La scritturaasemica come ricerca del nulla
(estratto dal catalogo della mostra “A qualcuno piace asemic”, Palermo, Museo del disegno, 2023, a cura di Enzo Patti e Nicolò D’Alessandro)
by Nicolò D’Alessandro
La “scrittura asemica” esisteva molto prima che ci fosse un nome per essa ed è un aspetto del linguaggio, ovvero una forma di scrittura semantica senza le parole che, non avendo alcun significato viene a creare un vuoto che, sarà il lettore, se vuole, a riempire e interpretare. “Una scrittura che non tenta di comunicare alcun messaggio diverso dalla sua stessa natura di scrittura”.
La scrittura assemica è “qualsiasi cosa che assomiglia alla scrittura ma in cui la persona che guarda non può leggere qualsiasi parola”. Molti di fronte a “scarabocchi illegibili” poiché, come quasi sempre appaiono e tali sono, sistematicamente spiazzano la nostra volontà di comprensione, rafforzando ciò che la psichiatria chiama “asemia”, una condizione in cui il paziente non è in grado di usare e comprendere i simboli comunicativi.
La scrittura asemica, cioè senza nessuno specifico contenuto semantico, è quindi aperta a molteplici significati e per questa ragione assume il ruolo di un linguaggio universale, una specie di lingua comune (praticabile da tutti) che accomuna le varie lingue scritte con segni non significanti.
Il termine asemico non è un termine nuovo. Sarà dal 2018 in poi che assumerà il significato attuale e lo sviluppo successivo. Allo stato attuale il movimento nascente è affidato a una ventina di mostre in tutto il mondo, a tre o quattro libri e ad alcuni interventi. La scrittura asemica ormai esiste come stile internazionale, grazie a scrittori, filosofi e artisti che la creano in molti paesi in tutto il mondo.
Secondo Wikipedia: “Le pubblicazioni che si occupano di scrittura asemica includono la Asemic Magazine di Tim Gaze, la galleria The New Post-Literate sul blog di Michael Jacobson, la rivista “Utsanga.it” di Francesco Aprile e Cristiano Caggiula, il blog collettivo “Asemic Net” di Marco Giovenale. La scrittura asemica è apparsa in libri, opere d’arte, film e alla televisione, ma è stata distribuita specialmente via internet. Attualmente, c’è un robot che esegue la scrittura asemica dal vivo”.
La ricerca che diventa, ogni giorno che passa, un movimento di idee e la creazione di molti lavori si sviluppa e si fa conoscere nei blog, su internet sui vari social e cresce lentamente ma progressivamente. Il numero dei contribuiti sempre più massiccio, nelle pagine facebook, sta determinando scelte particolarmente significative in tale direzione.
Risulta quindi un movimento vero affidato al passaparola virtuale e come tutti i movimenti spontanei si muove, artisticamente parlando, in territori inediti, spesso sorprendenti. La ricerca va avanti e si muove in molte direzioni, senza i tradizionali supporti comunicativi (stampa cartacea e audiovisiva), che la sostengono. Risulta sempre più chiaro agli osservatori che questa ricerca nuova mette in una interessante, poiché problematica, discussione il linguaggio dell’Arte precedente.
Sin dagli anni sessanta la vitalità delle ricerche e delle non del tutto esaurite sperimentazioni artistiche della Neoavanguardia, si è ulteriormente estesa nella direzione della scrittura e del segno non ubbidienti alla lettera e alla parola comunicante. Si è giunti così ad un nuovo periodo storico la cui ricerca di senso non esclude la ricerca del non senso. Ad un fare artistico inedito e intrigante volto alla conquista di un territorio escludente, di un luogo senza più appartenenza che possa fornire tracce e sospetti di una realtà diversa, indifferente al significato delle parole. Una scrittura che non vuole lasciare traccia e che si consuma nel tempo distratto di uno sguardo.
Alla famosa minaccia poetica di Marinetti del 1911: Uccidiamo il chiaro di luna!, gli artisti asemici, sessanta anni dopo, non vogliono uccidere la parola e il suo significato, ma la escludono, la ignorano, la rendono muta, modificandola in segni incomprensibili. Annullano secoli della comunicazione tradizionale, operando banalmente su una scrittura che scrive sé stessa.
L’approccio asemico non nasce dal nulla, ma si presenta con forti radici nelle più antiche forme di scrittura delle ricerche dell’arte d’avanguardia.
Già dal 1926 punti, linee e scrittura avevano ampiamente interessato, in modo completamente diverso, la ricerca di Vasily Kandinsky che nell’opera Punto, linea e superficie, affronta con approccio scientifico il ruolo di ciascun elemento non figurativo all’interno della composizione grafica dell’opera. Kandinsky scrive: “Il punto geometrico è il più alto e assolutamente l’unico legame tra silenzio e parola. E perciò il punto geometrico ha trovato la sua forma materiale, in primo luogo, nella scrittura – esso appartiene al linguaggio e significa silenzio”. Silenzio e parola sono in relazione tra loro. Dal silenzio nasce la parola che ad esso incessantemente ritorna.
Negli anni quaranta non possiamo altresì ignorare l’attenzione al segno e l’importanza del gesto nelle ricerche dello statunitense Franz Kline, influenzato dalla calligrafia giapponese o in quelle di alcuni esponenti dell’arte Informale, il francese George Mathieu o il tedesco Hans Hartung interpreti della pittura segnica alla ricerca di nuovi alfabeti visivi come avviene anche in Italia dove operano Giuseppe Capogrossi, inventore di un ritmo ossessivo affidato ad un unico segno reiterato che si riproduce all’infinito e Dadamaino (Emilia Maino) che, alla ricerca di un nuovo linguaggio, nella seconda metà degli anni settanta, opera una vera e propria scrittura. Ed ancora parole asemiche, segni graffiati, grovigli di linee apparentemente casuali e scarabocchi caratterizzano le ricerche negli anni cinquanta e sessanta del pittore statunitense Cy Twombly che si avvale di segni primari, grafemi illeggibili che mostrano sé stessi nel loro puro ed essenziale valore semantico. Importante l’attenzione al segno di Ferdinand de Saussure, fondatore della nuova linguistica strutturalista, che teorizza nei suoi studi semiologici, un ampio studio dei segni. Introduce concetti base come segno, significato e significante che, ancora oggi, costituiscono il fondamento delle scienze della comunicazione. La dialettica tra segno e referente e quella tra significato e significante restano inalterati anche nelle più recenti analisi della parola asemica.
Lo spazio dell’opera nell’intrigato campo dell’arte contemporanea è diventato un territorio di rappresaglia, di agguati e di sconfinamenti.
Da una negazione dell’arte, da una opposizione alle regole del sistema dell’arte, sino ad un rifiuto radicale dei canoni tradizionali considerate reliquie di un tempo concluso siamo passati alla trasformazione dall’estetica del gusto all’estetica del disgusto o meglio dell’immondo come diceva Jean Clair. L’arte di ciò che resta dopo che tutto è stato rigettato.
I nuovi media stravolgendo la comunicazione verbale e non verbale, artistica, letteraria, pubblicitaria, pubblica e politica, hanno definitivamente modificato i processi espressivi e relazionali della parola e della percezione dell’immagine. Siamo diventati protagonisti inconsapevoli di un cambiamento radicale, abitiamo dentro un laboratorio visivo di mescolanze, ambiguità e falsi allarmi.
L’acquisizione di nuove tecniche e tecnologie, grazie alla diffusione del computer che si aggiunge ai processi di cambiamento sociale influenzati dalla velocità, dalla contaminazione di generi, dalla cultura del frammento, ha modificato la creatività contemporanea più propensa alla produzione dell’arte ora, qui e subito, senza alcuna preoccupazione della Storia dell’Arte o della tradizionale classificazione per generi, intesi come esperienze da restituire alle generazioni future. La stessa produzione artistica, tra alta cultura e linguaggio di strada, l’abolizione delle barriere fra arte alta e bassa, fra arte nuova e vecchia, fra tecniche sperimentali e tradizionali, ne viene influenzata. Il largo e disinvolto impiego dell’improvvisazione si avvale e agisce senza specializzazioni e competenze in una democratica visione dell’arte libera da ogni vincolo e schema. Le esperienze della scrittura asemica appaiono, per conseguenza, come l’ultimo territorio dell’arte contemporanea che sostiene l’appropriazione gratuita dell’insignificanza. Tutti possono accedere al pensiero asemico. Per scelta, per curiosità, ma anche per noia. Siamo di fronte ad un atteggiamento eclettico e trasversale per libere citazioni, ripescaggi e eclettiche reinvenzioni di motivi e forme espressive dell’arte del passato. Esiste in questa situazione molto variegata, per certi versi anomala, una forte consonanza d’intenti creativi tra la scrittura asemica e le esperienze musicali dell’hip-hop, del rap, del pop, rock, folk, elettronica, manifestazioni della musica contemporanea giovanile. Anche i generi musicali, l’arte e la cultura attuale cosi come la società liquida, come ben puntualizza il sociologo Zygmunt Bauman (Per tutti i gusti. La cultura nell’età dei consumi, Laterza), sono mischiati fra loro. Lo stesso avviene nelle ricerche figurative del Post moderno caratterizzato, a livello filosofico, economico, politico ideologico, e culturale, da una nuova fase storica che nasce e si sviluppa nel nostro secolo dalla crisi definitiva delle certezze nei valori illuministi del progresso, crisi determinata da un’evoluzione sempre più complessa e globalizzata, dai profondi cambiamenti innescati dalle rivoluzioni tecnologiche, in particolare quella digitale di Internet che ha reso gli strumenti di produzione artistica accessibili a chiunque e dappertutto, con una semplice connessione. Ma la fondamentale svolta culturale, in senso generale, è quella connessa alla straordinaria accelerazione dei processi di globalizzazione. Per queste ragioni l’universo dell’asemico non ha confini, né limiti perché fonde codici occidentali e orientali, del sud e del nord del mondo.
La scrittura asemica riveste ormai un ruolo fondamentale nell’Arte contemporanea poiché raggiunge a livello globale tutti. Artisti e non. Qualcuno la definirebbe una scrittura barbara, intesa come rivisitazione del primordiale. Ovvero il recupero della prima traccia lasciata dall’uomo sulla terra.
L’asemic, (scrittura aperta senza parole, cruciverba, anagrammi, sciarade, enigmi e rebus,) elimina la fonetica e silenzia definitivamente la scrittura, impedendo la praticabilità del codice linguistico. Si affida soltanto allo sguardo. Mette in pausa la capacità di chi guarda di comprendere la asemanticità della scrittura poiché illeggibile, in quanto deprivata dei codici linguistici e affida al lettore l’interpretazione. Tra la lettura e lo sguardo evoca il silenzio e il vuoto con la mancanza di significati. Del resto stiamo dirigendoci verso l’incomunicabilità, verso una realtà incomprensibile e disfattista.
La scrittura asemica o asemantica, anche se senza significati apparenti, ha assunto in breve tempo il ruolo di stile internazionale in molti paesi del mondo. Interpreta con un atteggiamento sottilmente ambiguo, per certi versi provocatorio e strafottente, tra il gioco e l’impegno creativo, la vacuità e l’insignificanza artistica dell’epoca odierna dominata dalla connessione perenne ad un sistema produttivo globalizzato che ci identifica non come liberi cittadini ma come consumatori. Il significato del suo non significare nulla è la capacità di allegorizzare la transitorietà segnica del nostro tempo (Adriano Accattino). Le scritture illeggibili imitano diverse forme di scrittura parodiando lettere formali o semplici appunti, impiegando calligrafie di varie epoche e culture, coltivando la sfocatura, la ripetizione e l’errore. Segni che evocano altri segni in un gioco di somiglianze che custodisce il segreto della scrittura. Le scritture asemiche sono la sommatoria di rimandi primordiali e attuali, personali e collettivi, formali e psichici che appartengono a una contemporaneità dilatata dove i confini temporali e territoriali sono labili se non inesistenti. Si muovono anche nella memoria di scritture orientali, di storie mai più identificate, e nelle calligrafie illeggibili di scritture scomparse.
Scrivevo in una mia presentazione in catalogo per la mostra personale di Enzo Patti al Museo del Disegno (2018) che il writing (lo scrivente) può essere “asemic” o “asemantic” ovvero può scrivere, utilizzare la scrittura in totale libertà, manipolarla, decontestualizzarla, scomporla o destrutturalizzarla senza alcun rapporto con il significato. Il non senso (nonsense in inglese) costituisce una parola o una frase che appare senza significato. In letteratura (sia in poesia che in prosa) il nonsenso si esprime tra ordine formale e caos, tra idee di senso compiuto e non. Ciò avviene così come nel linguaggio dei giovani che in chiave umoristica, scherzosa, manipolano i concetti, le frasi del linguaggio parlato per indicare significati opposti, capovolti o non significanti. Generando così nel rifiuto di una comunicazione logica, non l’assenza ma un eccesso spiazzante di significato che porta ad altro, ad altre letture.
Paradossalmente il gioco diventa, in tale ottica, più complesso ed intrigante, poiché stabilisce il superamento di un normale processo d’interpretazione logica. I segni manipolati, designificati della scrittura che hanno cioè perso ogni senso impediscono il loro significato e costringono all’interpretazione di una comunicazione fuori di senno e di logica. Si determina così una vera e propria rottura, un ambiguo e pericoloso salto nel vuoto dei significati. In questa attuale logica l’artista, avendo perduto già da tempo il senso del proprio ruolo e del possibile messaggio non soltanto estetico di bellezza, stravolto da contaminazioni, dall’illeggibilità del reale e dalle spesso incomprensibili sovrapposizioni di generi, oggi si muove in un labirinto di riferimenti, di modelli linguistici e di stimoli iconici; si ritrova ad operare in uno spazio sempre più indeterminato corrispondente alla complessa ambiguità del nostro tempo dove il reale sempre più si confonde con il virtuale. Alla perdita del valore semantico della parola scritta o parlata, vuole deliberatamente, attraverso l’immagine, svuotare di senso anche il territorio visuale spingendosi sempre più verso immagini deturpate che mescolate all’uso superficiale di parole manipolate, non rimandano a nulla. Si rivolge come ultima possibilità all’esagerazione dei significati che scompostamente raccontano solo e soltanto se stessi. Segno e scrittura divengono antagonisti che si attraggono in un’unica forma di una scrittura altra. Rivelatori di un sempre più evidente disagio.
Scrive Adriano Accattino: «È diventato tutto impraticabile per cui rispondere positivamente con la fiducia che la ripresa esige non sembra più possibile. La risposta diventa uno scarto di fuga, un salto in avanti, una reazione esagerata. Sembra che tutto sia già stato consumato e che non si possa rispondere né reagire stando all’interno dei modi e delle misure finora praticate. La reazione deve uscire dagli abituali campi logici di risposta fin qui adottati. La rottura è definitiva, la risposta incoerente, la reazione smisurata. Ecco allora che lo scrittore si è rifugiato nell’asemic e nell’asemantic, pratiche che qualche anno fa non avrebbero attirato nessuno, ma ora bisogna rispondere straordinariamente e le risposte straordinarie di questi tempi sono l’asemic e l’asemantic writing (…) qualcosa di catastrofico sta passando dalla carta stampata a un mondo riempito da una miriade di nuovi media. Il libro e la carta stampata sono un prodotto, mentre l’accento e l’attenzione stanno passando dal prodotto al processo. Il processo offre una traiettoria evolvente, mentre finora si è prodotta una situazione evoluta. La scrittura asemica, afferma lucidamente, è tragica come un suicido. L’autore si toglie ogni possibilità di agire e perviene a un blocco muto. Forse non si è capito che la scrittura asemica è l’ultima scrittura, la scrittura di una maledizione, di una depressione, di una malattia senza cure.»
Se questa affermazione è vera – e a mio avviso, lo è – porta con sé un quesito fondamentale: andando pericolosamente avanti che fine faremo nell’affidarci completamente alla dittatura della tecnologia?
Forse dovremmo inventare una via di fuga, reinventare altre modalità del vivere. Il che fare? di Lenin, il dubbio di antica memoria, riproposto nel nostro presente, si presenta in tutta la sua drammatica urgenza. Lo profetizza, in qualche maniera, la ricerca asemica che non è una scrittura libera o assurda come potrebbe apparire, poiché si articola in tutte le direzioni segniche, ma è declinabile come una dichiarazione d’impotenza che decreta la fine di tutto e probabilmente postula altri gradi di scrittura, altri segni di una realtà sempre più virtuale, determinata da un’intelligenza artificiale che non può più tenere conto del nostro passato, del nostro disagio umano, in un tempo contorto, corrotto e senza speranza; sempre più rivolto all’autodistruzione e che non sa più quale direzione prendere.