DALLA SCRITTURA ASEMICA ALLA SCRITTURA SOVRANA
by Adriano Accattino
PRELIMINARI
Alcune volte nella vita mi si sono spalancate improvvisamente porte e finestre su campi che fino a quel momento non conoscevo e non valutavo. Questa volta la sorpresa è stata determinata dalla scoperta di UTSANGA, una rivista che si occupa di linguaggi e in particolare di una corrente artistica e poetica chiamata Asemic writing. Il quarto numero della rivista porta esempi di questa scrittura, insieme con un pregevole tentativo di inquadramento teorico e ricognitivo degli artisti e scrittori che operano nell’Asemic writing e sotto questa etichetta collocano la loro opera. Il saggio di Francesco Aprile e Cristiano Caggiula, sul quale si esplica questa ricerca, s’intitola ”Note sull’Asemic writing”.
La partenza per tutti è la scrittura, writing, che in italiano converrebbe tradurre con “scrivente”: in tal modo il participio presente caricherebbe l’espressione di una forza di svolgimento immediatamente presente. Il writing può essere asemic o asemantic, ma in ogni caso il testo viene scomposto, destrutturato e desemantizzato. Procediamo sulla strada della spogliazione di senso per una rigorosa esigenza purista che vuole la scrittura non disturbata da nulla, neanche dal senso. Eliminare il senso libera la scrittura da qualsiasi obbligo di significazione. Della scrittura residuano segni che hanno perso ogni senso; non capiamo più che cosa essi significhino: da un unico significato, che occupava la scrittura, si passa a diversi significati che caratterizzano quel residuo che è la scrittura fuori di senso e di senno.
Le mie osservazioni aspirano a produrre un effetto positivo così che la nostra passione per la scrittura produca conseguenze accrescitive. Vorrei che la nostra passione scritturale, che certamente è nata in un ambito tradizionale e poi, essendosi irrobustita, ha esplorato altri campi, più e meno aspri, si chiarisse nei suoi obiettivi e nei suoi metodi. Non tanto vorrei alleggerire la scrittura attuale, quanto renderla più complessa e formativa: non c’è ragione di abbandonare una pratica di cui ora conosciamo qualcosa e questo qualcosa gettare alle spine.
Più che rinunciare al seme e al senso, la nostra volontà va verso aperture e crescite ulteriori. Intendiamo potenziare la scrittura. Desideriamo una scrittura potente. Allora bisogna vedere che cosa le giova e che cosa l’indebolisce, che cosa la rinforza e che cosa l’abbatte: perciò dobbiamo configurare le condizioni di una scrittura in crescita. Cerchiamo le caratteristiche che hanno promosso la scrittura fin qua, dove ciascuno di noi ora si trova.
Lo scrittore non prende mai nulla sottogamba, non trascura nulla, ma in ogni caso si applica per la valorizzazione di ciò che tratta: gliene deriva la capacità di stare al mondo, la quale è una caratteristica preziosa. La capacità di confrontarsi con il mondo e con la realtà è una virtù che regala lo scrivere; ma lo scrivere a sua volta chiede a noi di mantenerci adeguati con la realtà. La scrittura ci aiuta in questo compito di guardare il mondo, di saperlo leggere e di sapergli rispondere. Si va verso la conoscenza della realtà e del mondo per la strada di una scrittura impegnativa. Esistono margini per i quali siano ancora possibili i tentativi di ripresa dei rapporti della scrittura con la realtà? Oppure tutto è consumato irreparabilmente e non è più concepibile nessuna ipotesi di ripresa nell’ambito che si considera? È diventato tutto impraticabile per cui rispondere positivamente con la fiducia che la ripresa esige non sembra più possibile. La risposta diventa uno scarto di fuga, un salto in avanti, una reazione esagerata. Sembra che tutto sia già stato consumato e che non si possa rispondere né reagire stando all’interno dei modi e delle misure finora praticate. La reazione deve uscire dagli abituali campi logici di risposta fin qui adottati. La rottura è definitiva, la risposta incoerente, la reazione smisurata. Ecco allora che lo scrittore si è rifugiato nell’asemic e nell’asemantic, pratiche che qualche anno fa non avrebbero attirato nessuno, ma ora bisogna rispondere straordinariamente e le risposte straordinarie di questi tempi sono l’asemic e l’asemantic writing.
Il rinforzo della scrittura presuppone che si producano cambiamenti sostanziali nel rapporto dell’uomo con gli altri uomini e con la complessiva società. Qualcosa di catastrofico sta passando dalla carta stampata a un mondo riempito da una miriade di nuovi media. Il libro e la carta stampata sono un prodotto, mentre l’accento e l’attenzione stanno passando dal prodotto al processo. Il processo offre una traiettoria evolvente, mentre finora si è prodotta una situazione evoluta. Evolvente appartiene al presente e al suo scorrevole presentarsi, mentre il passato si mostra evoluto. Evolvente è una situazione che presenta i suoi adattamenti nel momento in cui si affrontano i problemi. Evoluto è l’ordine stabilito delle cose che, almeno nel momento in cui le osservi, non si modificano. Evolversi non è più della scrittura la quale di per sé è lenta e ferma, ma riesce ugualmente a rendere la situazione che muta. Forse, in una situazione del genere, non ha senso invocare una scrittura complessa, idonea alla nuova realtà. Una scrittura complessa non servirebbe a nulla, pur ponendosi in un panorama diverso. Ecco allora accendersi altri motori di registrazione e visione mutevole che non si possono certo dosare.
ASEMIC & ASEMANTIC WRITING
La scrittura asemica è una scrittura senza sema, senza segno: una tal scrittura sarebbe invisibile in quanto sprovvista non solo del significato ma anche del segno. È una scrittura che non lascia tracce e non fa rumore. È una scrittura che si annulla o viene annullata nel momento stesso in cui appare; ma è tutt’altro che semplice scrivere senza lasciar segno. La scrittura imbocca la sua strada di tribolazione con la scrittura asemantica, cioè senza significato, con la scrittura asemica, cioè senza un segno che la caratterizza. Tutte queste scritture si risolvono in un danneggiamento della scrittura. Sono tutti modi di farsi male, di negarsi quello che sarebbe disponibile, di accettare senza fiatare una condizione impropria. Il segno può sussistere, mentre ciò che risulta veramente assente è la possibilità di una decodifica dei segni. I segni ci sono ma sono insignificanti.
La scrittura asemantica viene intesa come “una forma di scrittura semantica aperta senza parole”. Questa definizione sembra connotare un dissanguamento verbale: la scrittura aperta perde parole. La parola è il luogo della semanticità. La scrittura senza parole non può essere semantica. E’ concepibile una scrittura senza parole? Le parole possono essere riempite di senso o svuotate di senso; sono svuotate di senso quando sono involucri che non rimandano a nulla, segni scomposti e muti.
La scrittura asemantica ha smarrito il senso: questo effetto può procurarsi modificando le parole, mescolandole tra loro, deturpando e menomando arbitrariamente il discorso normale. Le due pratiche di scrittura, asemic e asemantic, non solo sono cosa differente tra loro, ma operano a differente profondità linguistica. La scrittura asemantica opera a un livello più superficiale sulle parole e sul senso loro: modifica le parole, le contamina con altre, insomma applica alla scrittura forti procedimenti che la variano decisamente e possono determinare confusione, malintesi e altri effetti. Resta in ogni caso un tessuto testuale, magari pieno di cicatrici, ma pur sempre generatore di significati inconoscibili, di suoni ignoti.
La pratica asemica invece opera a livelli di maggiore profondità: le parole non lasciano neppure più un segno riconoscibile e talvolta nemmeno un segno qualsiasi. L’asemic writing porta lo sconvolgimento fin dentro il linguaggio e disfa le fondamenta stesse della lingua e dello scrivere. La scrittura asemica è una pratica dirompente che distrugge la leggibilità fino all’ultimo segno; è una pratica radicale: non resta nulla di rilevante dopo la sua applicazione; è l’operazione più drastica che si possa concepire; un’operazione che conduce al silenzio e al vuoto. La scrittura asemica è tragica come un suicido. L’autore si toglie ogni possibilità di agire e perviene a un blocco muto. Forse non si è capito che la scrittura asemica è l’ultima scrittura, la scrittura di una maledizione, di una depressione, di una malattia senza cure.
Per coerenza la scrittura asemica dovrebbe arrestarsi definitivamente di fronte al vuoto che ha prodotto. Questo sarebbe un destino definitivo. Invece, come in un film nel quale il cow boy si alza dopo essere stato ucciso, si parla di nuovi linguaggi che si rimettono in cammino dopo l’asemica.
La scrittura asemica è un modo di applicare alla scrittura una finalità asemica, il che vuol dire eliminare ogni segno o parte di segno. Ma bisogna conoscere le parole per allontanare da esse ogni senso o segno, anche piccolo. La scrittura asemica scioglie i segni che l’altra scrittura in generale ricerca: le cose vanno al contrario e l’opera si crea con lo spappolamento di tutti i segni. Già l’accostamento della parola asemica alla parola scrittura costituisce un problema: l’asemica starebbe meglio da sola, senza la parola scrittura. Penso che possono farsi molte opere con la distruzione del segno: dopo un’applicazione asemica il panorama è sicuramente sfoltito. Se piacciono gli spazi vuoti ecco che ne abbiamo davanti molti.
Non so se può concepirsi un’applicazione asemica ad un’opera artistica. Si manifesta un contrasto di aggettivi: come si può attribuire il carattere artistico a un’azione di disfacimento? Penso che molte pagine di scrittura asemica e molte tavole di pittura asemica resteranno bianche, poiché il bianco è il colore appropriato dell’asemica. Una disfatta generale costituisce l’obiettivo di questa manovra che è continuamente presente nel tempo. La scrittura asemica si applica per il disfacimento e la dissoluzione di una scrittura; si volge alla diminuzione, alla disfatta dell’ordine stabilito. E’ molto interessante seguire questo cammino e parteciparvi. Seguire passo dopo passo il percorso di uno scioglimento o di una disfatta di qualcosa che appariva compatto costituisce un’allettante avventura.
Le scritture asemica e asemantica vanno insieme, con il prevalere per poco dell’una e dell’altra, per affermare la contemporanea persistenza di tutt’e due anche se una sola appare e l’altra resta in ombra. Letteralmente la scrittura asemantica è una scrittura priva di senso e di significato: le parole che si utilizzano non mostrano significato. Tuttavia la scrittura asemantica può produrre, pur nell’asemanticità, degli effetti curiosi e piacevoli. Si sono percorse molte strade verso la perdita del senso. Ed è parso davvero in questo secolo che l’uomo perdesse il senso della misura: siamo andati a vele gonfie verso l’incomunicabile, verso l’incomprensibile, verso la follia.
La scrittura asemantica persegue una creazione che si costruisce sull’impossibilità di recepire dei significati. chiederete che scrittura si può fare in queste condizioni. Si tratta di una scrittura che travolge i punti fermi della comprensione. Si può operare sul senso in diversi modi, così da renderlo irriconoscibile o combinarlo in un modo totalmente inventato. Dalle due pratiche di scrittura asemica e asemantica bisogna dire che la scrittura esce piuttosto malconcia. Si produrranno effetti novitari, ma senza dubbio l’autore soffrirà di vertigini, di mutismo e di soffocamento. Potranno anche prodursi, specie nei primi tempi, invenzioni stupefacenti e combinazioni sorprendenti, ma la natura di queste pratiche è disfattista e conduce in definitiva al silenzio e all’alienazione. Si tratta di una narrativa che non narra nulla, ma esibisce le proprie strutture come un culturista esibirebbe i suoi muscoli. Ora mi domando: perché rinunciare al segno? Perché rinunciare al senso? Il segno e il senso fanno ricca la scrittura e piuttosto, se siamo stanchi della vecchia letteratura, diamoci da fare per creare una nuova interessante letteratura. Regredire all’elementare, al primordiale non conviene a nessuno. Dobbiamo piuttosto riflettere sulla complessità dell’esercizio scritturale, pretendendo dalla scrittura tutto il sovrappiù che fin qui non avevamo toccato. Contesto quindi questa stanchezza di scrittura che porta alla diminuzione, alla perdita, all’offuscamento. Invece di eclissarci dalla porta di servizio, dobbiamo organizzare un’uscita in gran pompa.
SCRITTURA COMPLESSA
La complessità della scrittura è una forma di coinvolgimento totale per corrispondere alla complessità del reale. Non si può rispondere alla complessità con la semplificazione. Occorre affilare la nostra preparazione linguistica; accentuare la sensibilità e la capacità di fornire risposte adeguate; appuntire la nostra capacità di leggere e di corrispondere criticamente al mondo.
Temo che l’asemic e l’asemantic writing non abbiano capacità così sviluppate da soddisfare l’esigenza di rinnovare scrittura e parola, lasciando vuote e insoddisfatte grandi quantità di espressioni. Le due pratiche sono troppo parziali e di portata limitata per soddisfare le spinte di novità. Non è concepibile che tutti gli uomini si mettano a praticarle: sono troppo stringenti nelle risposte. Inoltre le due pratiche sono già di per sé limite e compromesso: la fuga dal senso le limita enormemente e costituisce un’infermità inevitabile.
Non credo che si debba rinunciare al senso per esercitare una scrittura libera. E non sono convinto che una pratica che elimini il senso sia più libera di una pratica che segue il senso. Non esiste incompatibilità tra senso e scrittura, mentre la scrittura s’indebolisce se rinuncia al senso. Posso essere lo spirito più libero del pianeta anche se non pratico nessuna delle due rinunce. Ma, oltre che in un senso individuale, il discorso si fa generale: non c’è colleganza tra libertà delle pratiche asemiche e la libertà di cui godiamo in scrittura. Non è detto che non ci siano pratiche di scrittura che, senza perdere il senso ma anzi cercandolo e cercando di dilatarlo, ci facciano più liberi. Se le nostre ambizioni di libera espressione si fermano alle due pratiche, il beneficio è limitato. Accettare la privazione del senso è accettare una grave menomazione; accettare riduzioni e amputazioni non porta mai a qualcosa di buono.
L’investimento asemico e l’investimento asemantico nella scrittura mi riescono imbarazzanti. A mio parere costituiscono delle apparenti aperture, poiché sembra che allarghino il loro ambito a settori di produzione artistica non scritturale: incorporano ideogrammi, esercizi calligrafici, piccoli disegni, passaggi di colore, frammenti strappati e via dicendo. Che senso ha ripiegarsi su pratiche riduttive e scandagliare settori poco frequentati? Che cosa giustifica questa chiusura e questo indirizzo volto a cogliere l’eccezionale? Queste pratiche non sono innocue come sembrano: frequentare soluzioni eccentriche butta fuori la ruota dai suoi perni. Dopo l’entusiasmante inizio, dove sembra che tutto vada per il meglio, s’impianteranno nuovi vincoli. Ma se abbiamo imboccato le strade dell’asemic e dell’asemantic writing, un forte disagio, una grande pena doveva impedire lo svolgersi della scrittura. Perlopiù si cambia quando si è costretti e questa difficile scelta e questa decisione devono avere i loro buoni motivi.
Molti autori nel mondo hanno abbracciato l’asemic e l’asemantic writing, ma rivelano una difficoltà che non può ignorarsi. Sono d’accordo sulla necessità di rivoluzionare totalmente l’assetto della pratica scritturale. Penso che la benedetta reazione a una pratica totalmente dominata, incapace di produrre dei capolavori, dovrebbe riversarsi su un progetto di complessità scritturale.
Le pratiche asemic, di per sé sole, non hanno molta rilevanza in quanto non possono esprimere quella passione travolgente e rigenerante che sembrava potessero suscitare. Non si riforma la scrittura con strumenti strettamente indirizzati, mentre più efficace nel senso che ci interessa è la creazione di una scrittura complessa. Sarebbe una pratica pronta a utilizzare qualsiasi elemento si presenti e a fare di ogni azione un’azione proficua. Perciò questa pratica complessa non può fare a meno del segno e del senso: non si capisce poi perché questi dovrebbero essere obliterati. Se riduco il mio scrivere a un livello elementare non posso aspettarmi granché. Il mio concetto di scrittura complessa è un’idea in crescita, per cui si sviluppa tutto lo sviluppabile.
Cerchiamo di configurare una modalità di scrittura che non patisca le sofferenze e le limitazioni dell’asemic e asemantic writing, e una concezione di scrittura che sia pienamente autonoma con possibilità aperte alla piena esplicazione ed espressione. Come deve essere una tal pratica? Dev’essere rispettosa delle regole che sovrintendono e ordinano la lingua nella sua espressione; e nel contempo essere pronta ad abbracciare le vie dell’eccezione. Questo è il primo requisito: essere nel contempo rispettosa delle regole che sovrintendono alla lingua e, non appena si presenta l’occasione, essere pronta a contraddire tutte le regole e gli ordini per un’espressione incalcolabile e libera. A un amore acceso per la propria lingua si accompagna un desiderio di novità, per cui l’autore lavora sempre sulle parole, con un occhio agli etimi e un altro alle derivazioni dalle parole attuali. Con lui la lingua è viva e si rinnova di continuo: è capace di inventare le parole, di far discendere una famiglia di parole da una parola sola.
Dunque un atteggiamento duplice caratterizza questa pratica scritturale che definiamo scrittura complessa: un atteggiamento di rispetto e un uso irriverente senza la minima soggezione. La salvaguardia della lingua si esercita insieme con un atteggiamento demolitore spregiudicato.
Questo doppio atteggiamento che consiste nel prendere e nel dare, nell’accumulare e nel distribuire, nel creare e nel distruggere, è ideale per la nuova scrittura. Si esplicita in un enorme desiderio di assumere, di assorbire, di succhiare che spinge per mettersi in gioco con tutto quello che autore ha ed è. Impallidisce a vista d’occhio l’asemic writing che si è riservata un piccolo campo per far asciugare i suoi disegni. Vedo intorno a me i grappoli di parole discendenti da un’unica parola, come le parole inventate da Emilio Villa che non aveva paura di strappi e impacchi.
Tutto nella nostra vita sulla Terra è regolato da due forze contrastanti che si avversano e si sostengono vicendevolmente. Perché non la scrittura? Perché ha da essere la scrittura asemica e basta? Una forza che spinga in un’unica direzione presto non sa più per che cosa spinge. E poi il senso, trattando del linguaggio, è una risorsa meravigliosa: con il senso non ci annoieremo mai; il senso è una risorsa, una carica di novità e di sorprese con tutta la corte dei malintesi, delle ambiguità, delle storture. Infatti il senso è prezioso per intendere, capire e reagire anche opponendosi, ma è fruttuoso anche per tutta la sua parte retrostante, appunto le espressioni che fanno faticare per intenderle e poi s’intendono nel modo sbagliato. Il senso non ci lascia mai a piedi, ma alimenta continuamente le nostre creazioni. Chi ha paura del senso? Di quale senso visto che posso sostituire un senso con altri sensi, magari arrischiati. Il senso è un grande albero: perché dovrei rifiutare l’ombra che mi offre?
I tempi difficoltosi richiedono uno sforzo maggiore agli interpreti. Soprattutto è augurabile che gli operatori del tempo non assumano posizioni ferree. Il tempo attuale si presenta indissolubilmente aggrovigliato, talmente aggrovigliato nei suoi nodi che non si sa più quale direzione assumere, almeno per non rovesciarsi. Molti, decisamente obnubilati, spingono nella direzione di un ulteriore contorcimento.
La scrittura asemica, da sola, non sembra costituire la miglior risposta alle variazioni sostanziali cui stiamo assistendo; mi pare che limiti e chiuda le possibilità piuttosto che accrescerle. L’asemic writing propone l’indifferenza al senso, ma questa è più una limitazione che un’apertura o una crescita. Il senso è importante per lo stesso equilibrio dell’uomo. Il senso offre qualcosa di più mentre il non senso si accontenta di molto meno. Non possiamo escludere il senso come se fosse una cattiva frequentazione.
Senso e vuoto di senso non sono alternativi ma perfettamente complementari: posso fare equilibrismi di segni che volteggiano nel vuoto di senso, ma anche profonde riflessioni sul senso. Non credo possa concepirsi un vuoto assoluto di senso: presto un senso qualsiasi penetra nell’a-senso e gli dà parola. All’incrementarsi e al moltiplicarsi delle domande non si può rispondere con la chiusura, con l’abbandono, con il silenzio. Bisogna piuttosto adeguarsi e adeguare i propri strumenti. Non si risponde con l’asemic alle urgenze contemporanee di plurima derivazione. L’asemic writing sembra fatta per i pascoli celesti più che per questa terra pretenziosa: bisogna adeguare la scrittura per superare gli ostacoli che il linguaggio ci pone dinanzi. L’asemic è una ritirata, una chiusura, una confessione d’impotenza: anche l’asemic è evidentemente inadeguata a rappresentare la scrittura dell’oggi, sempre più pretenziosa.
Se l’asemic è inadeguata a rendere il reale, allora cerchiamo altro. Nostro dovere è adeguare la scrittura al suo compito che è quello di rendere fedelmente la realtà. Dobbiamo far complessa la nostra scrittura affinché sia adeguata alla realtà attuale; il senso risulta indispensabile in una tal opera. Non serve semplificare, rinunciando a prerogative. La perdita del senso è una diminuzione dello scrivere, ma andare verso la complessità dello scrivere è l’opposto che andare verso l’asemic. L’asemic writing può rappresentare da un lato un’opportunità che si apre verso territori poco frequentati, conducendo all’apparizione di forme e figure finora ignorate.
La pratica contemporanea è intrecciata di due modalità apparentemente incompatibili e alternative: richiede una maturità operativa non comune e presuppone nell’autore una capacità critica e un’autonomia ben strutturate. Lo scrittore, che è duplice nei suoi comportamenti, deve sapersi giostrare in modo personale nell’analisi della situazione e nella decisione delle modalità da assumere. In una parola l’autore deve essere totalmente libero, intendendo tale libertà come la possibilità non condizionata di decidere che cosa fare. L’autore ha dinanzi un vasto campo d’intervento e possiede un altrettanto vasto campo di possibilità e di azioni da intraprendere. Egli sceglie la sua scrittura con conoscenza dei fatti e risponde nel modo più appropriato. Questo valutare personalmente la situazione attuale insieme con la possibilità di decidere se e come intervenire implicano una maturità, un senso di responsabilità, una capacità creativa di alto livello.
L’AUTORE LIBERO
La scrittura, prima che uno strumento di comunicazione è uno strumento di rappresentazione. La rappresentazione è la disposizione fedele e significativa che assume la scrittura, secondo diverse modalità, nello sforzo di rendere la realtà. Avremo molti tipi di rappresentazioni che saranno di volta in volta scelte dall’autore con lo scopo di sortire il migliore effetto. Rappresentazioni elementari saranno offerte con linguaggi elementari, mentre situazioni complesse necessiteranno di scritture complesse.
L’autore, dovendo decidere le modalità del suo intervento, deve essere in grado di valutare lo stato degli elementi di cui si serve, e poi conoscere perfettamente le scritture per poter scegliere quella più adatta. Mentre la rappresentazione si esaurisce nel suo compimento, la comunicazione condiziona fortemente la scelta e l’utilizzo della scrittura a questo chiamata. La scrittura che deve rappresentare vive molto più tranquillamente della scrittura con fini comunicativi.
Per essere perfettamente rappresentativa, la scrittura deve essere assolutamente libera, pronta a giocarsi nelle misure e dimensioni richieste dal caso. L’operatore di scrittura deve variamente regolare la sua strumentazione e non può ridursi a un’unica modalità di cui è un superesperto. La sua scrittura dev’essere agile e variabile: se si chiudesse nell’esercizio dell’asemic writing, si troverebbe presto spiazzato e messo fuori gioco da pretese che lo superano. Bisogna dunque che egli sia elementare per gli elementari e complesso per i complessi. Essere insufficiente o inadeguato non piace all’autore che cura l’adeguatezza della scrittura nelle libertà della scrittura e della persona. Questa libertà significa che egli può condurre la sua rappresentazione nei modi più consoni. La libertà non è settoriale e non è parziale: l’autore decide quello che vuol fare e questa decisione è tanto più facilitata quanto più numerose sono le possibilità e modalità dell’intervento. Abbiamo dunque bisogno di una libertà di scelta scritturale molto vasta. Non si può esercitare unicamente l’asemic, poiché questa è potente e va bene in determinati contesti: in altri no. E così, nell’altro estremo, non si può trattare in modo complesso una situazione semplice.
La libertà di pensiero e di scrittura di cui gode l’autore è una libertà sciolta dal potere. Questo genere di libertà è molto impegnativa in quanto è equilibrata da una forte responsabilità. Lo scrittore che beneficia di una tale libertà sa che può essere tirato in ballo in ogni momento e deve rispondere. La libertà dal potere è la libertà di un soggetto maturo che ha raffinato la propria qualità critica e la propria facoltà di formulare proposte alternative: a queste fa da supporto un’indispensabile capacità di scrittura. Il vero autore libero non è solamente maturo e autonomo nello scrivere, ma è altrettanto maturo nell’analizzare, nel criticare e nel proporre alternative. Lo scrittore libero gode di una grande estensione scritturale, nel senso che non scrive in modo monotono, ma sa toccare i diversi registri della scrittura adattandoli e utilizzandoli nelle differenti possibilità. Lo scrittore libero batte le strade di una saggistica propositiva, ricca di sensi nuovi e di significati, ma può anche esercitare l’Asemic writing. Esercita le due scritture, ma ciascuna di esse offre una variabilissima disponibilità e una gradualità altrettanto numerosa. Il significato è un elemento fondante del suo scrivere che raccoglie le riflessioni e i pensieri che egli continuamente deduce dall’osservazione del reale. Ma è anche capace di alleggerire la sua pratica scritturale lasciandosi andare a giochi verbali asemici. Egli accompagna sempre all’impegno creativo la ricreazione che allenta i tiri di fune e l’irrigidimento; equilibra l’impegno del pensiero con la pagina di segni vuoti. È convinto che le diverse scritture debbano andare insieme e compensarsi tra loro, così mitiga la severità e il pesantore con la leggerezza e il divertimento.
Se restassimo bloccati nella pratica di scrittura asemica, finiremmo con l’esaurire la nostra creatività, la quale ha bisogno di essere stirata in diversi sensi e verso diversi obiettivi per rimanere fervida. La monotonia dell’esercizio finisce col depauperare e ridurre la potenzialità originale. Così la scelta esclusiva dell’asemic writing finisce con l’apparire superficiale e monotona, poiché solo il senso dà la profondità e solo il senso fa percepire la difficoltà insita nell’operazione.
Allora la scrittura mescola i diversi registri, per cui pratica l’asemic, ma anche la scrittura sensata. Scrivere esclusivamente asemic può rivelarsi monotono e a lungo andare può anche non scalfire più nulla e passare inosservato. Alternare le scritture penso che sia la cosa migliore in quanto una tecnica solleva e movimenta l’altra. Anche la scrittura sensata a lungo andare può diventare pesante e insopportabile, ma trova rimedio nella pratica alternativa che l’autore contemporaneamente porta avanti. La peggior cosa è la fissazione scritturale che batte sempre sui medesimi tasti, mentre l’alternanza e la varietà portano a risultati più morbidi e accettabili.
Le due scritture possono benissimo alternarsi e sostituirsi così che un determinato lavoro passa dall’una all’altra, ma anche può effettuarsi una contaminazione tra le due cosicché un bel momento una scrittura asemica cambia registro e si mette a lavorare di logica e di senso, mentre una paludata scrittura butta all’aria i vestiti e si mette a ballare nuda. Si possono fare molte cose, se non c’è la porta chiusa. La fantasia può sbrigliarsi a piacere mentre il più irresistibile dei saltimbanchi si mette a studiare il latino.
LIBERTÀ E SOVRANITÀ NELLO SCRIVERE
Mi domando se esiste e ha senso una scrittura libertaria e che effetti potrebbe produrre. Circostanziare una scrittura libertaria non è cosa da poco: possiamo rifarci però ad alcune prese di posizione che ci aiutano a risolvere questo problema. Mario Diacono, Emilio Villa, Stelio Maria Martini, Luciano Caruso, Martino Oberto, Anna Oberto sono stati scrittori e artisti libertari. Penso che l’essere libertario abbia influito decisamente sul loro scrivere. Diacono propugna l’abbandono al segno, la liberazione dal significato, l’universalizzazione della lingua, la plurisensitività del lessico.
Anche Martino Oberto è un artista del genere asemico: non resta nulla sulle sue tavole, nulla delle proposizioni da cui è partito. Ha dissolto ogni parola che arrecasse un senso: non vediamo nulla su cui possa esercitarsi la lettura. Martino costituisce un bell’esempio di scrittura asemica con le sue tavole deturpate e logicamente non finite ma interrotte in un punto qualsiasi. Anche altri autori come Giuseppe Pellegrino, Ferruccio Cajani e Tony Ellero sono operatori di scrittura asemica. Questa volta la concezione teorica di una pratica asemica ha trovato gli artisti pronti ad entrarci: erano asemici prima che fosse formulata la definizione stessa.
Emilio Villa è un perfetto esempio di scrittura asemantica intesa non solo in senso di perdita e di riduzione dei significati, ma anche nel senso di una asemanticità che risulta accrescitiva, anche se non perfettamente chiara. Qualcuno dirà che la pratica asemantica si limita a smarrire segni, a renderli non più riconoscibili né leggibili, eppure essa dispiega nuovi sensi, aggiunge significati a significati, accresce le possibilità davanti ai nostri occhi sperduti in tanta abbondanza.
Di tutte le possibilità che pratica la scrittura in combinazione con la figura, cioè la scrittura visuale, la mia preferenza è sempre andata agli operatori di sola scrittura. Questi autori non hanno nessun bisogno di altre figure: essi detengono le figure delle loro scritture e questo gli basta. Sono artisti rigorosi e severi che si sono arruolati tra gli operatori di esclusiva scrittura. Di questa piccola compagnia Emilio Villa è l’artista estremo poiché il suo lavoro è tutta scrittura la quale però, in molti casi, manifesta propensioni esibizionistiche, insomma vuol farsi vedere così com’è e così com’è è senza dubbio un’opera da vedere.
Emilio Villa apre le parole e le propaga con piramidi di parole derivate: ha capito che bisogna lavorare sulla parola e accrescerla proprio in senso fisico. Villa conosce molte lingue ed usa scioltamente il latino, il greco e il francese. L’italiano non gli piace per chissà quale ragione. Comunque non sbaglia facendo figliare le parole secondo le ricche possibilità apportate da tutte queste conoscenze linguistiche. Le figliazioni sono numerose e tutte significative, magari secondo una significanza personale. Infatti il suo latino non sembra tale agli esperti latinisti, né il suo francese sembra francese ai francesi. Sembra però latino e francese ai modesti latinisti e francesisti che siamo noi. Credo che l’originale lingua di Villa sia proprio questo miscuglio di lingue diverse e antiche, questo miscuglio un po’ tendenzioso.
Villa tratta le sue associazioni linguistiche con molta ricchezza, con divertimento e brio. L’esito è in ogni caso accrescitivo: non è un rinunciatario ma acchiappa quanto gli sta di fianco. L’esito è divertente in quanto regala sorprese a ogni riga. Villa è immediato e punta immediatamente sugli obiettivi che si dà. Sicuramente gli piacciono le donne ben tornite e i panini ben riempiti. Non gli piace fare rinunce, anche se ha dovuto farne molte. Ma il suo atteggiamento davanti allo scrivere rivela la sua stessa vita. Per Villa credo fosse pura pazzia o pura letteratura rinunciare al senso delle sue proposizioni così ricche e strabordanti.
Da molto tempo cerco una parola che inglobi in sé il senso della scrittura e della libertà, cioè l’avversione al potere, e si avvalga in più della potenza che l’uomo ha allevato e custodito in sé. Mi occorre una parola che ritagli ed elimini tutta la radice odiosa della soggezione, e indichi, oltre lo sfoltimento, anche il prorompere all’interno di ciascuno del nuovo assetto. Non basta dunque che la parola che cerco elimini il potere, deve inoltre significare quella potenza che dentro di noi è cresciuta.
La libertà di cui gode la scrittura è illimitata e non ordinata. La libertà è una virtù difficile, che non può essere comminata né misurata. La libertà, quella vera, non può essere che illimitata e soggetta unicamente al vaglio personale. Come si fa a dire la verità senza la libertà? E come la scrittura può fare le sue acrobazie e cambiare improvvisamente se non si dispone all’improvvisazione? È la virtù che ci conduce al cambiamento, nel caso nostro, della scrittura.
Ho pensato lungamente per reperire una parola che racchiudesse in sé tutte le facoltà della scrittura e del suo soggetto, caratteristiche che si modificano nell’esecuzione dell’opera; caratteristiche alternative con la responsabilità che necessariamente si deve assumere, con la capacità d’analisi, di critica e di nuova creazione: ebbene tutto questo mi pare possa essere soddisfacentemente assunto e dichiarato dall’aggettivo sovrano, per cui la scrittura diventa sovrana scrittura, l’autorità di ciascuno e la responsabilità diventano sovrana autorità e sovrana responsabilità. L’aggettivo sovrano fa al caso nostro: si dice di potere, dignità, diritto che non derivano da altra autorità, che non dipendono da altro potere. È sovrano chi esercita un potere indipendente; è sovrano chi sta sopra, chi sta in alto. Sovrana scrittura, sovrano autore dicono perfettamente ciò che vogliamo dire ed anche le implicazioni politiche che discendono dal nostro concetto di scrittura complessa: tutte le prerogative appartengono all’uomo libero e autonomo e trovano piena soddisfazione nell’aggettivo sovrano.
Un po’ meno bene vanno le cose quando sovrano diventa sostantivo: se esso continua a indicare le caratteristiche della scrittura e del vivere, cioè se resta attribuito all’uomo, le cose cambiano aspetto. Il sovrano deve coincidere con l’uomo capace di muoversi e di agire, per cui l’uomo sovrano è ciascun uomo con le caratteristiche descritte.
Ora possiamo tranquillamente praticare la scrittura sovrana, una scrittura complessa di un autore complesso e libero in una realtà difficile. Forse il nome trovato può farci uscire dall’immobilità e dall’indecisione e imboccare strade nuove.
Per scrittura sovrana intendo una scrittura presente alla realtà con l’intera dotazione di strumenti e di percorsi di cui dispone l’autore. La scrittura sovrana è dotata di tutte le possibilità praticabili, ma la sua più sorprendente virtù consiste nel presentarsi ad ogni prova dotata delle qualità più confacenti. La scrittura sovrana è quanto mai elastica e flessibile: ad ogni situazione si prepara nel migliore dei modi. Questa adattabilità e questa facoltà di presentarsi ogni volta nel migliore dei modi richiedono da parte dell’autore un’autonomia di concezione e di azione e un’ampia libertà che consentono di scegliere che cosa rispondere e come rispondere. La scrittura sovrana è uno strumento portentoso nelle mani dell’autore. Ma non si può pretendere che tutti gli esseri scriventi possano essere scrittori sovrani. Dove troverebbero la capacità di giudizio e di scelta, l’elasticità con cui adattarsi, la capacità di trattare variamente, da un punto di vista scritturale, la variabile realtà, se non attraverso una lunga preparazione?
La scrittura sovrana dà una risposta speciale per ogni speciale esigenza essa è ogni volta differente per fornire ogni volta la risposta più confacente. Non è una scrittura che contempla le sue diversze modalità, che di volta in volta vengono richiamate, ma è la scrittura che si converte in un modo speciale. La scrittura sovrana è talvolta asemic, talaltra asemantic: altre volte è perfettamente logica o anche tremendamente assurda. Ogni volta la scrittura sovrana è qualcosa di diverso, che richiede nell’autore capacità non comuni.
La denominazione va interpretata alla lettera: sovrana, attribuito alla scrittura, significa che sta sopra e che comprende tutto ciò che sta sotto. La scrittura sovrana dispone di molte scritture, o meglio di una scrittura pronta a trasformarsi in ciò che serve in quel determinato momento. Più che contenere una casistica di scritture differenti, la scrittura sovrana compone ogni volta una particolarissima scrittura adatta per quel frangente. La scrittura si trasforma ogni volta nel più conveniente dei generi. La scrittura sovrana non è di cento tipi, ma di un unico tipo in uno di quei cento: è la scrittura più potente e adattabile, accompagnata da una capacità di penetrazione, di valutazione e di critica altrettanto immediate e centrate.
La scrittura sovrana ha la possibilità di convertirsi in altre scritture più brevi, più limitate, più semplici. È la scrittura delle scritture le quali in essa sono rintracciabili. E quando la scrittura sovrana sposa ad esempio l’asemic writing, essa lascia tutto per essere perfettamente asemic writing. Essa si dà tutta ogni volta. Ed ecco che l’autore dispone di un mezzo molto potente: deve però essere all’altezza dello strumento che gli è affidato: deve saper scrutare, saper analizzare, saper valutare la situazione nella sua realtà; poi tocca a lui decidere a quale scrittura affidarsi. La scrittura sovrana è tendenzialmente una scrittura poetica o, per meglio dire, la scrittura sovrana tocca le più alte vette quando è stata a contatto con un poeta, e la poesia è veramente l’applicazione sovrana , cioè esemplare, della scrittura.
Non contiene la scrittura sovrana tutte le possibili scritture dentro di sé, ma piuttosto sa prontamente assumere le più diverse scritture. La scrittura sovrana è un mastice che assume tutte le impronte, le tracce, le modalità e le riproduce esattamente. Sovrana è la scrittura unica: tutte le distinzioni che si possono fare sono distinzioni di quella sola. La scrittura sovrana è il concetto più vasto di scrittura, ma non possiamo illuderci che sia un abito pronto da indossare: essa è il risultato di un atteggiamento scritturale. Ogni autore deve forgiare una sua particolare sovranità di scrittura nell’ambito della scrittura sovrana, attribuendole un proprio originale taglio. Quindi la scrittura sovrana rispetta quel requisito fondamentale che è la libertà creativa, e rispetta il carattere dell’originalità, nella quale si riflette la consistenza individuale.
Lascia un commento