguardia “La Balza Futurista” pubblicata a Messina nel 1919. Mi dica di Nicastro e del suo contributo alla critica letteraria del Novecento.

CB: Nicastro fu un grande amico. Ci frequentammo a Milano per più di 30 anni. Dedicò alla mia poesia saggi fondamentali, analisi determinanti. Mi fece incontrare Francesco Flora con il quale aveva pubblicato la “Storia della letteratura italiana: il Novecento”. Debbo a Flora la presentazione del mio primo libro d’artista, gabbianoteca/un poema galleggiante esposto nel ’52 al Circolo filologico milanese di via Clerici. Si trattava di un esemplare unico, manoscritto su fogli di sughero laminato che anticiperà le pratiche di quei libri d’artista e di quelle pagine d’autore che si affermeranno solamente nella seconda metà degli anni Settanta. 

Carlo Belloli, Testi + pre-testi visuali, 1976
(cartella editata per la collana ‘Il punto’: collezione di letteratura avanzata diretta da Luciano Nicastro, Franca Guidacci e Alessandra Pignatelli d’Aragona)

AG: Belloli, lei è il primo teorico della Poesia visuale ufficializzata a Milano nel 1943 con la pubblicazione di poemi raccolti da Marinetti nel numero unico Futuristi in Armi, poi selezionati nella brossura parole per la guerra, pure stampata da Futuristi in Armi. Nel corso dell’intervista rilasciata a Jaques Donguy[1] il 26 maggio 1992 lei si dice convinto di aver anticipato la poesia visuale e concreta del secondo dopoguerra ricordando che alcuni dei suoi testi-poemi murali «peuvent être considerés comme anticipateurs de la poésie concrète. Mais c’est Bimba Bomba que la critique internationale a considéré comme l’incunable de la poésie concrète.“ E infatti è proprio Bimba Bomba che la critica internazionale ha considerato gli incunaboli – o addirittura i paleotipi – della poesia concreta e come tali li ritiene oggetto di attenzione e di studio.

Mi piacerebbe parlare della poesia visuale intesa come sintesi di parole-chiave, ovvero di un momento della ricerca sulla e con la scrittura, maturato tra la prima e la seconda metà del Novecento, momento che in tempi più recenti mi vede concettualmente presente come artista. Nel mio caso interi cicli di opere degli anni Ottanta altro non sono che tessiture grafiche di testo agite attraverso l’utilizzo di una sola parola, la reiterazione ad libitum di una, massimo due parole. Un particolare modo di intendere la sintesi, addirittura orientandola verso l’apparente vanificazione semantica di elementi verbali selezionati e con funzione di parole-chiave. A questo ciclo apparteneva la mia ‘poesia mimetica’ e lavori come Monocorde, A libitum, Continuum-contiguus.

 

CB: Certo, ritengo questa sua ricerca in linea con il presupposto della poesia visuale, direi anzi che ne costituisce una variante singolare.

Nella chiosa teorica ai miei testi-poemi murali, pubblicati a Milano nel ’44, avevo scritto: “parole da vedere prima di leggerne il senso, da ripetere a tempi precisi per vederne l’interno processo poematico […]”, e concludevo “[…] solo nuda architettura verbale, dinamica nella sua inedita distribuzione spaziale, totalmente ottica nel suo decorso strutturale tipografico”. Per poi ammonire: “vedere diventerà più necessario di ascoltare”. Fu la mia profezia della poesia nuova che nel 1994 ha celebrato il mezzo secolo di conquiste espressive rivoluzionarie.

Carlo Belloli, Testi + pre-testi visuali, 1976
(cartella editata per la collana ‘Il punto’: collezione di letteratura avanzata diretta da Luciano Nicastro, Franca Guidacci e Alessandra Pignatelli d’Aragona)

 

AG: In Italia quali poeti hanno seguito il movimento?

CB: Pino Masnata e Antonino Tullier verso il ’60, Giovanni Acquaviva, Adriano Spatola, Patrizia Vicinelli, Maurizio Nannucci subito dopo, sino ad arrivare all’ondata degli anni Sessanta con operatori più attratti dalla nuova tecnica che richiamati dalla congenialità espressiva e dal parallelismo delle scelte spirituali.

 

AG: La poesia visuale e concreta è stata sino ad oggi studiata con rigore metodologico o provvisoriamente non abbastanza attenzionata e, come da qualche parte è stato detto, “situata tra storia e leggenda”?

CB: Pur nella vasta letteratura critica dedicata alla poesia visuale e concreta non mi risultano analisi pienamente esaurienti di questa operatività persino situata, con temeraria baldanza, alla soglia del Postmoderno. Nella poesia visuale e in quella concreta non appaiono sollecitazioni postmoderne. Non esiste un postmodernismo nelle migliori pratiche attuali di questa tendenza, masi presenta un nuovo futuro espressivo. Invece della postavanguardia i poeti visuali e concreti affermano una neosperimentalità ideativa di totale impegno microverbale delle strutture semantiche e di sintesi ottica esemplare del raccordo tipografico.

 

AG: Come vede, Belloli, il futuro della poesia visuale?

CC: La poesia visuale si sta sempre maggiormente orientando verso l’interdisciplinarità estetica. I versi si spazializzeranno in strutture cromoverbali mentre si proietteranno brevi poemi-messaggio negli spazi interni dell’habitat quotidiano. Spettacoli di lettere dinamicamente impaginate condurranno a parole ineffabili, a conflitti semantici inediti, a epurati calembours dialogati. Nascerà una poesia ambientale di cadenza visuale funzionalista scritta con tubi al neon e lampade alogene cromescenti. Sarà il Duemila dei costruttori di poesia multimediale videoprogrammata.

Carlo Belloli, ISISUF, Milano 1997

 

AG: Le edizioni Morra avevano pubblicato a Napoli nel ’91 il suo poema di viaggio/reversibile dispiegabile appendibile che ha aperto nuove possibilità visuali alla poesia concretista. È prevista una seconda edizione di questo curioso poema-oggetto oggi introvabile nelle librerie?

CC: Mi auguro una prossima ristampa del poema di viaggio che l’editore Morra esaurì in pochi mesi, prima di effettuarne una distribuzione nazionale.

Al momento una copia è qui per il suo archivio.

 

AG: Le sono grata, Belloli, sarà un esemplare importante per il mio progetto in fieri di un archivio di libri e multipli d’artista dal nome palindromo, “Koobook”, che nascerà a Catania, nel quale peraltro la sezione relativa alla ricerca sulla ‘poesia da vedere’ – visuale e concreta, visiva o tecnologica, fonetica e performativa – sarà particolarmente ricca per via dei rapporti diretti con alcuni dei rispettivi protagonisti: Mirella Bentivoglio, Arrigo Lora-Totino, Eugenio Miccini, Lamberto Pignotti, Lucia Marcucci, Giovanni Fontana, Giuseppe Chiari, Luciano Caruso ed altri. La raccolta nascerà proprio grazie a scambi di materiali, lavoro comune, collaborazioni in atto e in crescita.

Ma torniamo alla sua poesia visuale e concreta.

Nel ’94 ha avuto luogo il cinquantenario della poesia visuale e concreta promossa dai suoi poemi pubblicati nel 1943-’44. Quali eventi hanno accompagnato la ricorrenza?

CB: Non mi sono preoccupato di organizzare celebrazioni. Mi sono solamente stati richiesti testi-poemi inediti dalla rivista “Lettera” di Torino, portavoce dell’Istituto Alvar Aalto Museo dell’Architettura moderna e contemporanea, che ha voluto dedicare un numero speciale alla mia poesia di ricerca, mente la nostra conversazione, qualora venisse pubblicata, potrà ricordare il mezzo secolo di vita della poesia visuale e concreta che avevo ideato a Milano negli anni Quaranta.

 

AG: A chiusura della nostra conversazione, vorrei chiederle qualcosa che in senso stretto esula da quanto detto finora.

Qual è il suo punto di vista, Belloli, sulle modalità di conduzione del lavoro, quando questo si svolge su piani molteplici e diversificati? Precisamente: come vede la pluridirezionalità dell’impegno da parte di un artista? Lei è impegnato su piani diversi. Come fondatore e conservatore dell’l’ISISUF, come teorico e critico, come artista visivo e poeta. Nel mio ambito ridimensionato, articolo anch’io in più direzioni la mia progettualità.

CB: Conosco la pluralità dei suoi orientamenti, anche estetici, Guillot.

Quando tale molteplicità non si manifesta in contraddizioni, segnala piuttosto attrazioni, assumendo tendenze inedite della interdisciplinarità comunicazionale […]. Nelle proposizioni volumetriche – mi riferisco alla sua installazione Less is More. Attualità di Mies del ’93 e agli oggetti-scultura degli anni Settanta – è asserita l’inverazione di Mies van der Rohe il quale dematerializzava le strutture in trionfi di luce, in cesurati intervalli di tempo, in sottese musicalità di spazio. L’intero processo che sembrava estraneo ai suoi precedenti interessi descritturali è legittimato.

Quando la ricerca non si esaurisce in variazioni sullo stesso tema, si è liberi di concepire l’unità dell’universo con diversità di affermazioni atte a non considerarlo sistema chiuso.

[1]Poeta, traduttore e critico, Jaques Donguy (Parigi, 1943) studia e introduce in Francia la sperimentazione visual-sonora e la poesia concreta, dal 1953 (Gomringer e de Campos) fino ai movimenti dell’attuale poesia digitale e sonora.

 

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