Francesco Aprile, Già così tenera di folla (per F. S. Dòdaro), Oèdipus, 2019

by Oronzo Liuzzi

 

Ho conosciuto Francesco Saverio Dòdaro a Lecce negli anni novanta. Un incontro durato alcune ore a casa sua. Un creativo contemporaneo produttivo del linguaggio è stato Dòdaro, con uno sguardo attento sulla realtà, sui cambiamenti storici, un predicatore della sua epoca, vivace, rivoluzionario, innovativo, all’insegna dell’essenziale. Ci siamo incrociati spiritualmente varie volte in numerose manifestazioni, eventi artistici e letterari. È stato bello per me far parte della collana ‘Compact Type. Nuova narrativa’ ideata e diretta da lui e da Antonio Verri per le Edizioni Pensionante dè Saraceni a Caprarica di Lecce nel 1990.

Anche Francesco Aprile ha conosciuto Saverio, lasciandosi coinvolgere dalla stabile determinata complessità e autenticità del suo linguaggio. Nel racconto poetico di ‘Già così tenera di follaFrancesco Aprile come un fulmine colloquia, dialoga, valorizza, riconosce, compartecipa, attraversa con le sue luci la memoria sempre viva di Dòdaro. La parola sciolta, galoppante, ritmata si ripete, si apre, manifesta, parte, riparte, si appropria, frammenta, rincorre la scrittura del maestro, sigilla sulla pagina il mondo a venire descrive e disegna un segno d’amore.

La parola dell’Autore si fa corpo, sanguina, apprende prende, si congiunge con il volto del maestro. Sotto l’ala della riflessione illumina tutto il credere possibile di un poeta che ha amato la poesia e che non ha mai tradito l’arte.

Aprile attraversa e rincorre la soglia delle pulsazioni della storia un giorno qualsiasi di un anno qualsiasi. Percorre ripercorre descrive con frettolosa velocità i luoghi della memoria il grande tavolo, il grande vecchio, l’ombra della quercia, le ciliegie di Turi, la guerra […] il dopoguerra, Einaudi, l’uovo del presidente […] le campagne il Meridionalismo e Tommaso e Vittore […] un venerdì di febbraio, il nove, come Vanini.

I versi di Francesco Aprile in Già così tenera di folla, sensibili e atti di fede alla vita, sentono i ricordi passare, l’amore ispirato e respirato, raccordano e strutturano immagini sensibili e profonde, attraversano momenti avvenimenti i sensi e i pensieri, si dispongono a bagnarsi di un profondo possibile silenzio, attivano liberamente lo spazio interiore per far fluire la parola poetica, si concretizzano agiscono si fanno percepire e con gioia fugace testimoniano:

   Nel procedere, la dinamica del tuo dire essenziale

concede lo strapiombo,

                                          la vertigine

del profondo

                    nel procedere

lo strapiombo del tuo dire essenziale,

            masticato fra la parola e il gesto,

raccoglie nel diverso i fiori del pittosforo

           il petalo del ciliegio

          le bombe a grappolo nella notte

il pastore sulla murgia

 

Un pensiero che non si conforma al consumo imperante e al calcolo freddo della reale quotidianità domina la scrittura ben definita di Francesco Aprile. La salvezza. La speranza. L’essenza del linguaggio. Un cammino da compiere per un cambiamento dell’esistenza. Sono appelli che devono far aprire un varco dentro di noi per liberare finalmente i luoghi repressi e soffocati della vita, dove l’inutile diventa utile, l’incerto il certo e il tempo si apre nel tempo. Lasciamo che i corpi brillino, riconquistati alla vita, nella padronanza della lingua, oltre la lingua. Facciamo ad ogni parola una congiunzione, dopo apriamo le mani e contiamo il mondo nei segni che abbiamo lasciato.

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