Lingua e libertà
by Kiki Franceschi
La libertà si manifesta nella sua pienezza nel linguaggio che è alla base di ogni rivoluzione, intesa come impulso ad andare oltre, a procedere, a costruire. Le dittature piegano la lingua ai loro destini. George Orwell in 1984 puntualizzò con amara ironia questo destino nelle note sulla Neolingua. Alla base di ogni rivoluzione è la ricerca del linguaggio che ne deriva e che la determina. Si scopre allora che ogni innovazione s’innesta sempre su una tradizione culturale perché l’artista osserva e ripensa di continuo al passato e al presente ed è da questo suo ripensamento, rimuginamento, ruminamento che egli inizia la sua personale proposizione. Osservando il percorso dell’avventura poetica che è venuta segnando i secoli riscopre i perché, ritrova i suoi padri. Soprattutto il poeta d’avanguardia, o almeno quel poeta il cui percorso appare innovativo e azzardato. Esiste una tradizione letterario-visiva-sonora trascurata nella sua natura iconico-linguistica sonora, che costituisce un genere a sé nell’ambito della letteratura, una produzione poetica dove il gioco e l’arte s’intrecciano, s’incontrano in motivazioni profonde che vanno interpretate dalla radice dell’impulso all’intenzione dell’atto. Gioco ed arte sono uniti nel carme figurato, nei techopaegna medievali, nei calligrammi su su fino ad arrivare ai calligrammi di Apollinaire, alle sperimentazioni poetiche e musicate di Ginsberg. Gioco ed arte liberano l’artista dalla necessità di raccontare, stimolano il suo ingegno, aguzzano il suo genio, coinvolgono il lettore nel divertimento dell’artificio, nell’inganno sottile, nell’ambiguità prodigiosa, nello slancio mistico talvolta. L’analisi da farsi non è solo visiva. Occorre risalire all’origine di quel impulso formale che va a ricercare l’espressione iconica come se la parola o il suono non fossero sufficienti alla estensione poetica. Certo è che dal medioevo in avanti si ha una folla di autori, Colonna, Marino, Boccaccio, Boiardo, Folengo Gongora, che con la poesia sonora e figurata raggiungono estremi di virtuosismo e di eleganza. Se i carmi figurati medievali sono pagine di lode cosmica del Liber Mundi, le opere moderne, nate da un mondo senza eternità e divino, sono auto-celebranti e testimoniano la necessità di sovvertimento, di rinnovamento del mondo dell’arte. È come se lo scrittore si ribellasse alla scrittura, ad un’immagine della scrittura fatta solo di linee rette. Infatti la linea retta è il solo effetto iconico che nasce dalla nostra scrittura ed è quello che la fa apparire più lineare di quanto non sia. Il fantasma del rigo nero che attraversa il foglio bianco è radicato profondamente nella coscienza della nostra scrittura alfabetizzata, tanto che la lingua appare composta da una linea di parole, una linea di suono che attraversa il silenzio. Ogni fatto grafico si adatta al supporto; così le linee di scrittura sono poste su di una pagina di quaderno o libro e formano un rettangolo nero su di un rettangolo bianco che non rappresenta altro che se stesso: un rettangolo nero su campo bianco. Ed è per questo che il poeta si preoccupa, si è preoccupato del supporto, del senso da dare all’immagine scritta, di una forma e di un suono che sposi il contenuto e lo rafforzi nella potenza evocativa, si perde nei silenzi e nei suoni della parola.. Quella parola nata chissà dove, che si è rotta, frantumata ed è andata formandone altre, all’infinito a significare altro. Ogni parola, ogni fonema è un’avventura, carica di emozioni, affascinante è il loro collidere e comporsi, tuttavia la poesia ha imparato oggi ad andare oltre, è gesto e profumo, è suono, è immagine aperta all’assoluto, sapida d’infinito.
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