Un’emergenza eretica e sorridente. Ghen Arte e Architettura: L’asse Dòdaro-Miglietta nel “Diariocinque” di Fernando Miglietta con Bruno Zevi
by Francesco Aprile
Il libro: Fernando Miglietta, Diariocinque con Bruno Zevi. Architettura e Libertà, Roma, Gangemi Editore, luglio 2023
L’archivio, in modo particolare quello d’artista, pone in essere domande e procedure tali da mettere in discussione, alle volte, spazi fisici e mentali: come pensiamo, come organizziamo, come suddividiamo i materiali? Lo sguardo sull’archivio è, anche, sguardo sul mondo, sebbene la concezione stessa dell’archiviare possa corrispondere a processi di parcellizzazione, individuando nicchie e micronicchie tali da iperspecializzazre lo sguardo, distogliendolo, forse, dall’insieme; ma proprio quando sembra che la settorialità di un discorso possa allontanare l’archivio dalla sua dimensione-mondo, è proprio lì che inizia la messa in discussione, la costruzione dei possibili che abitano l’esistenza, proprio nelle domande e nelle questioni di metodo, di sguardo, di prospettiva, l’ossessione per la costruzione si muove dalla fissità di un discorso, che lo si vorrebbe dato e definitivo, per giungere alla pratica dell’aggiornamento continuo, perché la costituzione di un archivio è messa in discussione in quanto l’archivio stesso si pone come ente dinamico, sottoposto all’impegno continuo dell’aggiornamento, alla costruzione di una memoria che è temporalizzazione, dunque processo. La memoria è quel fatto che risponde al bisogno di raccogliere testimonianze, concorre alla necessità di una produzione storica non lineare, che affranca la memoria dall’egemonia dei vincitori e dei vinti, costruendo prospettive plurime su fatti e produzioni che vincono la suggestione statuaria dei canoni, favorendo l’emergere di punti di rottura e incontro; in questo caso, l’archivio mette l’arista davanti alla costruzione di uno spazio-tempo vissuto e rivissuto, fornendo una progettualità in progress che apre la temporalità sul suo farsi, facendola passare da una storicità cronologica a una rizomatica, fatta di legami, contesti, pratiche, anche marginali, che mostrano oltre al già “stato” anche il possibile. Di fatto, l’archivio si dà come finestra sul tempo e sul processo e l’artista è lì a stabilire distanze e immersioni: ora si stacca dal suo lavoro, interrompendolo per operare d’archivio, ora immergendosi, rivivendo in forme nuove, attraverso il confronto, il dipanarsi di una o più storie che tornano a darsi come svolgimento, processo, possibilità.
In quest’ottica vive l’Archivio Miglietta, dell’architetto, artista e teorico dell’arte Fernando Miglietta che, nel suo lavoro di riorganizzazione e documentazione del suo archivio d’artista, ha avviato la pubblicazione di una serie di “diari” che lo vedono coinvolto, fra corrispondenze e progetti vari, dagli anni Settanta in poi, con alcuni dei nomi più importanti della ricerca artistica internazionale (Pierre Restany, Bruno Munari, Bruno Zevi ecc.).
Miglietta racconta l’incontro con Bruno Zevi, a Roma a Valle Giulia nel ’68, ad architettura, un incontro caratterizzato dall’emergere della personalità di Zevi, definita come “creativa e dissonante”, in un contesto culturale dove iniziava ad emergere con sempre più forza il sogno dell’autonomia “dai poteri accademici, il pensiero critico, la democrazia, il socialismo, la libertà, la rivoluzione. L’università era il contrario […] una struttura chiusa”. Il punto di incontro vero e proprio, quello che diede avvio a un intenso rapporto di amicizia, è da rintracciare nel Movimento di Arte Genetica, fondato da Francesco Saverio Dòdaro nel 1976 (per un approfondimento: https://www.utsanga.it/40ghen/) al quale Miglietta aveva aderito e al cui interno aveva lanciato, con Dòdaro, co-firmandolo, il manifesto dell’architettura genetica “Matram Psicofisica. Incliniamo l’orizzonte” nel 1978. Da ciò, Zevi rimase colpito, sottolineando “il carattere rivoluzionario e l’essere critico di tutto, compreso la sua breve e travagliata esistenza” scriveva su Repubblica nel ’78: “GHEN, movimento anti-estetico, elitario nella difficile terminologia usata, rivoluzionario e vivace, critico di tutto, compresa la sua breve e travagliata esistenza, è per metà aggressivo come un futurista, per metà naif, seppure come il Doganiere Rousseau”.
La storia di Miglietta è artisticamente intrigante, intrisa di legami importanti; l’incontro con Dòdaro avviene grazie alla mostra personale dell’architetto-artista “La traccia, il segno il segnale”, tenuta a Lecce nel 1976 con presentazione critica di Bruno Munari (il quale aveva coniato anche il titolo della mostra) ed Enrico Crispolti, una storia che si intreccia, poi, con il movimento di arte genetica dòdariano dove, assieme a Dòdaro e Miglietta, figureranno, fra gli altri Franco Gelli, Giovanni Valentini, Rolando Mignani, Enzo Miglietta, Michele Perfetti, Amelia Etlinger, Vanna Nicolotti, Luciano Caruso, Vittorio Tolu, Klaus Groh, Bruno Munari, Luca Maria Patella, Parisi, Rotella ecc. (per una ricognizione più ampia: https://www.utsanga.it/40ghen/). Al centro dell’architettura genetica, che trova ampio spazio in questo diario con Bruno Zevi, troviamo l’analisi su quelle che sono le relazioni il primo habitat dell’individuo, il ventre materno, e le successive modalità abitative dell’uomo ormai lanciato nel mondo, le relazioni fra queste e lo sviluppo del soggetto, e una accurata indagine dello spazio abitativo e degli spazi pubblici (scuole ecc.; a tal proposito si ricorda l’importate progetto della scuola materna a Commenda di Rende avviato nel 1979 da Fernando Miglietta con la partecipazione e i contributi di personalità di spicco del panorama internazionale fra i quali lo stesso Dòdaro, ma anche Arturo Carmassi, Eugenio Carmi, Riccardo Dalisi, Antonio Davide, Fabio De Poli, Enzo Mari, Sergio Miglietta, Bruno Munari, Ico Parisi, Luca Maria Patella, Achille Perilli, Mimmo Rotella, Nunzio Solendo, Valeriano Trubbiani, Antonino Virduzzo, solo per citarne alcuni). Annodata la condizione abitativa alla spazialità primaria, il ventre materno, ciò che emerge dagli studi di Dòdaro e Miglietta è l’analisi delle modalità abitative contemporanee come messa in crisi del soggetto, alla luce di ciò si rendeva necessario, per i due teorici, il ribaltamento-inclinamento dell’orizzonte verso prospettive di accudimento-accoglimento del soggetto ricondotto in un habitat orientato verso uno sviluppo quanto più possibile attento al senso della spazialità primaria.
Scrive Miglietta che “un confronto serrato fra me e Dòdaro, in maniera ininterrotta dal 31/1 al 14/2 del 1978, segnò il 14 febbraio a Lecce la nascita del Movimento Architettura Genetica con la stesura del Manifesto all’insegna di Incliniamo l’orizzonte – per una Matram psicofisica. Firmato a quattro mani il manifesto TEK GENETICA fu pubblicato sul numero di Ghen del giugno 1978. […] Auspicavamo la diagonalità, ossia la trasversalità del pensiero contro ogni orizzontalità e verticalità della cultura, della società e della politica”.
Questo diario, però, non ha solo il merito di riportare alla luce l’amicizia e la collaborazione fra Miglietta e Zevi, permette l’emergere di tutta una serie, interessantissima, di documenti legati, spesso, all’arte e all’architettura genetica con firme prestigiose, alcune già citate, altre ancora sottolineavano come si trattasse “di inizio di una nuova progettazione intesa come fatto corale e di un importante esempio di integrazione delle arti” (Ico Parisi), oppure “di architettura esistenziale nella prospettiva utopistica” (Pierre Restany) e “tra le cose più significative dell’architettura degli ultimi anni” (Filiberto Menna) o, ancora, uno “spazio multidimensionale che produce bellezza estetica delle forme quasi vicino alla perfezione nel connubio tra arte e architettura” (J. Thackara) e, per concludere con Bruno Zevi (L’Espresso, Roma 1986), l’asilo di Rende è un “Asilo da favola, l’esempio di Rende contesta l’edilizia standardizzata ed elabora strumenti metodologici nuovi, respingendo il tradizionale ruolo di parcheggio dei bambini e la cultura dell’indifferenza nella dialettica tra contesto e formazione psichica. È un esperimento originale in cui gli apporti collettivi sono magistralmente orchestrati. Sfocia in una realtà pedagogica alternativa che si misura nel quotidiano con i propri utenti. Inoltre spezza l’anonimità paesaggistica con un’emergenza eretica e sorridente”.