Affioramenti. Dilavazioni
by Francesco Aprile

 

testo per la mostra di Andrea Astolfi, “Mai successo prima”

 

Per ‘informe’ s’intende essere nella forma eppur distaccati da essa; per inconscio s’intende aver pensieri, eppur non averne; quanto al ‘non-permanente’, esso è la natura primaria dell’uomo.
Hui-neng

 

 

In un viaggio di ritorno dal Giappone, sorvolando le lande siberiane, nasceva per Lacan l’idea poi formulata sotto il nome di Lituraterra. L’Altro, per Lacan, ci piove addosso, nasciamo segnati, immersi nel linguaggio. L’immagine che evoca questa dimensione è quella, ancora, delle lande siberiane viste dall’alto, sorvolandone le tessiture, dove la pioggia, l’acqua, erodono, lasciano segni, tracciati, scrivono la terra come su un foglio. Se è l’altro che ci dona la cifra della nostra esistenza, punto a partire dal quale ci definiamo in quanto uomini, è all’altro che il discorso dei segni, della scrittura, guarda nell’ottica di un processo erosivo che la pioggia di significanti pone in essere sul soggetto, attuandone la disposizione e definizione delle forme di godimento e non solo. Le nuvole-significanti, l’altro, piovono sul corpo-foglio, erodono, scrivono, segnano, formano e nel segno di questa iscrizione il soggetto viene definito, svegliato e inciso, producendo, nell’incisione, nel sopraggiungere di un certo godimento, il trauma del significante, il quale chiama il soggetto a una risposta: la forma singolare del proprio godimento, la scrittura della propria lingua che non si affanna nel ricalcare il significante, ma si produce a partire dagli effetti di lingua di quest’ultimo. La scrittura, infatti, è erosione dilavante e nella lettera s’innesta il punto di articolazione fra sapere e godimento, simbolico e reale. Questa lettera-litorale è luogo di affioramenti; in quanto litorale è formazione di scarsa coesione, vede affacciarsi detriti – i quali si nascondono o riemergono – è tracciato fragile, multiforme, instabile, che apre alla non-permanenza, alla variazione. 

Da questo punto di vista il lavoro di Andrea Astolfi sulle forme dello scrivere è percorso che guarda e attiene, in modi differenti ma stretti, strettissimi, alla curva di una sparizione dell’oggetto-significato che nella verve orientalista dell’autore muove le procedure di significazione verso le problematiche di una pratica vitale, urgente non dell’urgenza mitico-romantica dello scrittore che sente l’impellente necessità, ma dell’urgenza propria di una esistenza scalfita dal significante, incisa, traumatizzata da un godimento che fa buco e relega il soggetto al vuoto, salvo poi organizzare il materiale di queste sedimentazioni nelle azioni di una quotidianità esperita non nella forma differita del “racconto” poetico-narrativo, ma nella chiave corporea dell’affioramento. La parcellizzazione estrema dell’haiku nella forma-flusso della scrittura in Kireji, testo auto-prodotto da Astolfi nel 2020, è solo una delle pratiche in cui l’autore muove le pedine di una singolarità dell’istante. L’haiku, allora, è motivo centrale anche nella serie di scritture asemantiche che l’autore presenta in mostra con il titolo, appunto, di “Asemic haiku”. Il tessuto di questi haiku visivi, dove la condizione orientale della posizione minoritaria del significato e di un senso organico e organizzato dall’autore stesso – Roland Barthes ci ricorda che il senso entra per effrazione, che è l’uomo, occidentale, a causare questa rottura nelle cose – è quello della precarietà, di un segno minimo che sposa non l’autoreferenzialità egoica e sociale che, dunque, cerca di imporsi, al contrario è l’emblema di una forma laterale e litorale, di una singolarità che non viene schiacciata dall’universalità del significato, ancora, sociale, ma avvantaggia le forme del rimosso e del resto nella coesione minima dei segni che non egemonizzano la pagina cercando la forza, ma affiorano nella precarietà come unico piano regolatore litologico, come vegetazione non di un terzo paesaggio, bensì di un quarto che attiene al corpo autorale e al suo rimosso, al suo sopravvivere nel substrato del mondo. Questa scrittura fragile, laterale, è dilavante, sbiadisce chiamando a sé le forme delle grafie orientali, sì, ma estremizzate nella performance di un gesto rapido e istintivo, meno concentrato nella calma di una costruzione morbida e precisa del segno, che si colloca lungo i percorsi delle dinamiche asemico-visive di Michaux e della Scrittura Simbiotica/Nuova Scrittura di Ugo Carrega. Da un altro punto di vista gli haiku asemantici di Astolfi procedono e si sviluppano abbandonando la forma minima ed essenziale dei primi rapidi segni a vantaggio di un dialogo dove le campiture diventano non terra di un montaggio strutturato, ma sconfinamento e attraversamento, forme di sedimentazione di singolarità antropica-liminale dove la realtà è terreno disassemblato, contiguità scoordinata, compenetrazione di campi e piani differenti, fluidi e instabili. Le forme, i modi, affiorano costruendo lo spazio della percezione nella fruizione.