I fluenti traslati di Arrigo Lora Totino
by Giovanni Fontana
In fluenti traslati (a cura di Giovanni Fontana, Fondazione Berardelli, Brescia; 14 aprile 2018 – 12 maggio 2018).
La poesia in gioco (Convegno su Arrigo Lora Totino, Milano, Accademia di Brera, con Renato Barilli, Paolo Brunati, Sandro De Alexandris, Pasquale Fameli, Giovanni Fontana, Lorena Giuranna, Luciana Lora Totino, Anna Mariani, Franco Marrocco, Gabriele Perretta, Patrizia Serra, William Xerra; 8 maggio 2018).
Una grande mostra (circa duecentocinquanta opere, pubblicazioni e documenti) e un articolato convegno hanno consentito di ripercorrere l’attività artistica di Arrigo Lora Totino nell’intero arco della sua vita, partendo dai primi esperimenti pittorici fino alle sue ultime prove poetiche. A poco più di un anno dalla sua scomparsa, passata quasi inosservata al grande pubblico, era necessario sottolineare l’importanza di uno dei più grandi maestri della poesia concreta e sonora, tracciandone un ritratto dettagliato che mettesse bene in evidenza la multiformità della sua opera.
La mostra allestita alla Fondazione Berardelli di Brescia si deve all’impegno di Paolo e Pietro Berardelli, attenti collezionisti che hanno raccolto per anni le opere dell’artista; il convegno invece si deve all’Accademia di Belle Arti di Brera, rientra nel progetto didattico Impermanenze, a cura di Chiara Giorgetti, ed è coordinato da Margherita Labbe. L’incontro, presentato da Anna Mariani e da Gabriele Perretta, ha raccolto testimonianze di storici, artisti e collezionisti che hanno condiviso esperienze con Arrigo Lora Totino in tempi e momenti diversi del suo lungo percorso, al fine di comporre una memoria dell’artista e del suo lascito al di là della semplice commemorazione.
Arrigo Lora Totino ha rappresentato la cerniera tra il Futurismo e la sperimentazione artistica del secondo novecento. Dopo i primi passi compiuti condividendo lo studio con Mario Merz, passando da forme neo-espressionistiche all’informale, fino all’optical art, taglia il suo primo traguardo fondamentale con la creazione, nel 1961, della rivista “Antipiugiù”, che si distingue immediatamente per l’originalità del carattere sperimentale e per l’apertura verso la poesia concreta internazionale, di cui diventa, nel giro di pochi anni, uno degli esponenti di spicco.
Segue l’esperienza di “Modulo”, rivista che esce in un solo numero, ma costituisce un pilastro nella carriera dell’artista per le relazioni che apre e per gli effetti che produce intorno al suo lavoro.
Fondamentale è il rapporto con Carlo Belloli, il primo in Italia a praticare modalità concrete con i suoi Testi-Poemi Murali, risalenti agli anni Quaranta, per i quali Filippo Tommaso Marinetti, “collaudatore” dell’opera, esprime grande entusiasmo. Belloli è colui che “ha intuito il futuro del futurismo”, scrive il patron del movimento, “i testi-poemi di Belloli sono parole nude essenziali allineate per cercare direzioni spaziali inventate. Con Belloli la poesia diventa visiva”.[i] Ma, senza dubbio, sono gli scambi con artisti del calibro di Augusto e Haroldo De Campos, Decio Pignatari, Eugene Gomringer, Heinz Gappmayr e, soprattutto, Franz Mon, che favoriscono l’ingresso di Arrigo Lora Totino nel singolare laboratorio internazionale del concretismo, che raccoglie culture differenti sotto il segno di un nuovo modo di concepire la parola e le sue relazioni sintattiche. La parola si carica del peso della propria rappresentazione; diventa oggetto grafico-tipografico che impone i suoi valori formali, anche al di là di quelli strettamente semantici; la configurazione bidimensionale o tridimensionale delle parole determina il senso dell’opera; la sintassi tradizionale è sostituita da un sistema strutturale di matrice geometrica (spaziale); la nozione di sequenza lineare è sostituita da quella di campo morfologico. La lettura scandita per gradi deve iscriversi nella visione simultanea della pagina di mallarmeana memoria.
Come specialista italiano della poesia concreta, si farà un buon nome, tanto da guadagnarsi l’incarico per la cura, con Dietrich Mahlow, della mostra Poesia concreta. Indirizzi visuali e fonetici alla Biennale di Venezia nel 1969. Di tale mostra sarà pubblicato un catalogo che si pone, almeno in Italia, come strumento basilare per la ricerca nel settore, tanto più che accanto alle opere di poeti concreti contemporanei vengono proposte significative testimonianze della produzione di artisti delle avanguardie storiche. Un aspetto importante di questa mostra è dovuto al fatto che non si pone in evidenza solo il dato visivo, bensì anche quello fonetico, mentre sovente, anche per la stessa volontà degli autori, si predilige l’aspetto visivo a quello sonoro, glissando su tutta una serie di possibilità espressive che trovano una diretta connessione con le tavole parolibere futuriste e con gli antecedenti concepiti in area Dada da autori come Raoul Haussmann, Kurt Schwitters o Hugo Ball. In questo contesto Arrigo Lora Totino propone un’ampia rassegna dei fatti e dei protagonisti della poesia fonica, soffermandosi su importanti manifesti, come La declamazione dinamica e sinottica[ii] di Marinetti (1916), che terrà in grande considerazione in tutta la sua carriera, o come L’onomalingua, verbalizzazione astratta di Fortunato Depero. Nel saggio Poesia da ascoltare,[iii] che costituisce il fulcro del catalogo, riprende quasi tutti i punti del manifesto marinettiano, commentando che “La precisione tecnica di queste istruzioni non permette dubbi sulla retta impostazione del problema della strumentazione fonica presso i futuristi”.[iv] Marinetti, infatti, sorprende per le sue innovazioni che investono finalmente un settore trascurato negli ambiti di ricerca: quello della lettura di testi poetici, finallora affidato a stucchevoli “fini dicitori” da salotto, secondo una tradizione ampiamente praticata per tutto l’Ottocento. Il declamatore del futuro dovrà disumanizzare completamente la voce, metallizzarla, liquefarla, vegetalizzarla, pietrificarla ed elettrizzarla, fondendola colle vibrazioni stesse della materia, dovrà avere una gesticolazione geometrica, “disegnante e topografica che sinteticamente crei nell’aria dei cubi, dei coni, delle spirali, delle ellissi”, dovrà “spostarsi nei differenti punti della sala, con maggiore o minore rapidità correndo o camminando lentamente, facendo così collaborare il movimento del proprio corpo allo sparpagliamento delle parole in libertà”, dovrà “essere un inventore e un creatore instancabile”.[v]
Ma, andando al di là del mero valore visivo delle composizioni, Arrigo Lora Totino sottolinea che “il nesso iconico […] ha nella poesia concreta un preciso significato optofonetico e l’optofonia è in realtà contemporaneamente il punto di partenza e quello finale del concretismo”,[vi] intendendo per punto di partenza proprio il legame con le avanguardie storiche. E ancora: “Il testo optofonetico riesce […] a creare una unità di rumore-suono e di forme tipografiche che concretizza la bipolarità del linguaggio”.[vii] Aspetto questo spesso trascurato da alcuni autori (come già accennato) e, comunque, non ben noto alla maggior parte del pubblico. Del resto basti pensare che lo stesso Futurismo, che tanta parte ha avuto nell’ambito fonetico, onomatopeico e rumoristico e che notevolmente ha influito sulla formazione di Arrigo Lora Totino, era abbondantemente andato nel dimenticatoio alla fine della seconda guerra mondiale, tanto che si dovette aspettare il 1958 per avere la pubblicazione degli “Archivi del Futurismo”.[viii]
La multiformità creativa di Arrigo Lora Totino lo condurrà ad operare su diversi fronti. Senza dubbio quello che gli arreca il maggior numero di soddisfazioni, per successo di critica e soprattutto di pubblico, è la poesia sonora, nel cui panorama internazionale si distingue per l’adozione della personale tecnica di declamazione mutuata dai principi esposti nel 1916 da Filippo Tommaso Marinetti. Il declamatore deve essere “un inventore e un creatore instancabile”.[ix] La declamazione deve esplodere in tutta la sua fisicità: protagonista il gesto, la presenza scenica, la forza dell’impatto con il pubblico, la dinamica del movimento, la presenza della voce come affermazione del corpo, l’esplosione dei suoni fondati in prevalenza sulla materia linguistica frantumata e aspra nella quale devono svolgere un ruolo di primo piano le consonanti in evoluzioni fonetico-rumoristiche. Ma solo quando, nella seconda metà del XX secolo, le ricerche fonetiche incontrano le nascenti tecnologie magnetofoniche, è possibile indagare nuovi universi sonori. La poesia sonora della fine degli anni Cinquanta sostituisce alla scrittura (o, comunque, alle forme di notazione che fino ad allora avevano tenuto il campo) la registrazione diretta su nastro, impegnando tecniche compositive mai prima utilizzate in ambito poetico. Il poeta sonoro può finalmente individuare nuovi spazi acustici adottando le tecniche di montaggio in analogia con quanto avveniva nelle arti visive (collage e décollage) e può contare su una vasta gamma di effetti finallora imprevedibili. Le prime sperimentazioni su nastro di Arrigo Lora Totino iniziano nel 1964-65 con Fonemi, dove pratica il cut up, tecnica già usata da Brion Gysin e poi da William Burroughs. Ma nel caso di Lora Totino la frammentazione dei testi è particolarmente accentuata e non avviene attraverso il processo copia-incolla adottato da Burroughs per pagine di testo o per nastri magnetici o come accade per le soluzioni adottate nel singolare montaggio cinematografico di un film come The Cut-Ups (1966) di Antony Balch e dello stesso Burroughs, dove figura anche Brion Gysin. Lora Totino taglia in minuscoli frammenti il flusso sonoro di base attraverso una speciale apparecchiatura elettronica messa a disposizione da Enore Zaffiri. In Fonemi-Baci sopore-moderato cantabile-parte prima i frammenti di suono (sillabe, fonemi, microparticelle sonore) sono il frutto di una sequenza di microcancellazioni. I brevissimi silenzi che ne conseguono creano un andamento ritmico costante. Nella seconda parte, invece, i vuoti sono raccordati da una riverberazione di base e da una serie di ribattiture d’eco. Tecniche queste che verranno usate anche in alcune composizioni successive. Per esempio Esperienza [1965] risponde alla prima modalità, e E è [1966] alla seconda, ma in entrambi i casi si fa ricorso alla tecnica del “sound on sound” che inaugura interessanti prospettive simultaneiste.
Gradualmente, però, Lora Totino si apre all’articolazione fonematica pura senza più ricorrere al cut-up. La scelta di catene di fonemi e di brevi sequenze verbali da organizzare sul multipista lo spingono a porre maggior attenzione a quella che chiama “melodia naturale del parlato”, ai valori dell’inflessione e dell’intonazione, al ritmo della dizione, alle ricerche timbriche, accentuando gli effetti contrappuntistici, polifonici e poliritmici.
Nel 1968 crea la poesia liquida: invenzione spettacolare, attuata con l’operatore plastico Piero Fogliati, che viene realizzata con l’idromegafono, strumento che consente di “‘annaffiare le vocali’, di umidificare il fiato, tuffare affogare e inabissare qualsiasi testo”,[x] che costringe le parole a passare attraverso l’acqua caricandosi di gorgoglianti umori, ma soprattutto che crea attese e tensioni nel pubblico grazie alle gag dell’artista, che con dinamiche saltabeccanti compie gesti che minacciano il pubblico di finire inzuppato. Si tratta di strategie sceniche in perfetta sintonia con quanto teorizzato nel manifesto del Teatro della sorpresa, che stabilisce di provocare la platea con azioni imprevedibili e suggerisce “una continuità di altre idee comicissime a guisa di acqua schizzata lontano, di cerchi concentrici di acqua o di echi ripercossi”.[xi]
Arrigo Lora Totino, sempre più impegnato in ricerche sulle interrelazioni tra poesia visuale e fonica, tra linguaggi plastico-figurali e gesto, arriva ben presto a concepire la poesia sonora come vero e proprio spettacolo. In realtà la maggior parte delle sue ricerche sulla vocalità e sulle potenzialità sonore della scrittura si esprime al meglio se congiunta all’uso dinamico del corpo, al gesto che interviene in maniera determinante nella composizione poetica. Lora Totino concepisce le “mimodeclamazioni”, per linguaggi fonogestuali, e la “poesia ginnica” dove afferma pienamente le ragioni del corpo. Anche in questo caso un riferimento fondamentale è il manifesto del Teatro della sorpresa, che conclude in questa maniera: “Il Teatro della Sorpresa contiene oltre a tutte le fisicofollie di un caffè-concerto futurista con partecipazione di ginnasti, atleti, illusionisti, eccentrici, prestigiatori, oltre il Teatro Sintetico, anche un Teatro-giornale del movimento futurista e un Teatro-galleria di plastica, e anche declamazioni dinamiche e sinottiche di parole in libertà compenetrate di danze; poemi paroliberi sceneggiati, discussioni musicali improvvisate tra pianoforti, pianoforte e canto, libere improvvisazioni dell’orchestra, ecc.”.[xii]
È il 1976 quando crea le sue “fotodinamiche simultanee”, riaprendo in chiave poetica, dopo sessantacinque lunghi anni, il discorso introdotto nel 1911 da Anton Giulio Bragaglia con il suo Fotodinamismo futurista.[xiii] Arrigo Lora Totino risollecita l’attenzione sul complesso rapporto corpo-spazio-movimento; riassume in un unico nodo le relazioni che intercorrono tra il dinamismo del corpo nello spazio e la loro rappresentazione bidimensionale, ma anche tra la costruzione scenica dell’immagine e il suo ritmo, il senso del gesto e la sua teatralità; tra l’elemento narrativo e la sua scansione temporale; tra l’interattività delle componenti dell’opera e la loro resa sul piano poetico. Ma c’è di più, perché tutta la problematica bragagliana, imperniata sul movimentismo e sulla traiettoria, intesa come “sintesi di movimento” e come “spirito del gesto”, sull’“essenza del moto” e sulla “significazione del tempo”, esaltata da una condizione nuova di “ultrasensibilità”, qui viene mutuata a fini poetici in un’ottica intercodificata, nel balenio impalpabile di un gesto e un lancio di fonemi tra le parentesi dell’attimo. Del resto lo stesso Bragaglia aveva scritto: “[…] abbiamo cento voci in noi e cento visioni ottiche cerebrali e sentimentali, che si mescolano, si compenetrano, si unificano con quella reale dell’attimo presente”.[xiv] Bragaglia (e questo lo fa anche nel suo teatro) fa risaltare il gioco di sintesi tra la memoria e la tensione al futuro, tra rispetto del dato e progetto, tra riconoscimento e proiezione. Focalizza il rapporto tra oggetto e spazio, tra corpo in movimento e ambiente circostante, assegnando valore di segno alle traiettorie, da una parte scie impalpabili della materia in moto, dall’altra tracce tangibili dello scorrere del tempo, che attraverso valenze visive vengono a porsi come vere e proprie coordinate spaziali; pone l’accento sulla dimensione temporale in chiave linguistica e non già, come Etienne-Jules Marey, per scopi prettamente scientifici, del tutto distanti da ogni intenzione creativa. Per Bragaglia il tempo è “tradotto in spazio”, il tempo è “portato decisamente come una quarta dimensione nello spazio”, per ricercare “nuove sensazioni di ritmo”, per ottenere un “risultato dinamico”: perché “il dinamismo è tanto essenziale che, spesso, solo il ritmo di un movimento è sufficiente per tutto un quadro e possiede la forza di comporre, da solo, un immenso poema di armonia”.[xv] Bragaglia, insomma, possiede la chiara coscienza dell’assoluta modernità del suo progetto, che respira le arie del tempo e che in esse si distende in modo armonico e coerente, anticipando problematiche e tecniche intermediali. Arrigo amplifica questa visione e provvede ad asservire il gioco fotodinamico all’esigenza di far scattare le molle dell’intermedialità, in funzione del collegamento con i dati verbali. Egli li inserisce liberamente in campo, o in basso a mo’ di didascalia, al fine di sollecitare l’attenzione sul parallelismo delle progressioni metamorfiche dell’immagine e della parola stessa, che si sostengono compenetrandosi reciprocamente in uno slancio significante che riassume tutto il senso dell’opera. Si tratta di un modo di collegare dinamicamente parola e immagine scegliendo di affidarsi all’attraversamento mediatico: performance gestuale, fotografia, scrittura verbo-visuale: un processo costruttivo che riassume e fonde tempi e modi, corpi e luoghi in una teoria di azioni che slittano l’una sull’altra in un divertissement che si fonda sull’ironia delle correlazioni. Ciò risulta evidente sul piano dell’immagine per gli effetti vibranti degli attraversamenti e delle trasparenze; ma con altrettanta evidenza si manifesta sul piano verbale per i giochi allitterativi che rilanciano in primo piano il ruolo di una sonorità tipograficamente compressa, esaltandone gli effetti in un contrappunto amplificato sinesteticamente da oscillazioni e fremiti figurali.
In ogni modo, il denominatore comune del lavoro di Lora Totino è costituito dalla parola che passa continuamente da una dimensione all’altra, dal suo corpo figurale a quello sonoro, dalla pagina allo spazio scenico, subendo e provocando contaminazioni e interferenze in un continuo, coerente e caleidoscopico fluire, tanto che, adottando le stesse parole di Arrigo, per il suo lavoro complessivo si potrebbe legittimamente parlare di “fluenti traslati”.[xvi] La parola, nella sua intera opera, si dispone sinesteticamente ad assumere caratteri polimorfi, a colpire tutti i sensi, a rendersi disponibile per evoluzioni metamorfiche, a passare da una misura ad un’altra, di scrittura in scrittura, di voce in voce, di scrittura in voce, di voce in gesto, in dilatazioni o in sincretismi, attraversando tempi e luoghi, in un rifluire di dinamiche giocose, ironicamente aperte alla fruizione multisensoriale, oltre la vista e l’udito, lambendo odorato, gusto e tatto. Congegni di parole. Meccanismi celibi. Stralunate transvolate verbali. Una parola in continuo movimento, incessantemente trasportata, trasferita, tradotta. Una parola che si dispone alla rivisitazione del suo stesso autore, che la pone in relazione con elementi di volta in volta diversi, in un processo di amplificazione, dove le opere storiche si fanno matrice nell’ambito di un meccanismo rigenerativo. Stadi di un procedimento creativo che instaura una sorta di dialogo con l’opera originaria, obbedendo ad una procedura metamorfica.
Parole in un continuo fluente traslato. Un fiume di parole, le sue, che elasticamente si dispongono ad esercizi di scomposizione e ricomposizione, di combinazione e di sovrapposizione, con legami talvolta forti, talvolta labili, tra astratto e concreto, forti del loro valore sul piano del significante, ma sempre disposte a giocare la carta del significato, apparendo e scomparendo, balzando in primo piano o perdendosi in prospettiva.
Parola, la sua, strutturata o destrutturata, servita in guanti bianchi o spiattellata con nonchalance, in corpus e spiritus, come accade nel “teatro della parola”[xvii] della migliore poesia sonora e non solo. “Il teatro della parola significa che è la parola stessa ad agire quale attore di svariate esecuzioni sia sulle pareti della galleria sia nello spazio della medesima in veste di poesia ginnica, cioè di integrazione di mimica e verbo o di poesia sonora, la parola qual forma acustica di se stessa”.[xviii]
Il “teatro della parola” si riconosce, così, nel più moderno concetto di performance, inteso come tessuto di relazioni ad ogni livello, come interminabile viaggio dell’artista dentro e fuori di sé alla ricerca di dettagli e frammenti di realtà da organizzare in nuove realtà perennemente in divenire, come sistema dinamico sostenuto dal labirinto di ogni possibile rapporto tra sé e il mondo.
[i] Filippo Tommaso Marinetti, “collaudo” a Carlo Belloli, Testi-poemi murali, Edizioni erre, Milano, 1944; poi in F.T. Marinetti, Collaudi futuristi, a cura di Glauco Viazzi, Guida Editore, Napoli, 1977.
[ii] Filippo Tommaso Marinetti, La declamazione dinamica e sinottica, 11 marzo 1916, in Francesco Cangiullo, Piedigrotta: parole in libertà, Edizioni futuriste di Poesia, Milano, 1916.
[iii] Arrigo Lora Totino, Poesia da ascoltare, in Poesia concreta. Indirizzi concreti, visuali e fonetici, a cura di Arrigo Lora Totino e Dietrich Mahlow, La Biennale di Venezia, Ca’ Giustinian, Venezia, 1969.
[iv] Ivi.
[v] Marinetti, La declamazione, op. cit.
[vi] Lora Totino, Poesia da ascoltare, op. cit.
[vii] Lora Totino, Poesia da ascoltare, op. cit.
[viii] Maria Drudi Gambillo, Teresa Fiori (a cura di), Archivi del Futurismo, De Luca Editore, Roma 1958.
[ix] Marinetti, La declamazione, op. cit
[x] Lora Totino, Poesia da ascoltare, op. cit.
[xi] Il Teatro della Sorpresa, manifesto firmato Filippo Tommaso Marinetti e Francesco Cangiullo e datato 11 ottobre 1921, esce nel primo numero della rivista «Il Futurismo», 11 gennaio 1922.
[xii] Ivi.
[xiii] Si veda Anton Giulio Bragaglia, Fotodinamismo futurista, con un regesto e un’appendice a cura di Antonella Vigliani Bragaglia; saggi di Maurizio Calvesi, Maurizio Fagiolo, Filiberto Menna e un’introduzione di Giulio Carlo Argan, Einaudi, Torino, 1980.
[xiv] Ivi.
[xv] Ivi.
[xvi] Arrigo Lora Totino, Verbale 1987 – Fluenti traslati, concertazione dinamica in quatto tempi, 1981-1987, Edizioni Morra, Napoli, 1988.
[xvii] Per la performance Arrigo Lora Totino ama parlare di “teatro della parola”, locuzione che può essere ampiamente riferita anche ad altri aspetti del suo lavoro. Si veda a questo proposito Mirella Bandini (a cura di), Arrigo Lora Totino – Il teatro della parola, Lindau, Torino 1996 e Arrigo Lora Totino, Il teatro della parola (a cura di Giampiero Biasutti), Edizioni Biasutti, Torino, 2011.
[xviii] Lora Totino, Il teatro della parola (a cura di Giampiero Biasutti), cit.
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