Verso gli spazi liminali
by Francesco Aprile
testo per la mostra “utsanga.it | 2014 – 2024: towards liminal spaces” presso Hotel Dada (Buenos Aires), per la Biennale PosVerso, ottobre 2024
Lo scenario poetico sperimentale si apre come una “collera”, una rabbia, una guerriglia. Ma verso cosa? L’idea, in questo caso, mi sembra possa essere giustapposta a certe dinamiche elaborate da Deleuze e Guattari: la filosofia, allora, sarebbe una collera verso il contesto storico, verso il proprio tempo, qualcosa che non è una potenza; nostro malgrado, però, la potenza entra nelle vite di tutti, entra nei soggetti, la filosofia, in quanto pourparler, diventa la guerriglia di ognuno nei confronti di se stesso e del contesto. La storia delle scritture contemporanee, dagli antecedenti sperimentali dell’Ottocento al Novecento arrivando fino ai nostri giorni, è quella che vede arretrare la grande epoca della scrittura: i media avanzano, si combinano fra loro riformulando nuovi tracciati; si assiste al ritorno di una oralità (basti pensare a certe pratiche onomatopeiche e sonore di Vielé-Griffin, Verlaine, Nodier, Gautier, Rimbaud fino agli esperimenti sonori dei Futuristi, dei Dadaisti, dei Lettristi, dei poeti Concreti e Visivi) non più primaria, ma dispersa e al trionfo dell’immagine. La grande macchina della scrittura che arretra, lascia dietro e davanti a sé dei residui, dei cocci. L’imperialismo del significante, nella sua relazione esclusiva con il significato, mostra le proprie crepe a vantaggio di spazi e flussi asemici; questi spazi minimi, che rifiutano l’interpretazione, testimoniano del carattere tirannico del significante e del significato. La scrittura diventa operazione fisica, riscopre la materia entrando in contatto con altri materiali, con altri elementi, formulando la messa in opera della propria riduzione alle crepe di un imperialismo ormai ridotto in frammenti. La tirannia della diade significante/significato appare nell’immagine dell’Angelus Novus di Walter Benjamin: è quella figura che dando le spalle al futuro accumula dietro di sé detriti, frammenti, rovine. In questa epica delle rovine, il concetto di scrittura si riformula come accumulo di detriti, oggetti affastellati, superfici sconfinanti senza ancoraggio, senza centro, accumulo privo di assemblaggio. Non si assiste più a un montaggio di materiali, ma a un affastellamento dove le superfici che sconfinano l’una sull’altra rimandano all’intercambiabilità tra fini e mezzi, allo scambio dei ruoli, e nell’assenza di punti di ancoraggio rivelano faglie, crepe, elementi che fuoriescono e rompono l’omogeneità dell’uguaglianza mostrando presenze, dunque esistenze singolari e infinite dove l’infinitezza sta per grandezza di un senso altro, esterno alla crisi, oltre che per assenza di progetto unitario, ultimo che nei continui rinvii e salti rivendica un “Reale” in cui il confine tra superfici diverse diventa sempre più labile. Questi detriti formano continui rimandi, si manifestano in forma di “congiunzione”, diventano, cioè, balbettio creatore; la lingua, in questo modo, viene usata non più subendone la tirannia, ma l’autore ne farebbe un uso “straniero”: il futuro è quello di parlanti stranieri che abbozzano frammenti di lingue. Gli oggetti digitali diventano oggetti di linguaggio, oggetti di frammenti, frammenti di oggetti, balbettio costante. Questa congiunzione fra detriti diventa apertura alla molteplicità, alla diversità, all’essere stranieri in se stessi. Le formule di “scrittura” si aprono alla proliferazione. Non assistiamo più alla scrittura tirannica, ma al trionfo di una scrittura che è ancora “toward total poetry”, un processo costante verso qualcosa di multiplo, molteplice, al cui interno convivono soglie differenti: la scrittura e l’autore diventano spazi liminali.
Partecipanti alla mostra:
Egidio Marullo, Cristiano Caggiula, Andrea Astolfi, Giuseppe Calandriello, Martina Stella, Clotilde Palasciano, Alessandra Greco, Lorenzo Basile Baldassarre, Annalisa Retico, Davide Galipò, Elena Bonanni, Alessio Guano, Paola Silvia Dolci, Paola Mancinelli, Federico Federici.