Intervista a Vittore Baroni
by Francesco Aprile

  1. Copy artist, poeta visivo, critico musicale, musicista, mail artist, curatore d’arte, studioso delle controculture. Che cosa lega e tiene insieme tutte queste sfaccettature del tuo percorso?

Tanta curiosità, passione per le varie materie e suppongo anche un po’ di necessità fatta virtù. Nel senso che in molte circostanze mi sono trovato quasi “costretto”, a partire dalla fine dei ’70, a scrivere di argomenti di cui almeno in Italia quasi nessuno pareva interessato ad occuparsi, come la mail art, le nascenti culture di rete (inserite nel solco della controcultura beat-hippie, niente nasce dal nulla), la musica industrial-noise e altre sperimentazioni estreme nei diversi media. In realtà avrei preferito dedicarmi maggiormente alla semplice creazione visiva o sonora, ma quei temi meritavano di essere affrontati e messi sul tappeto. Mi sono ritrovato quindi, un po’ obtorto collo, anche ad inventarmi organizzatore di rassegne, curatore di mostre, editore di fanzine e cassette, col rischio di distribuire tempo ed energie su un gran numero di fronti e, come tanti supposti “tuttologi”, ritrovarmi a fare troppe cose superficialmente e nessuna davvero bene. I miei vari interessi, comunque, si sono spesso intrecciati e supportati tra loro, dando luogo a insolite ibridazioni, come ad esempio gli interventi a fumetti (recensioni, inserti) da me curati su riviste musicali come Rockerilla e Rumore, o le produzioni “modulari” del progetto TRAX (1981-1987) che mescolavano grafica, sperimentazione sonora, fumetto, scrittura, mail art e molto altro. Da questo eclettismo debordante trapela anche una quota di leggera follia, che a dire il vero non mi dispiace affatto. Mi riconosco molto più nelle figure di “outsider” dell’arte e agitatore controculturale, piuttosto che in quelle di giornalista, studioso o artista professionista. Per inciso, decenni di operosità creativa non mi hanno mai procurato i mezzi per vivere (anzi, si è trattato spesso di “hobby” alquanto costosi), ho svolto quindi sempre anche altri lavori più comuni (negoziante, albergatore) che forse mi hanno aiutato a restare coi piedi ben piantati per terra. Mantenere su arte e scrittura un profilo basso, non voglio dire amatoriale ma comunque da “dilettante geniale”, mi ha concesso se non altro una completa libertà di azione, la possibilità di scegliere sempre in piena autonomia di cosa occuparmi e con quali linguaggi, senza dover scendere a compromessi.

  1. L’assemblage, il montaggio, in che modo ti poni affrontando tutto ciò su diversi piani della comunicazione, dall’immagine alla parola al suono e in che modo cambia o può cambiare l’approccio?

Le tecniche di montaggio sonoro e di collage “analogico” su carta – uso tuttora forbici e colla più volentieri di computer e Photoshop – sono da sempre le mie preferite, già da bambino amavo ritagliare i giornalini a fumetti per comporre storie diverse. Del resto alcuni dei miei artisti preferiti (Kurt Schwitters, Ray Johnson, Joseph Cornell, Bruce Conner) sono dei collagisti, credo si tratti di un’attrazione innata, sul tipo di quella che altri provano nei confronti del disegno o della fotografia. E suppongo sia anche una conseguenza dell’essere stato parte di una generazione cresciuta all’epoca della prima espansione di massa di una cultura dell’immagine, nutrita da un interminabile “zapping” tra riviste, programmi tv, cinema, pubblicità, ecc. Non è quindi un caso che mi sia ritrovato a scrivere la tesi di laurea sulle tecniche letterarie sperimentali di “cut-up” di William S. Burroughs e Brion Gysin, o anche che uno dei miei progetti sonori, il “gruppo fantasma” Lieutenant Murnau (1980-1984), basasse il proprio operato sul concetto dello smontaggio e rimontaggio di musiche preesistenti “senza suonare una sola nota” (sono poi entrato in pianta stabile in un gruppo musicale chiamato Le Forbici di Manitù…).

L’approccio ad un lavoro di assemblaggio sonoro e/o visuale può modificarsi comunque sensibilmente di volta in volta, in base al contenuto di ciascuna opera e all’effetto che si intende ottenere. Il criterio può essere molto razionale, soprattutto nella fase di raccolta dei materiali da utilizzare (che può richiedere mesi o anche anni, ho decine di pezzi in varie fasi di completamento, in attesa dei dettagli mancanti), ma il procedimento si può rivelare anche estremamente istintivo, nel momento in cui si inizia a giustapporre i diversi elementi e l’opera comincia a dettare spontaneamente le proprie regole interne. Raramente il risultato corrisponde esattamente a quanto programmato, ma è proprio questo grado di imponderabilità nei montaggi a rendere eccitante il processo di creazione.

  1. Storicizzare e lasciare tracce, teorizzare e documentare, sono da sempre un aspetto necessario della creazione artistica. A questo proposito la tua attività come mail artist è spesso contraddistinta dalla compresenza di aspetti diversi, dalla realizzazione di opere all’organizzazione di mostre fino alla curatela di riviste e la conseguente storicizzazione di un network internazionale. Quale importanza ricopre, nella tua operatività, questa tensione documentaria?

 

Ho sempre avuto l’istinto del collezionista, il fiuto del segugio ricercatore di pezzi necessari per completare una serie, dell’ordinatore pignolo e schedatore di archivi, che si trattasse di mettere in ordine pacchi di albi a fumetti o raccolte di francobolli, di completare un album di figurine o la discografia di un dato musicista. Questa predisposizione naturale mi è tornata molto utile quando si è trattato di organizzare la mia attività di artista postale, che presuppone la gestione di un indirizzario con centinaia di nominativi continuamente aggiornato, la necessità di mantenere una traccia di quanto inviato (per evitare doppioni) e la possibilità di rintracciare facilmente i materiali conservati in archivio, per qualsiasi esigenza di impiego. La mail art è un circuito che funziona tramite uno scambio individuale ma che permette anche – proprio come un social network ante litteram – una interazione più allargata. Perciò l’ideazione di progetti di gruppo (mostre, installazioni, riviste, opere collettive, antologie, ecc.) fanno parte delle attività abituali dell’artista postale, che quasi di norma svolge quindi al medesimo tempo un ruolo di autore e curatore, coordinatore ed editore. C’è poi chi questa esperienza la mette in atto nell’ambito di circuiti ristretti, che coinvolgono solo una manciata o poche decine di contatti, e c’è chi invece realizza progetti più complessi e consistenti, con centinaia di partecipanti. Fa comunque parte del dna di ogni networker il fatto di svolgere anche un compito di organizzazione e “regia” del piccolo o grande circuito di cui si trova al centro.

Personalmente, ritengo che l’opera di un artista postale sia meglio rappresentata non tanto dal singolo elaborato, il collage su cartolina o il francobollo d’artista, quanto dal processo (anche immateriale) che ne implica la spedizione e la risposta da parte di uno o più destinatari. La mail art è sempre un’opera condivisa e in divenire. Detto questo, alcuni artisti postali (come il sottoscritto, John Held Jr., Chuck Welch, Ruud Janssen, Anna Banana, ecc.) si sono trovati nella posizione – grazie alla quantità di materiali e pubblicazioni raccolte, oltre alle personali capacità di elaborazione e scrittura – di poter tentare di documentare il fenomeno mail art nel suo insieme, o almeno una parte significativa di una storia che abbraccia ormai oltre mezzo secolo. In questo senso, rappresentano un caso singolare e quasi unico la collana di volumi dedicati alla mail art e ad altre culture di rete che ho avuto modo di scrivere o curare assieme a Piermario Ciani per le nostre AAA Edizioni, a partire dalla mia “guida al network della corrispondenza creativa” Arte Postale (1997). Resta un sogno ed obiettivo futuro quello di riuscire ad organizzare una esposizione comprensiva di taglio storico sull’universo della mail art, con adeguato catalogo illustrato, anche per colmare una incomprensibile lacuna (avete mai provato a chiedere in libreria un testo sulla mail art?). Senza una adeguata documentazione e sistemazione storica, questo complesso movimento (che comprende al suo interno una quantità di fenomeni originali e di spunti teorici di grande interesse, dalla para-filatelia creativa alle nazioni fantastiche, dagli “ismi” fai-da-te come Neoismo e Plagiarismo ai dibattiti riguardanti l’arte per tutti e il no copyright) rischia di essere del tutto dimenticato, in un’epoca in cui Internet e telefoni cellulari hanno quasi del tutto soppiantato la comunicazione postale tradizionale.

  1. Robert Filliou teorizzando l’Eternal Network ha avuto modo di individuare, anche, alcune delle manifestazioni a lui contemporanee che attraverso i cambiamenti sociali e tecnologici si mostravano pressanti in quegli anni (nuove pratiche dell’Eternal Network, ad esempio, apparivano legate alla mail art, all’uso del fax come pratica di comunicazione artistica, la tv, e tutta una serie di eventi, manifestazioni, performance, ormai dislocate in ogni parte del mondo). In questi anni con la pratica della Glitch Art, producendo errori di sistema riletti in chiave di linguaggio artistico, si ritorna a volte all’uso di vecchie tecnologie, più suscettibili all’errore, generando appunto errori. Trovi ci possa essere un qualche legame con la copy art e la possibilità di manipolare l’immagine, intervenendo anche nel corso della copia (causando sbavature ecc), che le fotocopiatrici offrivano? Dunque una sorta di continuità fra i linguaggi (fermo restando le dovute differenze e lontananze), una qualche persistenza in questa provocazione dell’errore? E sempre in riferimento alle analisi di Filliou, a partire da quel sistema “aperto” dunque in evoluzione, oggi quali possono essere le nuove manifestazioni dell’Eternal Network e in che modo si realizza o può realizzarsi un passaggio dalla mail art alla email art? Come dialogano analogico e digitale?

Il “glitch”, l’errore elevato a tecnica ed estetica (soprattutto in ambito di musica elettronica), così come il concetto di incompiutezza, di lavoro in progress (con antecedenti fino alla Pietà Rondanini di Michelangelo), sono parti integranti della pratica mailartistica, basti pensare ai molti procedimenti tesi a generare cortocircuiti e mettere in crisi i rigidi ordinamenti postali, dalla geniale “scelta del postino” di Ben Vautier con indirizzi diversi sui due lati di una cartolina alle molte “spedizioni indirette” inviate a indirizzi inesistenti per dirottare invece le buste ai recapiti dei mittenti. L’arte è sempre in qualche misura un’azione di disturbo e critica dello status quo, in questo senso lo “sbaglio creativo” può essere un valido alleato, così come pure l’utilizzo improprio di tecnologie vecchie e nuove. C’è un sintomatico aforisma di Filliou, “genio senza talento” per sua definizione con cui ho avuto la fortuna di scambiare qualche missiva, che afferma: “Non ti curare del fatto che la tua opera circoli oppure no. Mentre la realizzi, è arte. Quando la completi, è non-arte. Quando viene esposta, è anti-arte.” Credo che il fenomeno della mail art abbia rappresentato soprattutto questo, lo sberleffo all’“anti-arte” irrigidita sulle pareti di gallerie e musei, il bisogno di uscire dalle logiche della critica prezzolata e dalle pastoie del mercato dell’arte, la rivendicazione di una comunicazione più aperta e orizzontale, la ricerca di uno spazio liberato comune e di forme di creatività pure, vitali e disinteressate. Di conseguenza, la forza della mail art risiedeva proprio nella sua natura effimera, polemica ed enigmatica, nell’essere parte di un processo di comunicazione “spirituale” ancor prima che materiale. Se si fosse trattato solo di un baratto a distanza di opere più o meno mercificabili, l’arte postale sarebbe stata ben poca cosa. La “Rete Eterna” ha incarnato invece una sorta di comunità utopica, di famiglia allargata con ideali condivisi, sostituendo il concetto di competizione (sempre così spiccato tra le giovani art star) con quello di collaborazione. Forse quella della mail art è stata una dimensione a se stante, si è trattato di un fenomeno artistico/sociologico “di base” la cui storia si è intrecciata con quella delle post-avanguardie (fluxus e poesia visiva in primis) ma da cui si è distinto per le peculiari caratteristiche di “gratuita” vivacità, ironia, eclettismo e collettivismo. Scrivo di mail art al passato perché ritengo che la rete postale creativa abbia da tempo concluso la sua fase eroica e propositiva, ciò che resta oggi è la “coda lunga” di un’esperienza che appunto sempre più si contamina coi linguaggi e le possibilità di comunicazione globale istantanea offerta dalle reti digitali (e-mail, blog, social network), mutando pelle e aprendo nuovi scenari che ha poco senso voler continuare a chiamare (e)mail art (tanto vale trovare appropriate definizioni inedite).

Tutto cambia difatti, i mutamenti sociali, economici e tecnologici del nostro tempo non sono meno radicali e determinanti per le sorti del pianeta di quelli degli anni ’60-’70 del secolo scorso considerati da Filliou, quindi anche le riflessioni sull’arte di rete necessitano una drastica revisione. Grazie a Internet, oggi siamo davvero tutti artisti, tutti editori di noi stessi, tutti costantemente in contatto con tutti, eppure sembra che siamo anche tutti quanti un tantino infelici e insoddisfatti. Come se il Sistema (per usare una terminologia d’altri tempi) nel regalare a tutti un piccolo pulpito virtuale, avesse neutralizzato ogni potenzialità culturale davvero rivoluzionaria della Rete (soggetta comunque a meccanismi occulti di controllo e censura). Il chiacchiericcio infinito su Facebook-Twitter-ecc. ha fatto dell’Eternal Network immaginato da Filliou una macchina dell’Eternal Gossip, dove l’eccesso di dati disponibili porta ad una sorta di saturazione e sopore dei sensi (critici), ad una superficialità diffusa e ad un livellamento intellettuale verso il basso. Tutto cambia e forse anche le vecchie utopie, priorità e obiettivi sono risolutamente da aggiornare. Senza voler indossare maschere da Nuovi Luddisti, la risposta risiede forse in una dimensione più circoscritta, appartata, mitopoietica, profonda e realmente partecipata dell’esperienza collettiva che ieri chiamavamo mail art. La spinta interiore a trovare nuovi percorsi e soluzioni proviene dalla consapevolezza di poter essere parte di un’altra eccitante avventura.

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