“Non ho parole” mostra di Enzo Patti alla libreria La stanza di carta. La scrittura asemica e la sua pluralità
by Piero Montana
La scrittura asemica è forse una delle peculiarità dell’astrattismo che solo oggi viene, per così dire, riconosciuta e messa in opera. Se infatti con Kandinskij ad essere rimossa era la rappresentazione del visibile, e della sua intellegibilità, cioè di una immaginazione legata ad un logos, un discorso logico, funzionale e corrisposto a quest’ultima, come necessario sviluppo dell’astrazione non poteva non conseguire che la sottrazione del logos stesso, giacché responsabile di un ordine metafisico, preordinato e tecnicamente conforme ad una logica del senso solo funzionale alla sua praticità.
Che il nostro logos fosse limitato, c’è lo sta ad indicare la scrittura asemica, la sola illeggibile ad essere paragonata in “Alef” di Borges alla scrittura di un dio stampigliata nelle macchie della pelle di un leopardo, scrittura questa prettamente salvifica atta a preservare in un mondo ormai assai in declino l’uomo nella sua essenza, che è quella di un essere pensante.
Infatti questo pensiero oltre a quello oggi predominante, prettamente tecnico- scientifico, che con la sua volontà di sapere fa violenza alla natura non solo con lo sfruttarla sistematicamente bensì anche con l’alterarla, degradarla, comprende in sé un pensiero del tutto opposto a quello di cui abbiamo appena accennato, un pensiero cioè prettamente poetico, nel senso del fare, di quel produrre che ad esso assegnava Aristotele riguardo la poesia. In questo fare poetico il linguaggio sviluppa, mette in mostra altre dimensioni di sé in se stesso non manifeste, latenti.
Questa polisemia del linguaggio non è soltanto ricchezza dell’operare artistico-poetico ossia dell’Opera, con lo svelarne la ricchezza di significati realizzati nella loro presenza, questa polisemia è soprattutto una fonte, una scaturigine di segni asemici aperti ad ogni immaginabile lettura, che può acquistare più o meno significato semantico, che tuttavia non nega ma apre a tutte le letture, che in quanto tali non sono più strumentalizzabili a questo o a quel fine utilitaristico e conseguentemente logico.
La scrittura asemica non è pertanto la negazione del linguaggio ma il ripristino di esso nella sua dimensione originaria, che con le lingue parlate, abbiamo dimenticato.
Essendo obliata la nostra essenza di uomini pensanti, che con la meditazione non si accingono ad ottenere qualcosa di utile e pratico.
Noi riteniamo, dopo aver visto la mostra “Non ho parole” di Enzo Patti alla libreria La stanza di carta di Piero Onorato, che l’artista abbia molto meditato nel comporre le sue opere.
Ma la sua non è una meditazione metafisica, ma se si può dire, ametafisica perché qui viene a mancare l’io, la soggettività che sempre, più che appigliarsi, dispone delle parole, che stanno alla sua base in quanto ὑποκείμενον, subiectum.
La scrittura asemica di Patti non è rappresentazione di sé e del mondo in rapporto all’io, al soggetto per l’appunto. Non è rappresentazione in quanto essa è astratta, ossia priva di valori semantici, anche se a volte tale scrittura si relaziona a delle immagini essenzialmente poetiche e mai oggettive. Pensiamo qui agli ultimi e bei lavori che Patti ha dedicato alla Scala dei Turchi.
Che cosa dunque significa questa scrittura asemica? Rivolgere questa domanda all’artista riguardo alle sue opere è la maniera più sbagliata per un approccio autentico ad esse e non solo perché questa scrittura non ha semi da cui possono germogliare dei significati, bensì in quanto l’assenza di significato è il presupposto per il recupero originario del logos.
Ci spieghiamo meglio. Per noi la scrittura asemica in quanto sgravata dalla res cogitans cartesiana, dalla materia pensante-pesante del linguaggio ossia in quanto sgravata dai suoi significati, non può non innalzarsi in una sua dimensione celeste prossima al λόγος, alla Parola, al Verbum che per San Giovanni è Dio, “cosa” che per tale motivo noi spesso in altri testi, l’abbiamo definito “la lingua degli uccelli” che del cielo fanno appunto la loro dimora.
La scrittura asemica va intesa pertanto come un recupero integrale, non limitato da alcun fine strumentale, utilitaristico, del linguaggio nella sua dimensione altra da quella impiegata dall’uomo, che metafisicamente dai tempi di Aristotile è stato definito “animale razionale”, giacché una tale definizione è molto restrittiva, non comprendente ad esempio il suo essere “sacer et poethicus.”
Come evangelicamente è stato detto l’uomo non vive di solo pane, l’uomo integrale vive anche di poesia e per la poesia, il canto, la bellezza.
Le Belle Arti sono state sempre coltivate dall’uomo, che in esse riconosceva la poesia, ossia quell’altro modo di produzione che è un canto della natura, e non un sovvertimento di essa a causa del suo odierno sfruttamento intensivo.
Riguardo alle opere di Patti bisogna dunque parlare di poesia, ossia di un linguaggio che nella sua essenza non è mai discorsivo, in quanto non basato sulla “ratio” ma su quel che benedetto Croce chiamava intuizione, e, che forse meglio prima di lui, Pascal definiva “esprit de finesse”.
Questa scrittura asemica di Patti, in quanto fondamentalmente poetica nel senso di cui noi abbiamo sopra parlato, non è solo apertura all’immaginario, bensì all’Altro che in essa si esprime in una composta armonia.
Rispetto a tanti altri artisti asemici, Patti si contraddistingue per questa sua compostezza direi classica, assai lontano dai garbugli, dal caos e dai disordini dei caratteri asemici da questi nelle loro opere rappresentati.
Ma quel che dell’artista ci intriga di più è la sua Scrittura con la S maiuscola.
La sua per l’appunto è la Scrittura del Libro, divenuto al presente illeggibile per l’oblio dell’Essere nonché per la morte di Dio.
Cosicché l’asemicità della Scrittura di Patti si può non far derivare anche dalla fine dell’epoca della metafisica, centrata su un Ente assoluto nel cui rapporto privilegiato starebbe l’uomo.
L’illeggibilità del Libro potrebbe così rappresentare via via il più completo oblio che noi abbiamo della Scrittura in senso sacro.
La Scrittura dunque, a causa per noi della morte di Dio, diviene pertanto asemica ossia ci viene rivelata nella sua mancanza di intellegibilità.
E’ forse questo oblio che caratterizza la nostra epoca, che della fuga degli dei, conserva deboli tracce.
L’espandersi planetario dell’asemicità conferma al nostro intendimento tuttavia il bisogno che abbiamo di essa per contrastare il pericolo, che consisterebbe nella catastrofe dell’uomo, che in questa epoca scientifica e tecnologica, ne mette a rischio l’essenza.
Essendo l’essenza dell’uomo costituita dal suo essere dimora del Dio, che è il Logos non limitabile alla sfera della strumentalizzazione tecnico-scientifica.
E’ il Logos inteso in questo modo che viene a disegnare i paesaggi asemici di Patti. Entro colonne di questa scrittura noi intravediamo delle figurine umane. Esse non ne costituiscono dei punti di riferimento o di orientamento. Queste figurine sono anonime, non hanno volto, esse sono solo degli incidenti lungo il percorso del flusso asemantico, in cui sono immerse e in qualche caso forse sommerse.
Non so se in mostra infatti noi abbiamo visto una bellissima opera di Patti la cui scrittura, all’artista congeniale, forma delle onde dentro le quali barcheggia una minuscola nave, forse ricolma di profughi in pericolo.
La scrittura asemica di Patti in questo caso particolare potremmo intenderla come l’indecifrabilità del destino assegnato ai più deboli ed emarginati.
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