Antonio Bruno e la letteratura russa[1]
by Riccardo Renzi
Antonio Bruno fu uno dei più grandi intellettuali dei primi anni del Novecento, che operò tra Avanguardie e Futurismo. Della biografia e delle opere del Bruno si è però già parlato in vari miei saggi e non staremo qui a soffermarci su ciò, oggetto del presente saggio sarà la critica letteraria portata aventi dal Bruno, che si è espressa nel corso degli anni in vari articoli e saggi in rivista. Egli fu infatti, oltre ad un grande poeta e un raffinato intellettuale, un ottimo critico letterario. Al fine dell’indagine da noi condotta, si rivela fondamentale la pubblicazione edita dalla Biblioteca comunale di Biancavilla nel 2000, recante titolo Antonio Bruno: Pagine sparse di critica narrativa e traduzioni reperite e raccolte da Ermanno e Graziella Scudieri[2]. Il testo è fondamentale per lo studio del Bruno, ma al suo interno manca di un apparato critico su tali testi. Bruno fu un grande amante della letteratura europea, parlava infatti svariate lingue[3] e ciò gli permetteva di godere a pieno di molti autori nella loro lingua originale. Pur non conoscendo bene la lingua russa, amava particolarmente la loro letteratura. Il 25 ottobre del 1925 pubblicò in il Corriere di Sicilia un articolo nel quale elogiava l’editore Rossard. Nell’articolo il Bruno tesse le lodi dell’editore, poiché questo aveva pubblicato alcuni romanzieri russi in traduzione e a differenza di quelle precedenti, queste non “massacravano” i testi originali: «L’editore Rossard merita la gratitudine dei letterati, non soltanto parigini e francesi, ma anche italiani, per la nuova traduzione che egli pubblica di alcuni grandi romanzi russi, spaventosamente massacrati da traduttori egualmente incapaci e di comprendere il russo, e di scrivere in francese»[4]. Tali traduzioni sono tanto importanti poiché permettono agli occidentali di conoscere la storia e la cultura russa, essa infatti come afferma il Bruno è incisa nel romanzo russo: «I russi di ieri han consegnato la loro anima nel romanzo»[5]. Secondo il poeta di Biancavilla, la grandezza dell’editore Rossard risiedeva anche nel fatto che pubblicasse in traduzione anche romanzi russi di recente pubblicazione, come il caso di Graçon di Chmèlov[6]. Parlando proprio di questo autore, smentisce immediatamente le ipotesi di alcuni critici letterari russi, i quali affermavano che Chmèlov per l’accuratezza con cui descriveva i caffè, probabilmente ci aveva lavorato. Infatti secondo il poeta di Biancavilla, che aveva studiato le varie biografie di Chmèlov, egli sarebbe appartenuto alla medio-alta borghesia da almeno tre generazioni e descriveva così bene quei luoghi proprio perché ci trascorreva moltissimo tempo. Secondo il Bruno, Chmèlov pur essendo borghese, riuscì a farsi amare così tanto anche dai poveri russi, perché «la forza della sua compassione altamente umana, della sua simpatia, gli avevan permesso di penetrare sì intimamente nell’animo del povero diavolo scelto da lui per protagonista»[7]. Ed ecco che si apre nella scrittura del Bruno la parentesi dedicata alla fine critica letteraria. Innanzi tutto egli formula un netto distinguo tra il romanzo russo e gli altri romanzi europei; quello russo ha una sua storia e riprende continuamente tematiche del passato, «mentre il romanzo francese, il quale è soprattutto parigino, si svolge di preferenza fino alla monotonia, in una società elegante, ricca e convenzionale»[8]. Quello russo deriva invece da quello spirito della povertà eroica e rivoluzionaria che contraddistingue i russi stessi. «Dove vanno a cercare i loro eroi Massimo Gorki e Kuprine, seguendo Dostoieysky e gli altri?»[9]. Nella povertà, tra gli ultimi, tra coloro che tutti i giorni lottano per la vita e per la sopravvivenza. Lo spirito rivoluzionario ed eroico dei russi risiederebbe proprio nella loro letteratura, stando al poeta di Biancavilla. Il Bruno afferma che i russi già da secoli mitizzavano la rivoluzione e spingevano i lettori a compierla. In tale miseria risedeva sempre un’esaltazione estrema della virtù e un allontanamento dai vizi. Tali personaggi così grotteschi erano sempre armoniosamente sublimati. Bruno, in questa analisi letterario-sociologica della realtà russa, si rivela un visionario, come lo era già stato con l’introduzione della poesia futurista in Sicilia.
[1] Si ringrazia Antonio Zappalà, lontano parente del Bruno, per i materiali forniti.
[2] A. Bruno, Pagine sparse di critica narrativa e traduzioni reperite e raccolte da Ermanno e Graziella Scudieri, Biancavilla, Biblioteca Comunale, 2000.
[3] Francese, inglese e spagnolo. Parzialmente anche russo e tedesco.
[4] A. Bruno, Anime Russe, in Corriere di Sicilia, 25 ottobre 1925.
[5] Ibidem.
[6] In Italia oggi è conosciuto come Ivan Sergeevič Šmelëv . Egli nacque a Mosca il 3 ottobre 1873 e morì a Parigi il 24 giugno 1950. Fu un abile narratore, il suo nome è soprattutto legato al romanzo Memorie di un cameriere, del 1910, opera in cui si riflette il travagliato stato d’animo del periodo fra le due rivoluzioni. Emigrato in Francia nel 1922, vi pubblicò varie raccolte di racconti e alcuni romanzi di pregevole fattura, fra i quali Le vie del cielo, dove narra la vicenda biografica del monaco di Optina, Viktor Alekseevič Vejdengammer.
[7] A. Bruno, Anime, cit.
[8] Ibidem.
[9] Ibidem.