Adriano Accattino, Atropoiesi. Poesie scritte al buio, Fano, Mimesis / Il risorgimento della poesia visiva, 2015
by Francesco Aprile
2015-06-23
Atropoiesi. Poesie scritte al buio è il testo che inaugura la collana Il risorgimento della poesia visiva, diretta dallo stesso Accattino per l’editore Mimesis e ufficialmente pubblicato nel mese di maggio 2015. La collana vuole rappresentare uno strumento importante in un momento storico in cui spesso del passato si è fatto in Italia un utilizzo sommario, male esplorato. Il passato della poesia verbo-visiva appare molte volte inabissato in ricostruzioni parziali che non permettono di affrontare in maniera adeguata la contemporaneità. Siamo in un momento storico in cui la grande dimensione comunicativa, multimediale, digitale, apre e dilata il dettato poetico tracciato da Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti, ad esempio, e permette nel rinnovamento dei mezzi di comunicazione nuovi approcci al mondo sociale, quotidiano, e nuove derive poetiche che possono portare la poesia verbo-visiva al di fuori di un “manierismo” di sorta che è proprio di quelle fasi di stanchezza dei linguaggi che si atrofizzano in accademia. L’interpretazione critica del contesto storico a partire dalla rilevazione dei mezzi di comunicazione rappresenta una ipotesi di lavoro dinamica e in continua evoluzione. Ciò comporta che l’apparato teorico imbastito dai già citati Miccini e Pignotti, ma anche altri autori cardine delle ricerche verbo-visive, mette a disposizione degli operatori contemporanei una dimensione di ricerca e lavoro che appare come una miniera: un approccio, appunto, dinamico e che nel cambiamento dei media rileva di continuo nuove strade per le ricerche verbo-visive. Ad esempio leggiamo nell’introduzione della collana Il risorgimento della poesia visiva che «Un grande avvenire attende la Poesia visiva. Ci troviamo ai bordi di una distesa finora male esplorata: non si è fatto tutto quello che si sarebbe potuto fare, ma il campo s’indovina ancora fertile. La Poesia visiva ha trovato i suoi operai: sono decine e centinaia su tutta la Terra. Ormai è un’arte matura e le sue virtù sono lampanti: grandi possibilità e varietà soddisfatte con mezzi materiali e strumenti davvero modesti».
Questa premessa si rende necessaria per intraprendere un discorso attorno all’opera di Adriano Accattino, Atropoiesi. Poesie scritte al buio. Il campo nel quale ci trasporta Accattino è quello di un territorio difficile da esplorare, eppure fitto, denso, carico di spunti. Accattino è autore eclettico e di lungo corso, di storicizzata valenza teorico/artistica. Da sempre affianca all’agire poetico uno scandaglio, ampio, nei linguaggi delle ricerche verbo-visive, e un pensiero fertile al quale ogni azione si riconduce. Riflessione e opera appaiono sempre presenti nell’agire poetico dell’autore. Importante è anche la sua esperienza sul piano della storicizzazione dei linguaggi, sfociata in ultimo nella creazione del Museo della Carale a Ivrea, e nella messe di eventi a questo legati, luogo ormai di primo piano negli ambiti dei linguaggi sperimentali. Sono poesie scritte al buio, di notte in notte, quelle che l’autore presenta nel testo Atropoiesi. Poesie scritte al buio durante un ricovero ospedaliero. L’autore, colpito da un fulmine, trascorre un periodo in ospedale nei mesi di maggio e giugno 2014 e in questo contesto inizia a scrivere ed esplorare le possibilità di una scrittura al buio. Un percorso quello di Accattino che ricorda le trame compositive del poeta australiano Tim Gaze che nel 1999 introducendo il testo The oxygen of truth dichiarava di praticare l’asemic writing di notte, ascoltando musica, per giungere ad uno stato di non-mente simile allo Zen e “disattivare” il pensiero. Allo stesso modo Accattino opera di notte, laddove il buio e la stanchezza che comporta l’ora predisposta al sonno, al riposo, al ristoro del corpo, sono elementi che contraddistinguono questa pratica autorale differenziandola in modo sostanziale dalla scrittura che l’autore definisce, in introduzione al testo, diurna. Il giorno ha la costante presenza del pensiero, del ragionamento, lo stato di guerriglia del pensiero è pressante, battagliero, indagatore. L’autore ne è consapevole. È in ospedale. Non riesce a dormire, allora scrive. Consapevole dell’abbassamento delle barriere che la stanchezza comporta tenta la scrittura praticando il buio come trama compositiva, ossia il buio è costituente, elemento partecipe del testo, lo completa impedendone la leggibilità del movimento scritturale. La distanza fra il gesto e il pensiero si accorcia in maniera drastica. Ma è il corpo col suo movimento che detta la parola, un ghirigoro che disattende l’idea di frase pensata dall’autore e si rivela in forme, tracce di segni, sedimenti di linguaggio in divenire che spesso non diviene e costeggia i limiti dell’asemic writing. I segni, le tracce, si sovrappongono, scavalcano l’ordine razionale del pensiero e nella modalità espressiva e libera del gesto, nel momento propedeutico della notte, si accavallano sul foglio. Sono trame, tracce che rimandano agli accavallamenti e cancellature del notes freudiano. L’autore pensa una frase, una scansione poetica, ma la stanchezza e il sonno che accorciano le distanze fra pensiero e gesto, e la notte col suo buio, fanno in modo che il corpo nelle pulsioni dell’inconscio detti il movimento intimo del segno che accavallandosi funge come le parole e le immagini dell’inconscio freudiano, che una addosso all’altra emergono e cancellano nella danza del notes magico. Il libro porta in apertura la dedica a Emilio Villa, Martino Oberto, Luigi Bianco. Villa e Oberto, pionieri nel mondo delle sperimentazioni poetiche del secondo novecento, hanno dato vita ad esperienze di scrittura manuale, gestuale, che nella liberazione del corpo tentano un raccordo col mondo. La sostanza poetica diventa materica. La scrittura manuale, dunque visiva, di Accattino ha anch’essa sostanza materica e spaziale. Ma la spazialità del foglio è affrontata in maniera paradossale: è l’impossibilità di una visività che nel buio si manifesta a dettare la spazialità del testo che nel movimento del corpo straborda e tenta il confine, come pulsioni che agiscono il corpo incontrandone i limiti. Henri Michaux definì il campo di esplorazione in termini di movimento vibratorio, gesto intimo. Il movimento intimo e vibratorio in Accattino è colto sulla soglia di uno stato diverso che salta la barriera del conscio, del diurno, e cerca l’opera nello sprofondo di un silenzio antico. Per millenni l’uomo ha stancato il corpo in danze e canti e nella ripetizione di movimenti e suoni ha cercato l’indebolimento del pensiero e la primordialità del gesto o della voce, inducendo se stesso a stati alterati di coscienza. La soglia sulla quale opera Accattino è simile, nella misura in cui l’afflato poetico del corpo appare come risultante del drastico accorciamento fra pensiero e gesto, ottenuto nella stanchezza dell’insonnia, della privazione del riposo, sottoponendo il gesto autorale ad una liberazione poietica intima.
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