Asemic writing. Rispondendo a Piero Montana
by Francesco Aprile
Di recente il gallerista siciliano Piero Montana, da poco folgorato dal fenomeno dell’asemic writing, da lui, con ogni evidenza, fin qui ignorato – dato il modo in cui ne scrive, avremo modo di vedere bene il perché – ha spostato con decisione il fulcro della propria attività divulgativa – per carità, non chiamiamola critica – verso i litorali delle scritture asemantiche. Ciò che ci interessa in questa sede non è articolare l’ennesimo contributo attorno al fenomeno, quanto mettere ordine alla serie di falsità messe in piedi da Montana il quale, con certo metodismo fraudolento, ha mosso i primi passi in questo mondo a partire dallo scritto “Note sull’asemic writing”[1], la cui prima pubblicazione risale al 2015 su questa rivista per poi essere ripubblicato in forma ampliata nel volume “Asemic writing. Contributi teorici” (2018). Per sua stessa natura, il contributo che qui viene presentato non rispetta lo standard della rivista, dato che qui ci si limita soltanto ad evidenziare l’operazione montaniana.
Scrive Montana:
Quel che qui Aprile e Caggiula definiscono con molta chiarezza è un asemic writing da intendere come <<una rappresentazione segnica di forme che richiamano nell’evocazione grafica un linguaggio, ma non risultano interpretabili dal punto di vista semantico – in assenza anche di strutture sintattiche e fonologiche – in quanto significanti senza significato>>. L’asemic writing perdendo il significato acquista <<però valore sul piano estetico in quanto opera, che richiama un linguaggio in progress che mai si codifica in significato.>> E già qui ci domandiamo che cosa gli autori del testo intendono per opera giacchè essa soprattutto da scrittori, ad esempio Blanchot, da loro citati, significa produzione semantica, produzione incessante di senso che metterebbe in campo attraverso una sua molteplice, plurale lettura. Si leggano a riguardo i libri dello scrittore francese “La conversazione infinita” e “Il libro a venire”.
Piero Montana sull’asemic writing
Alle soglie del 2021 dovrebbe risultare ormai come dato acquisito quello di un certo concetto di “senso” da intendersi come campo aperto, non radicato e non riducibile alla datata condizione di sinonimo di “significato”: «produzione semantica, produzione incessante di senso» (citando Montana).
Si decide di sorvolare sulla questione terminologica relativa alla parola “opera”, perché non si sa bene come Montana voglia intendere delle tavole di asemic writing, forse che in alcuni casi certe formule, da Blanchot a Foucault, abbiano fatto più male che bene. L’inconsistenza dell’obiezione appare subito evidente nel momento in cui è lo stesso Montana a utilizzare per ben dieci volte il termine “opera”/“opera d’arte” nel recente intervento “Anna Boschi Cermasi: un linguaggio moderno tra poesia visiva e scrittura asemica” e addirittura per 15 volte nell’articolo “Franco Panella e il fuoco asemico”, cosa che contribuisce a confermare la pochezza dell’argomentazione montaniana che potrebbe ridursi, nel caso in questione, ad un predicare bene e razzolare male. Ma se c’è una cosa che certi filosofi hanno insegnato è quella di accostarsi non ad una verità dogmatica, ma a un desiderio “di”, si tratta, allora, sempre di un processo di avvicinamento e allontanamento (il centro di ogni ricerca è sempre fallito – Blanchot; il senso di ogni esperienza è tale perché fallibile – McLuhan), la cosa migliore che si possa fare per ricordare certi autori è, soprattutto, quella di non fare della loro opera un dogma, soprattutto a partire dal fatto che, nel caso specifico, la questione terminologica risulta fuorviante e pretestuosa, ovvero si potrebbe procedere alla creazione di un nuovo vocabolario, un vocabolario apposito, ma il risultato sarebbe comunque uguale al precedente, in quanto andremmo a sostituire il termine con uno nuovo, sì, ma pur sempre sinonimo. Non ha notato, Montana, che in barba a Blanchot e Foucault, la critica, a tutti i livelli e ambiti, ha sempre continuato a usare il termine “opera”? Tant’è che lo stesso gallerista siciliano ne fa uso abbondante, quando, stando alle sue parole, sarebbe forse meglio che usasse la parola incriminata con almeno una certa parsimonia. Nel recente articolo “Franco Panella e il fuoco asemico”, Montana afferma, in modo del tutto arbitrario:
Che nell’asemismo ci siano consistenti residui di misticismo è una realtà, che, per quanto ne sappiamo, seppure mai presa in considerazione, non si può non ammettere.
Piero Montana sull’asemic writing
Ma il senso entra per effrazione.
Qui, davvero, non si capisce come Montana possa richiamarsi a Blanchot e Foucault, continuamente, procedendo, invece, in modo arbitrario e dogmatico.
Insomma, sembra di giocare con le biglie, ma tant’è.
A questo punto, Montana, ci fa dono di un’altra “interessante” affermazione:
Certo sarebbe stato meglio che i nostri due autori si fossero limitati a scrivere che <<caratteristica dell’asemic writing è quella di un risultato estetizzante delle forme che richiamano un linguaggio in progress che mai si codifica in significato.>> Anche se <<il risultato estetizzante>> può sembrare, dal punto di vista terminologico, improprio e fuori luogo, ma tant’è.
piero montana sull’asemic writing
L’autore trova improprio e fuori luogo il termine “estetizzante” perché, con tutta evidenza, è completamente digiuno delle esperienze teoriche in merito. Da Benjamin l’analisi mette in evidenza come nelle società capitalistiche la sensazione sostituisca l’informazione e, sempre tramite B., si può notare come l’estetica abbia vissuto una certa diffusione sociale a partire dalla politica. L’ambito estetico non è più solo riducibile a quello artistico, le fonti di esperienza estetica sono “moltiplicate” (Codeluppi). Maffesoli parla di estetizzazione individuando negli anni Ottanta e Novanta l’estensione dell’estetica ai più disparati ambiti della vita sociale. Lipotevsky e Serroy parlano di “estetizzazione” e “capitalismo artista”. La nozione passa attraverso quella di “transestetica” e/o “iper-estetica” in una società “iper-iconica” mediale sotto l’effetto di un costante potenziamento dei simulacri per dirla con Baudrillard. Per Welsch il paesaggio diventa prodotto di bellezza, apparenza, “arte” anche, piacere e divertimento da consumare, in sostanza “esteticità diffusa”, “estetica della vita quotidiana” già riscontrata a suo tempo da Simmel (pervasività della percezione estetica). La “soggettività” con Maffesoli diventa di massa, non più si registra la fruizione singola di un’opera d’arte che viene sostituita in luogo della già citata “soggettività di massa”. Il digitale irrompe come “metamedium onnivoro” aprendo a forme molteplici di creatività e generando nuovi “metalinguaggi” (Lev Manovich) uniti in un software comune (concetto di “Deep remixability”) e Bourriaud affronta il discorso della “postproduzione”. In tutto questo l’attore sociale che appare spalmato letteralmente su più dispositivi (smartphone, tablet, smartwatch, pc ecc. che sono “oggetticali” – Appadurai/Maffesoli – ossia “oggetti soggettivi”) è iperaltrificato, eccentrico perché decentrato, fuori di centro e depotenziato più di quanto non lo fosse nel passaggio paradigmatico di Lacan. La dinamica capitalista dei media digitali fagocita la produzione asemica che diventa patinata, scintillante come le superfici malleabili e fluide della nuova medialità. A maggior ragione, dal Secondo Novecento si sviluppano i fenomeni dell’anti-arti, dell’anti-estetica, contro un sistema-mercato che fa dell’espressione estetica il veicolo rassicurante del capitale. Si sviluppano, in sostanza, i “disgusti”, per dirla con Perniola. Eppure l’autore trova tutto ciò “improprio e fuori luogo”, ma tant’è.
Quel che più ci sembra interessante ma da cui pure prenderemo le debite distanze è l’attenzionare nell’asemic writing il significato completo di writing, che in inglese <<indica da un lato la scrittura e dall’altro l’azione dello scrivere, dunque il processo, uno scrivere che è sul punto di crearsi, di formarsi … soltanto nel (suo) aspetto grafico…. il termine writing (infatti) indicando l’azione dello scrivere, riconduce ad una certa manualità, ad un processo performativo>>. In un nostro testo sulla scrittura asemica a riguardo abbiamo citato Savinio là dove lo scrittore << vede nella scrittura un carattere animistico, occulto, a differenza della dattilografia e stenografia, strumenti privi di nobiltà e spiritualità che per usarli bisogna mettere da parte una certa vergogna>>
piero montana
Montana cita la nostra contestualizzazione e concettualizzazione del termine “writing” per poi procedere citando Savinio, come se nel nostro testo si faccia riferimento ad una scrittura non manuale. Intenzione che solo Montana coglie, con ovvia manipolazione di quanto è riportato nel saggio. In sostanza, Montana prende le distanze dal fatto di «attenzionare nell’asemic writing il significato completo di writing» (Montana), criticando come da noi venga riconosciuto il carattere performativo dello scrivere, della manualità del gesto dello scrivere, salvo poi affermare dogmaticamente, lo vedremo più avanti, che asemic writing deve essere inteso soltanto come scrittura manuale su carta o tela (l’ha deciso Montana, ancora una volta in modo arbitrario e dogmatico – come rilevato in apertura. Per fortuna il mondo non lo ascolta).
Si legga, infatti, la conclusione dell’intervento del gallerista:
Per concludere non possiamo non essere d’accordo e favorevole al fatto che nella contemporaneità si restringa il campo d’azione dell’asemic writhing indirizzandolo verso la dimensione di una scrittura manuale, come si è detto fin dall’inizio del testo di Aprile e Caggiula , col considerare soprattutto il termine inglese “writing” che indica appunto l’azione dello scrivere che si sviluppa solo in un’azione manuale su supporto materiale che sia solo carta o tela con l’esclusione di tablet, collage, sia analogici che digitali, e fotografie…
piero montana
L’uomo dovrebbe filtrare il mondo criticamente, assumere il portato di un pensiero capace di vagliare ogni manifestazione umana e non solo. Di fatto, storicamente, quando l’uomo smette di operare in modo critico, ovvero quando la sua capacità esegetica vacilla e l’impianto gnoseologico viene meno, trova rifugio nell’ineffabile, indeterminato, volatile e consolatorio mondo dell’anima, nella costruzione metaforica atta a suggestionare più che a offrire e costruire strumenti di comprensione i quali, in modo del tutto inspiegabile, sono affidati e abbandonati al portato emozionale della suggestione metaforica e animistica (si veda la rituale abitudine di Montana, ad esempio, di ricorrere allo stratagemma della suggestione che nulla penetra e conosce, ma seduce attraverso meccanismi di estetizzazione: “Il linguaggio canoro degli dei”. Formule che lasciano il tempo che trovano).
Infatti la scrittura manoscritta, la scrittura della mano, da essa messa in riga, e che nel suo disporla nelle righe di una pagina, di un foglio si muove in un movimento che non è solo del corpo, della mano che lo viene ad eseguire bensì soprattutto dell’anima che conferisce ad esso oltre che l’imprinting anche qualcosa di occulto, di magico porta il nostro scrittore ad affermare che lo scrivere manualmente possiede elementi di nobiltà e spiritualità di cui altri strumenti, quali la dattilografia e la stenografia mancano. Sebbene Savinio si riferisse alla scrittura manuale tradizionale e non all’asemic writing è da notare come gli elementi di nobiltà e spiritualità in tempi odierni in loro contenuti sono stati decisamente abbandonati nonché obliati. Questo è quel che più rimproveriamo anche ai nostri due autori delle Note, che dell’asemic writing ci forniscono una visione positivista nonché materialista. E’ infatti al corpo più che all’anima, come è ovvio che accada oggi, anche riguardo alla scrittura asemica che si presta in maniera fuorviante più attenzione.
piero montana
Continua Montana:
Questo è quel che più rimproveriamo anche ai nostri due autori delle Note, che dell’asemic writing ci forniscono una visione positivista nonché materialista. E’ infatti al corpo più che all’anima, come è ovvio che accada oggi, anche riguardo alla scrittura asemica che si presta in maniera fuorviante più attenzione. Ma cerchiamo di seguire passo per passo il testo di queste Note. Se relativamente importante è sottolineare come in area anglo amercana l’asemic writing è uno scrivere che punta più sull’asemic che sull’asemantic, denotando l’asemic una sorta di vicinanza all’afasia, cosa che noi abbiamo sempre sostenuto con l’affermare che la scrittura asemica è sostanzialmente muta, in quanto priva di fonemi e per questo non solo afasica ma anche apofatica, indiscernibile nella sua ineffabilità, non ci sembra che da questa distinzione dei due termini se ne siano tratte le debite conseguenze col non aver contrassegnato con un alone mistico e di mistero l’asemic writing. Del resto tutta l’impostazione critica con la quale si affronta tale fenomeno è pregna di razionalità positivista pur avendo notato gli autori del testo un suo accostamento con l’astrattismo che è stata una pittura antipositivista per eccellenza come ci fa notare Kandinsky nel suo libro “ Lo spirituale nell’arte.”
Montana confonde la differenza terminologica sviluppatasi fra Italia e mondo anglosassone con una differenza di fatto operativa. Riprendiamo ancora l’autore:
Se relativamente importante è sottolineare come in area anglo amercana l’asemic writing è uno scrivere che punta più sull’asemic che sull’asemantic, denotando l’asemic una sorta di vicinanza all’afasia.
piero montana
Dicevamo, Montana confonde, trae in inganno sé stesso pur di costruire la struttura teorica, grossolana, di un asemic che vorrebbe “mistico”, questo perché in nessun punto del nostro testo si afferma una differenza operativa fra quanto si sia sviluppato in Italia e nel mondo anglo-americano nell’asemic, “banalmente” si tratta di una differenza terminologica che, ancora una volta Montana dovrà farsene una ragione, sui piani di una ricostruzione storico-critica del fenomeno è ben più importante del rifugio consolatorio dell’anima. A riprova di ciò basti considerare come nel tempo per connotare il fenomeno delle scritture asemantiche molti autori si siano cimentati nella pratica definitoria coniando nuovi termini per inglobare lo stesso concetto da diversi punti di vista, termini che, infatti, vengono presi in considerazione con le loro diverse accezioni nel nostro saggio (capitolo 3.3.18). Montana inserisce l’asemic direttamente nell’asse dell’astrattismo di Kandinsky, ma è bene notare che il legame fra astrattismo e asemic è ben lontano dall’inquadramento che furbescamente Montana dice di derivare dal nostro lavoro:
Del resto tutta l’impostazione critica con la quale si affronta tale fenomeno è pregna di razionalità positivista pur avendo notato gli autori del testo un suo accostamento con l’astrattismo che è stata una pittura antipositivista per eccellenza come ci fa notare Kandinsky nel suo libro “ Lo spirituale nell’arte.”
piero montana
Va considerato che l’astrattismo è una corrente non riducibile ad una condizione monolitica e, soprattutto, non alla sola visione e opera di Kandinsky la quale già di per sé non può essere ridotta al solo piano evocato da Montana. La stessa natura dell’astrattismo geometrico è passibile di interpretazioni e rimandi differenti, anche rimandi “tecnici” che un Montana di turno potrebbe, rabbrividendo, ricondurre al positivismo (ordine geometrico delle forme, rigore compositivo). Il fatto più eclatante, però, risiede nell’evidente volontaria distorsione del nostro saggio da parte di Montana che pur di tirare in ballo lo spirituale deforma quanto letto nel testo “Note sull’asemic writing”. Perché dire questo? Perché nel nostro lavoro non compare mai la parola “astrattismo”, bensì si ricorre alla più generica formula di “arte astratta” che, per l’appunto, non può essere ricondotta alla sola esperienza kandinskiana, ma apre a un ventaglio di possibilità ben più ampio e sfaccettato tanto da coprire l’arco delle evoluzioni storiche dell’arte astratta.
A Montana, inoltre, sfugge l’ovvia presenza di un senso socialmente istituito e di un senso vuoto e/o del vuoto che è nell’imminenza e nell’immanenza stessa della vita nel rapporto uomo-mondo. Di questi due, l’asemic dialoga con il secondo, è strutturato dal secondo. (Sul senso, ancora una volta, torneremo più avanti).
In sostanza, per il gallerista appare quasi un reato che una analisi storico-critica di un fenomeno venga condotta con razionalità. Magnifico.
Montana in maniera ancora fraudolenta mette insieme spezzoni di testo e premesse, smontandoli, decontestualizzandoli, rimontandoli a proprio piacere e, cosa altrettanto grave, pretende di parlare di un argomento di cui mostra di avere davvero scarsa conoscenza. Mette in discussione, ci prova più che altro, ma senza riuscirci, la dimensione multimediale e digitale dell’asemic mettendo in mostra come non conosca nulla di tale fenomeno né in chiave storica né contemporanea. Quando un autore come Enzo Patti che opera in analogico, decide di agire su fogli trasparenti, sovrapponendoli e fotografandoli, cosa sta facendo? La tavola asemica, in questo caso, è frutto dell’anima o si avvale di elementi tecnologici che, di fatto, la fanno arrivare a noi così come abbiamo avuto modo di conoscerla? Montana (che con ogni evidenza non conosce gli apporti di Bourriaud riguardo il radicante, la relazionalità e, soprattutto, la postproduzione) ignora che uno degli spazi più importanti per la diffusione dell’asemic sia il sito fondato e curato da Michael Jacobson negli Stati Uniti e che si chiama, guarda un po’, “The new post-literate” e da dove viene questa terminologia? Sarà Jacobson un freddo e brutale tecnologo, cupo, scuro, ingrigito e disumanizzato dalla tecnologia? Diremmo proprio di no, ma “The new post-literate” viene dalle teorie di McLuhan che immaginava una società multimedia-literate, post-literate perché trans-literate, ovvero una società che sarebbe andata verso orizzonti di universalità comunicativa proprio perché, grazie alla tecnologia, sarebbe venuta sempre di più meno la separazione fra gli ambiti creando linguaggi trasversali e contaminati e, nonostante le obiezioni che potrebbe produrre Montana, l’asemic ricade in questo fenomeno perché nella sua evoluzione è spesso stato inglobato (e tutto questo è presente nel saggio, ma Montana lo ha letto?) nella poesia visiva e affiancato o mutuato dal ricorso a simboli, affiancato e/o derivato a/da lingue storiche ormai morte ecc., correndo sul doppio binario ora dell’affrancamento da questi altri segni, ora della coabitazione, ma non è questo il punto, l’universalità risiede già nel rifiuto di strutturarsi in un linguaggio e in un senso socialmente istituiti a vantaggio del non istituito socialmente, di un senso che è esperienziale per il fruitore (ancora, guarda un po’, ci si deve richiamare a McLuhan e alla fallibilità dell’esperienza e del suo senso). Montana conosce l’opera di Federico Federici che spazia dall’analogico della macchina da scrivere al gesto calligrafico alla digitalizzazione del movimento calligrafico? Montana conosce l’opera iperestetica (già, l’autore considererà improprio questo termine perché con ogni evidenza non aggiorna le proprie competenze da tempo immemore: iperestetica ovvero l’estensione dell’apparato teorico e metodologico al di sopra – eccesso di immagini – e al di là – ovvero all’incrocio con altri saperi) di Miron Tee? Conosce il lavoro di Spencer Selby e Marco Giovenale e Axel Calatayud sulle relazioni fra asemic writing e linguaggi digitali quali fotografia, glitch e video? Conosce le intersezioni jacobsiane (M. Jacobson) fra immagine-video e asemic writing? Conosce le relazioni fra i processi di stampa digitale e la scrittura asemica, ovvero gli interrupt di Mariangela Guatteri? Conosce la spazialità relazionale-ambientale fra scrittura asemica e paesaggio, ad esempio, nei lavori di Lina Stern e Martina Stella dove nel secondo caso si ha a che fare, anche, con il video e la performance? Non a caso Mario Costa individua, come elemento caratterizzante la contemporaneità, il suo essere riconducibile ad un “flusso asemantico”.







Per ragioni di spazio, per non dilungarci in maniera eccessiva, ci limitiamo ad alcuni esempi chiave, ma potrebbero continuare dato che sono numerosi.
Dicevamo che Montana prende e cita spezzoni di testo che non fanno riferimento ai medesimi argomenti, ad esempio la citazione davvero fuori posto di Emilio Villa, Kline, Hartung ecc., inserendoli all’interno del nostro discorso sulle tecnologie, ma chi vorrà leggere il saggio noterà che quell’ordine e organizzazione del discorso non esiste nel testo originale, ma è frutto della manipolazione del gallerista di Bagheria.
Il capitolo 3.3.6 è una breve porzione di testo dedicata a Emilio Villa e che qui riportiamo per intero e come risulta subito evidente, Villa non viene definito “asemantico” e non viene inserito in nessun discorso sulla tecnologia:
La pratica poetica di Emilio Villa occupa una posizione appartata, eppure centrale, nel panorama delle esperienze di ricerca, sempre al margine per tensione poetica, ma crocevia fondamentale per gli artisti e autori più spinti sui versanti del sabotaggio dei linguaggi, ed è esattamente di questo che bisogna parlare per l’opera di Villa. Egli inserisce di continuo elementi testuali volti ad alterare e sabotare l’ordine costituito, gerarchico e tradizionale, di lettura e scrittura, per manipolare l’andamento del testo e intervenire manualmente fino alla deformazione del costrutto tipografico per mezzo di una scrittura manuale dal forte impatto visivo. Essa sarà capace di indurre suggestioni, fungendo da linfa per i successivi autori della sfera asemantica. Basti pensare a quanta importanza assume per i successivi autori la dimensione vettoriale dell’opera villiana, dunque l’utilizzo di frecce e di una grafia sovrapposta, slabbrata, deteriorata e indirizzata nello spazio della pagina in modo da destabilizzarne il costrutto tipografico-razionale. Il pervertimento del testo è il pervertimento dell’ordine storico.
Aprile F.-caggiula c.
Ora riportiamo l’operazione di manipolazione che Montana ha operato sul nostro “Note sull’asemic writing” (da notare come il gallerista inserisca fra caporali stralci del nostro lavoro che appartengono a capitoli che affrontano tematiche diverse, l’effetto è manipolatorio perché arriva a fare affermare al saggio originale qualcosa che non è mai stata scritta. Davvero un bell’esempio di come non si debba lavorare sul piano storico e critico):
I nostri due autori ponendo in fatti l’accento inspiegabilmente sul processo di un fare gestuale proprio della scrittura asemica, di una scrittura asemantica in progress, la situano perfettamente nei piani di lettura di una società mutata, nelle sue pratiche e strutturazioni, dall’apporto mass mediale, multimediale, che il sociologo canadese teorizzò in una sua opera “Post-Literate Society”, come <<una società post letteraria, partendo dalla prefigurazione secondo la quale il livello di evoluzione della tecnologia avrebbe portato ad un grado di multimedialità tale da indurre modificazioni sostanziali sul piano sociale e umano e che l’uomo sarebbe diventato media literate, multimedia literate, visually literate, transliterate>> In questa società l’alfabetizzazione avrebbe smesso il suo ruolo attuale per trovare, la sua risemantizzazione alla luce dei cambiamenti mediali che avrebbero portato ad una <<universalizzazione comunicativa, immediata, dove la cultura dell’immagine e del suono avrebbe ritrovato un ruolo di primo piano>>. Da qui il passaggio da una cultura verbale a una nuova cultura dell’immagine e dell’oralità differente ossia il passaggio, in base all’evoluzione tecnologica, da una cultura scritta ad una visuale e al contempo orale, digitale e dinamica, immediata, che per esempio può trovare un suo riscontro nella poesia verbo-visiva ma non di certo, come scrivono i due nostri autori nelle <<deformazioni introdotte da Emilio Villa nell’afflato calligrafico, autorale, gestuale, della sua scrittura>> che era anche proprio dell’afflato << di una scrittura di una pittura segnica, gestuale (Kline, Mathieu, Hartung ecc.), performativa (Vedova, Pollock ecc.) e che sulla scia di alcune tracce liberate da Jean Fautrier apre fra gli anni ’40 e ’50 all’intervento libero del corpo, del gesto, che agisce con la sua pressione sul supporto fino a personalizzare la scrittura col fatto privato, il segno calligrafico, dell’autore.>>
piero montana
Come risulta evidente dal capitolo su Emilio Villa, l’apporto fondamentale del poeta non è inserito né nell’asemic né nel discorso sulle tecnologie. Montana taglia e ricompone elementi dal capitolo 3.1 che si intitola “Scenari asemici” non perché si faccia solo riferimento all’asemic writing, ma perché rappresenta una sorta di introduzione storica, vuole rappresentare un percorso, seppur minimo, di avviamento e avvicinamento all’evolversi dell’asemanticità in scrittura. In sostanza, vengono presi in considerazione alcuni passaggi che hanno contribuito a preparare il terreno e che riportiamo nella loro interezza così che possa risultare evidente l’intento manipolatorio:
Il processo di storicizzazione ed evoluzione delle scritture asemantiche può essere letto all’ombra delle teorie sociologiche del canadese Marshall McLuhan. Egli arrivò a teorizzare una società post letteraria (Post-Literate Society, 1962), partendo dalla prefigurazione secondo la quale il livello di evoluzione della tecnologia avrebbe portato ad un grado di multimedialità tale da indurre modificazioni sostanziali sul piano sociale e umano. L’uomo sarebbe diventato media literate, multimedia literate, visually literate, transliterate. L’alfabetizzazione avrebbe smesso il suo ruolo attuale per trovare, il termine, risemantizzazione alla luce dei cambiamenti mediali propri di una società il cui orizzonte doveva essere quello di una universalizzazione comunicativa, immediata, dove la cultura dell’immagine e del suono avrebbe ritrovato un ruolo di primo piano. Notava McLuhan che l’uomo sarebbe andato incontro ad una ritribalizzazione. Di ciò, sono segni evidenti quelli che appartengono al passaggio da una cultura verbale ad una nuova cultura dell’immagine e dell’oralità differente, tuttavia, dalle società pre-alfabetizzate le quali non possedevano ancora una loro scrittura. Allo stesso modo in cui Platone operava in una società, quella greca, che si trovava nel bilico del passaggio da una cultura orale ad una scritta (e lo stesso Platone sottolineava la “superiorità” dell’oralità riconoscendo però la necessità dello scritto), la società contemporanea può essere letta, nell’ottica delle evoluzioni tecnologiche, come un passaggio da una cultura scritta ad una visuale e al contempo orale, digitale e dinamica, immediata. Prime avvisaglie sono le violazioni estetiche del testo all’interno delle avanguardie storiche per poi proseguire con le esperienze delle successive avanguardie. Il pervertimento della storia attraverso gli inserimenti e le deformazioni introdotte da Emilio Villa nell’afflato calligrafico, autorale, gestuale, della sua scrittura. Con la poesia verbo-visiva risulta evidente il passaggio che il testo assume dal verbale al visuale (senza dimenticare l’accentuata e necessaria componente socio-politica e lo sguardo critico verso l’immagine del potere nei new media), passaggio che con l’asemantico non arretra e non cambia rotta, al contrario si estremizza nella valenza estetica di un segno che appare sempre in prossimità della verbalizzazione, sostando invece negli ambienti di una cultura visiva tipica di un uomo visually literate, perdendo forse quella componente critica tipica della poesia verbo-visiva. Gli aspetti sonori e performativi che assume la poesia lungo tutto il ‘900 contribuiscono inoltre a spostare ancor di più l’asse dal verbale all’orale e visuale. La scrittura – anche sotto l’influenza di una pittura segnica, gestuale (Kline, Mathieu, Hartung ecc.), performativa (Vedova, Pollock ecc.), o sulla scia di alcune tracce liberate da Jean Fautrier – apre fra gli anni ’40 e ’50 all’intervento libero del corpo, del gesto, che agisce con la sua pressione sul supporto fino a personalizzare la scrittura col fatto privato, il segno calligrafico, dell’autore. L’asemic writing ponendo l’accento sul processo di un fare gestuale, quindi una scrittura in progress, si situa perfettamente nei piani di lettura di una società mutata, nelle sue pratiche e strutturazioni, dall’apporto mass mediale, multimediale, che nel passaggio dalla carta stampata ad un mondo pervaso da una miriade di nuovi media mostra come la stampa s’interessi a ciò che è accaduto; mentre «i notiziari televisivi sono più vicini a ciò che sta accadendo, e cioè, una specie di replay istantaneo della vostra stessa vita, mettendo l’accento non sul prodotto ma sul processo. La stampa, come il libro, è un prodotto confezionato. Le notizie sono un processo in marcia» (McLuhan, 1982, p. 87).
aprile f.-caggiula c.
La citazione finale di McLuhan è calzante, pertinente e mostra come lo statuto del processo sia insito nella condizione massmediologica. Inoltre, fatto assodato è che un discorso sull’asemic non può non rilevare la processualità del fare gestuale, per cui appare ancor più ingiustificato e imbarazzante l’appunto di Montana: “ponendo in fatti l’accento inspiegabilmente sul processo di un fare gestuale proprio della scrittura asemica”. “Inspiegabilmente sul processo di un fare gestuale”? “Inspiegabilmente”? Montana, cerchiamo di esser seri.
Inoltre, appare evidente che quando si parla di “prime avvisaglie” si sta trattando tutto ciò che ha contribuito a preparare il terreno, il capitolo incriminato, risulta così evidente, è preparatorio, introduttivo sotto diversi punti di vista: quelli sociali (l’asemic non è condizione ontologico-metafisica astorica, ma è calato in un tempo e in una società anch’essi in progess, non immutabili e granitici, ma erratici), quindi tecnici perché questa è inscindibile dallo sviluppo della società e dell’uomo, culturali, artistici e letterari.
Prosegue ancora Montana:
Pertanto davvero non si capisce come l’asemic writing, che diciamo così, si fonda sul processo di un fare gestuale, calligrafico di una scrittura in progress, <<possa situarsi perfettamente nei piani di lettura di una società mutata, nelle sue pratiche e strutturazioni, dall’apporto mass e multimediale>>. Aprile e Caggiula influenzati dalle teorie sociologiche di McLuhan purtroppo mostrano con il loro scritto come l’asemic writing con la sua manualità, che denota la sussistenza dell’anima dell’artista, non ancora fagocitata dal Moloch tecnologico, rimane fuori non solo dalla portata tecnologica dei mass media ma sia proprio contro di essa in aperta rivolta.
piero montana
Montana, ancora una volta, considerando l’asemic dal punto di vista consolatorio dell’anima, fatica a recepire come i mezzi e le tecniche concorrano in maniera importantissima alla definizione del contesto e che anche un mondo volto alla digitalizzazione è un mondo orientato al “gesto”. Ma parlare di “aperta rivolta” per l’asemic writing è fuori da ogni orizzonte storico e sociale. Dove la vede, la rivolta, Montana? Si vedono, invece, molti autori che si abbandonano alla deriva estetizzante della pratica asemantica e concentrano il loro mondo lungo le dorsali delle logiche capitalistiche dei like (e a questo non sfugge neppure Montana con il suo uso affannoso, frenetico, manipolatorio dei testi suoi social che privilegia l’evidente ricerca di affermazione anziché lo statuto della rilevazione storica e critica, quindi conoscitiva, delle tematiche in essere). L’uomo, in quanto produttore di media, è esso stesso sostanza porosa ed è dai media modificato. La definizione di una società appare impossibile ignorandone i mezzi, le tecniche e quanto questi incidano sull’ambiente e sull’uomo stesso. Soprattutto, sono i codici informatici, oggi, a esercitare la più feconda azione di manipolazione degli spazi e ridefinizione del mondo nella contemporaneità. Il filosofo Cosimo Accoto parla, da questo punto di vista, di “trasduzione” da parte del codice sul mondo e lo fa con l’esempio calzante del supermercato che, nel collasso dei software delle casse, retrocede alla funzione di magazzino, in quanto avrebbe le merci, ma non potrebbe più venderle. Per buona parte del Novecento l’uomo ha prodotto, in arte, scandali, eccessi, perché si trattava di un uomo ancora utopico, giovane, bambino (il ‘900 è l’alba di un mondo nuovo che rimescola le grandi aree delle diverse età estetiche della storia, condensando millenni, concependone di nuove), in grado di sorprendersi. Oggi, al contrario, è discepolo della produzione, alla deriva nell’emozione che è del capitale, disincantato e disperato, assuefatto a tutto, difficilmente suscettibile allo scandalo artistico, che non scandalizza più, fra l’altro. Il mondo è talmente permeato dal capitale da far risultare perfetta, per i tempi, la definizione di “artistizzazione” fornita da Perniola: l’opera d’arte è tale non per il valore intrinseco, ma per il sistema di relazioni che ne stabilisce lo statuto estetico.
Nell’utilizzo delle strumentazioni digitali, mediali, l’uomo ha costruito una società della distanza e, al contempo, del controllo. Tutti controllano tutti, comodamente da casa, restando a distanza. Gli strumenti sono innumerevoli. Questa società della distanza ha creato oggi il terreno perfetto per il proliferare delle scritture asemantiche e manuali in genere, ma non perché queste siano in rivolta. È ben diversa la portata polemica dei primi writers americani che erano lontani anni luce dall’estetizzazione dell’odierna street art, al contrario erano writers, e imbrattavano porte, muri, vetri delle banche e vagoni ferroviari con graffiti non decorativi. L’asemic non conserva nulla più di questi aspetti (se non il valore più immediatamente visibile e superficiale) e soltanto chi, come Montana, non avendo presente la storia e la contemporaneità del fenomeno, può pensare di trovarsi davanti a qualcosa di rivoltoso. Va inoltre detto che il continuo indirizzarsi allo spirito, all’anima, da parte di Montana sia qualcosa che oggi più che mai è figlio dei tempi, anche lì l’autore non è in rivolta e non scopre qualcosa di diverso dall’andamento della società. Il consolatorio dell’anima, il ripiegamento nell’intimità sono elementi strutturali della condizione-postmodernità, sono le colonne del capitale che ha nelle sue accelerazioni sempre accelerazioni emozionali. Rinunciando, come fa Montana, a concepire il pensiero come momento critico di analisi e la poesia – sì, il fulcro su cui poggia l’asemic è quello delle sperimentazioni letterarie, se ne sarà accorto il nostro? – come esperienza conoscitiva non si fa altro che rinsaldare le fila del capitale. Il gesto, allora, con il suo movimento è figlio di questo tempo che tenendo a distanza genera comunque una richiesta di contatto che viene trasposta nei termini di una gestualità minima (come il movimento delle dita sugli schermi digitali) anziché di una gestualità sovrabbondante ed eccessiva come poteva essere quella scritturale-performativa, ma anche pittorica, di certe esperienze novecentesche che si situavano in un contesto diverso, che, sì, poneva le basi per quello che viviamo oggi, ma non era ancora, appunto, l’oggi. L’uomo che esce dagli sconvolgimenti di due guerre mondiali è in un clima esistenziale differente, o forse Montana pensa all’animella bella e immutabile, monolitica e astorica? Risulta difficile relazionarsi con la molteplicità di sfaccettature che caratterizzano questo tempo perché tutto non è mai nettamente definito, mentre Montana dimostra di pensare e categorizzare in maniera assoluta e soprattutto dicotomica (corpo/anima, spirito/materia) con categorie inadeguate e superate. Arretrate.
Parlando delle “Note sull’asemic writing” e in particolare di Michaux, Montana scrive:
Nel testo di Francesco Aprile e Cristiano Caggiula con un certo interesse è dedicato dello spazio a Henry Michaux, scittore che già negli anni 20 produsse delle opere, che oggi verrebbero definite asemiche. Per quanto ne sappiamo non c’è testimonianza che esse furono eseguite sotto l’effetto della mescalina. Agli “stati di coscienza” che questa droga potette causare nel nostro artista, a posteriori è possibile ma non certo che si possa attribuire la loro creazione sebbene i nostri due autori la danno per scontata.
piero montana
Il nostro opera l’ennesima falsificazione del testo originale. Nel paragrafo 2.1, infatti, si fa riferimento alle prime pratiche, che oggi possiamo considerare asemiche, di Michaux, risalenti agli anni Venti, senza per questo ricondurle alla mescalina. Solo Montana pare aver ricavato tale falsità storica. Soprattutto il gallerista si rende autore di uno strafalcione encomiabile:
Per quanto ne sappiamo non c’è testimonianza che esse furono eseguite sotto l’effetto della mescalina. Agli “stati di coscienza” che questa droga potette causare nel nostro artista, a posteriori è possibile ma non certo che si possa attribuire la loro creazione sebbene i nostri due autori la danno per scontata.
piero montana
Già si è detto che nel paragrafo 2.1 le sperimentazioni degli anni Venti non vengono ricondotte alla mescalina:
All’interno del panorama novecentesco si muovono una serie di autori, dipanati lungo tutto il globo, che senza manifesti teorici comuni praticano linguaggi che oggi siamo in grado di catalogare sotto la voce asemic writing. Dagli anni ‘20 ad esempio partono le prime esperienze in legate alla pratica autorale di Henri Michaux (Alphabet, Narration, 1927) mai abbandonate, che troveranno, dunque, una prosecuzione importante lungo tutta l’opera dell’autore.
aprile f.-caggiula c.
Non è presente quello che afferma Montana, ma soprattutto non si sa su quale base il gallerista siciliano possa negare che opere successive, raccolte nel libro “Miserabile miracolo [la mescalina]. L’infinito turbolento”, facciano parte di quel ciclo di testi e interventi visivi che l’autore ha realizzato sotto l’uso della mescalina. Se Montana lo può negare, se è in possesso di elementi inediti tali da sconfessare tutto quel testo di Michaux, allora dovrebbe renderli pubblici, altrimenti, come direbbe qualcuno che non c’è bisogno di citare, “su ciò di cui non si può parlare si deve tacere”. Michaux iniziò negli Cinquanta i suoi esperimenti sotto l’uso di sostanze varie, fra queste la mescalina. Si fece assistere da uno psichiatra durante queste ricerche, ma se Montana può smentirlo allora è il momento che il mondo lo sappia.
Nel saggio procediamo così, ancora in riferimento al testo di Michaux:
Maurice Blanchot nell’introduzione italiana ai testi Miserabile miracolo [la mescalina], L’infinito turbolento (Feltrinelli, 1967), afferma che «Michaux parla dell’infinito come di un nemico dell’uomo, della mescalina dice che “rifiuta il movimento del finito”: Infinivertita, stranquillizza». Appare essenziale la sottolineatura di Blanchot riguardo le parole di Michaux, mettendo in evidenza come sia già presente negli scavi dell’autore francese quella tensione al processo, quel paradosso che rifiutando il movimento del finito si affida al processo, al divenire, poi ingabbiato nella finitezza del segno sulla pagina, eppure rivolta al divenire perché processo, figlia della natura umana «che è invece incerta e indecisa; infinita, perché è eccessivamente finita» (Blanchot, L’infinito e l’infinito). Dalla decisione di Michaux di documentare gli effetti della mescalina, la conseguente catalogazione, segnalazione, del segno, si evince la presenza di una volontarietà del segno, definito come movimento vibratorio, gesto intimo, che se dall’inconscio muove verso il mondo, è colto nella consapevolezza di una volontarietà resa esplicita dal capovolgimento lacaniano del cogito di Cartesio, dalla messa in evidenza che il pensiero non è estraneo all’inconscio, e che questo muove di continuo un dialogo col conscio.
aprile f.-caggiula c.
Montana, in modo del tutto confusionario e sconnesso – evidentemente l’asemic lo manda in bambola – continua tagliando e incollando e costruendo discorsi fra sé e sé, ma che non trovano mai l’aderenza con il testo di origine, afferma:
Ecco allora che da uno dei testi sicuramente più belli di Michaux “L’infinito turbolento”, in cui l’autore scrive che <<la mescalina rifiuta la pacificazione del finito che l’uomo, dotto nell’arte del segnare i confini, sa trovare così bene. (Che)… la mescalina, il suo movimento fuori dai confini……Infiniversa, detranquillizza>>, si traggono delle conclusioni discutibili.
piero Montana
A riguardo Maurice Blanchot nel saggio “L’Infini littéraire: l’Alepheh”, tratto dal libro da noi sopra citato “Il libro a venire” (Le livre à venir) scrive che anche un altro scrittore, Borges, << parlando dell’infinito, dice che questa idea corrompe le altre. Michaux evoca l’infinito, nemico dell’uomo, e dice della mescalina che rifiuta il movimento del finito: Infinivertie, elle detranquillise>>. Come da questo infinito, nemico dell’uomo e da cui l’uomo si mette a riparo si possa pervenire, in parole povere, alla delineazione del segno asemantico in un’opera d’arte è cosa che ai nostri due autori non riesce e per il semplice motivo che l’infinito di Michaux non si lascia addomesticare e “tradurre” in segni da un volontarismo soggettivo, umano o cartesiano che sia, dal momento che la mescalina, che sembra essere costituita dalla stessa sostanza dell’infinito, non potrebbe che metterlo in crisi.
piero montana
Per tutta risposta rimandiamo alla precedente citazione dalle “Note sull’asemic writing” in cui si fa riferimento al testo di Michaux dove quello che Montana non coglie è così evidente da essere esposto, quasi messo in vetrina. Montana non concepisce lo statuto di un gesto considerato proveniente dall’inconscio perché si colloca, con il proprio pensiero, in un’era pre-moderna, dove lo statuto inconscio è relegato in una intimità irrazionale, ma, è bene ricordare, siamo ancora nel capovolgimento del cogito cartesiano operato da autori come Lacan e Foucault per cui pensiamo dove non siamo e siamo dove non crediamo di essere.
Montana:
Quel che di seguito tuttavia vorremmo mettere in discussione non è tanto l’indiscutibile collegamento fra scrittura asemantica e arte astratta, sostanziato << nella reciproca povertà di immagini e nella ripetizione dei segni che escludono una interpretazione semantica del linguaggio>> asemico quanto il rimando << invece ad un vuoto di senso che nel processo dell’opera può essere fallito, disperso, e/o raccolto su un piano differente da quello della scrittura, da parte dell’osservatore, che lo riempie – o può riempire – proprio come l’osservatore di un’opera d’arte astratta.>> In che cosa infatti consisterebbe questo riempimento? Certo non di interpretazioni semantiche. E allora?
piero montana
Ancora una volta bisogna rimandare l’autore alla distinzione fra senso e significato, dove il primo può essere un elemento esperibile in assenza di soluzioni semantiche. Per altro, l’asemic è elemento della comunicazione e la scuola di Palo Alto ci insegna come anche lo schizofrenico, che pretenderebbe di negare la comunicazione, è sempre all’interno di essa. O forse Montana pensa che colore, gesto, materiali, corpo, superfici, segno, tecnologie ecc., non portino con sé alcun senso? (sono media, e in quanto tali non sono neutrali). Qui andrebbe rimandato ad uno studio attento del da lui odiato McLuhan per poi passare alle tesi di Ugo Carrega e Rolando Mignani e Francesco Saverio Dòdaro che di certo non possiamo avere qui né il tempo né la pazienza di dover spiegare a chi, ancora una volta, pretende di affrontare argomenti sui quali appare impreparato.
Ancora è necessario rimandare l’autore alla distinzione fra senso e significato, al concetto di un senso inteso come sopra, nel momento in cui scrive:
Ora della scrittura asemica in quanto asemantica se non possiamo parlare di opera nel senso sopra chiarito, possiamo però dire che ugualmente essa è produzione ma non di sensi bensì di energia non convertibile alla significazione semantica, energia di cui i segni sarebbero visibilmente espressione.
piero montana
Montana:
Per tornare al teso dei nostri due autori troviamo molto interessante quel che vi troviamo scritto a proposito<< dell’asemic writing, non ancora provvisto di tale definizione, sul finire degli anni ’50>> Infatti nelle linee di ricerca verbo-visive «prima di tutto entra con forza nel testo la sfera del soggettivo, quasi del privato, diversamente dalla universalità linguistica e comunicativa ricercata nelle operazioni del primo concretismo: “la mano riafferma i propri diritti” afferma Menna “introducendo, con le deformazioni soggettive che essa reca con sé, una quantità di rumori che intralciano la comunicazione; …con l’intento di imitare la scrittura ne inventa totalmente una altra, situata in una zona intermedia tra pulsione e discorso”>> anche se qui andrebbe sempre sottolineato che la pulsione, spinta, stimolo energetico, come viene riconosciuta anche da Aprile e Caggiula, che di essa parlano per l’appunto come energia impressa al movimento della mano, qualitativamente non si converte mai se non a un “discorso”asemantico, espressione psichica di una catarsi liberatoria di tali pulsioni energetiche. Purtroppo a tale espressione psichica nel loro scritto i due autori non accenneranno più, soprattutto quando, contraddittoriamente a quanto prima detto, seppure in un contesto diverso dell’asemic writing ma pure connesso con esso, vien riferito riguardo all’ <<estremizzazione grafica di Cristian Dotremont che (essa) appare figlia del movimento che è una radicazione nel corpo, nella realtà materiale e materica della vita>>
piero montana
L’autore assolutizza la psiche riducendola a categoria aprioristica, come se non fosse di suo calata in un corpo e immersa nella vita che è sociale con tutto il bagaglio di esperienze e influenze che la società comporta. La posizione teorica di Montana appare ancora una volta arretrata, ancora invischiata nel dualismo anima/corpo (dove gli elementi sono considerati come compartimenti stagni), tanto da confondere il privato con una sorta di giaciglio isolato e assolutizzato rispetto al mondo. E qui bisogna rimandare l’autore a Lacan, almeno Lacan, consigliandogli di riprendere anche il suo amato Blanchot dove il discorso si colloca al di fuori della parola, sotto l’influsso del fuori, nel pieno del moto dello scrivere. L’attrazione alla quale è sottoposto tutto ciò è “l’attrazione del fuori”.
La contraddizione risulta inesistente: Dotremont lavora sulla materialità e non si capisce per quale motivo energia e materialità del significante debbano essere concetti contraddittori all’interno di uno stesso discorso.
Montana:
Più coinvolgente quanto viene riferito sulla pratica poetica di Emilio Villa, che avrà una ripercussione <<per gli artisti e autori più spinti sui versanti del sabotaggio dei linguaggi>> perché l’artista nelle sue opere <<inserisce di continuo elementi testuali volti ad alterare e sabotare l’ordine costituito, gerarchico e tradizionale, di lettura e scrittura, per manipolare l’andamento del testo e intervenire manualmente fino alla deformazione del costrutto tipografico per mezzo di una scrittura manuale dal forte impatto visivo…. (perché) il pervertimento del testo è il pervertimento dell’ordine storico. Un colpo di stato semiologico» .
Sembra pertanto superfluo specificare a riguardo il carattere di insubordinazione, di rivolta che sarà proprio della scrittura asemica nei confronti dell’ordine costituito, su cui tuttavia ritorneremo nella terza ed ultima parte del nostro scritto.
piero montana
Montana torna sulla questione Emilio Villa e, ancora una volta, non si capisce davvero come faccia e parlare di asemic writing dato che nelle “Note” è inserito solo come un autore che ha fornito spunti e direzioni importanti, fondamentali. Forse che Montana non conosca minimamente l’opera di Villa? Come, per altro, la storia e la contemporaneità dell’asemic writing.
Ancora, infatti, insiste e persiste, diabolicamente:
Detto questo col tornare alla poetica di Villa, non possiamo non vedere in essa, come hanno assai correttamente fatto i nostri due autori, gli sviluppi assai significativi di quella che possiamo ritenere una corrente anarchica dell’asemic writing, che parte proprio da quel colpo di stato semiologico, di cui si è parlato riguardo nell’opera dell’artista romano.
piero montana
Chiunque vorrà leggere le “Note” originali avrà modo di notare che mai Emilio Villa è definito come promotore o uno dei promotori di una “corrente anarchica dell’asemic writing”. L’anarchismo di Villa è indirizzato tutto alla poesia, ma questo è un altro discorso e non possiamo certo iniziare un saggio su Villa in questo contesto di imbarazzanti rettifiche.
Montana:
Se noi nell’insurrezione poetica e programmatica di Villa abbiamo visto delle intenzioni e dei risultati positivamente libertari, in Diacono scorgiamo invece una loro estrinsecazione nevrotica che sfocia nel materismo.
E qui ancora una volta facciamo notare la nostra non condivisione di esso in quanto senza imprinting, senza anima. Infatti ogni movimento gestuale della mano (del corpo) che traccia segni su un qualsiasi supporto senza un riconoscimento proprio di quell’imprinting che gli ha dato la partenza avviandolo è un movimento di cui non si riconosce la paternità o maternità spirituale. E’ un movimento cieco avviato non dall’anima ma dalla parte più oscura di essa ossia da quella parte del subconscio da cui si lascia guidare.
piero montana
In sostanza, ogni riferimento al gesto è, per l’autore, quasi un parlare di un corpo morto che agisce. Il modo di intendere l’inconscio si mostra, ancora, come pre-moderno. Nella definizione di Montana, in sostanza, risultano evidenti retaggi religiosi che l’autore spinge in fondo, insabbia, ma muovono tutto il suo discorso. Manca soltanto il soffio divino.
Montana:
Quando ai primi anni degli anni ‘70 compare il termine di scrittura asemantica, traiamo dal nostro testo di riferimento pure l’informazione che Tomaso Binga, performer e poetessa visiva, ne realizza un progetto sperimentale in alcune opere <<che mostrano chiaramente segni della gestualità asemantica, dove la texture calligrafica, smessi i panni della significazione semantica, sembra custodire i segreti della corporalità umana, il mistero del volto, l’espressione dell’altro che si manifesta non nella riproposizione “ritrattistica” bensì nella messa in evidenza del privato-corporale che emerge dal movimento gestuale dell’opera>>, evidenza che a noi sinceramente non sembra tale dopo aver visionato le immagini delle opere dell’artista, da dove ci risulta per fortuna inespressa proprio la dimensione corporale, privata che ad esse si vuole attribuire.
piero montana
All’insensatezza di questa affermazione rispondono, senza null’altro aggiungere, le immagini delle opere di Binga dove la scrittura è in strettissima relazione con il corpo. Chissà cosa e come avrà visionato il prode Montana, dato che questi aspetti dell’opera di Bianca Menna sono ormai noti.



Montana:
Ancora in una dimensione verbo-visiva dove affiorano momenti autorali anarchici, legati al gesto, che liberano una scrittura materica senza intenti di significazione si sarebbero espressi autori e poeti verbo-visivi come Luciano Caruso, Francesco S. Dòdaro, Mario Parentela, Mennitti Paraito, Jano Barbagallo, Fernanda Fedi, Fernando Andolcetti, Enzo Miglietta, Gigi Caldanzano, Carmine Cianci, Franco Magro e altri ancora. Anche in questi artisti ci sembra molto discutibile un’attribuzione materica alla loro scrittura. Attribuzione materica che è invece sembra essere non solo il leitmotiv di queste note sull’asemic writing ma anche l’ossessione da parte dei loro due autori.
piero montana
Probabilmente Montana non conosce nessuno degli autori citati. Luciano Caruso, Saverio Dòdaro ed Enzo Miglietta, su tutti, hanno lavorato una vita intera sulla materialità del linguaggio, del significante. Per gli altri, parla una rapida visione delle opere incentrate sulla gestualità.
Va detto che, per molti di questi autori, in primis Dòdaro e Caruso, riferimento importante è il pensiero di Lacan dove possiamo trovare la presenza di una “lalangue”, derivata da “lallation”, e che fa riferimento a ciò che è fecondato, ingravidato, effetto di lallazione manifesto nella prima relazione linguistica. Lalangue è la lingua madre che noi abitiamo, che non scegliamo e parla in noi. Non appartiene al sociale, dunque non alla cultura, né al padre, ma è nel corpo e vivifica il soggetto (oh ancora il corpo, il nostro salterà sulla sedia!). Sempre in Lacan abbiamo una discontinuità, una frattura tra significante e significato e che è indicata come “motérialisme”, vale a dire il materialismo del significante. Lalangue è la lingua del resto, ossia di ciò che nell’accesso al mondo del simbolico, del sociale, si situa nel rimosso. (Si potrebbe scomodare il gnessulògo zanzottiano, ma il nostro finirebbe per attribuirci l’assegnazione di questo nell’asemic writing, per cui sorvoliamo).
Alcune opere verbovisive e asemantiche di Luciano Caruso:




Anche in queste opere verbovisive di Dòdaro, davvero, così assente la materia, è tutto volatile, impalpabile animella, spirito, soffio in devota preghiera:




[1] Aprile F.-Caggiula C., Note sull’asemic writing, utsanga.it, 2015
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