Edoardo De Candia. Note bio-bibliografiche
by Francesco Aprile (a cura di)

Si vuole presentare, in questa sede, un profilo bio-bibliografico del pittore Edoardo De Candia, un work in progress, non esaustivo, data la mole dell’opera decandiana non ancora rintracciata e/o catalogata.

Edoardo De Candia (Lecce 1933 – 1992), pittore, figlio di Giuseppe e Margherita Querzola, a nove anni entra come apprendista presso la bottega di un cartapestaio, restandovi per sei anni, «a quindici anni mi sono licenziato da un cartapestaio dove lavoravo, ci sono stato sei anni, facevo bambole, statue, dopo ho cominciato a fare i primi quadri.» (De Candia E., in Verri A., Un cavaliere senza terra, 1988). Muove i primi passi nell’ambiente artistico leccese assieme agli amici Carmelo Bene, Antonio e Anna Maria Massari, Ugo Tapparini, Tonino Caputo, inizia a dipingere, infatti, sotto l’influenza di Michele Massari (padre di Antonio, suo amico), ma nel ’54 l’incontro con Francesco Saverio Dòdaro, arrivato a Lecce dopo un periodo fra Bologna e Parigi, lo porta su altri versanti pittorici, al punto che i due, su idea di Dòdaro, con un falò bruciano assieme i loro quadri, secondo un rito purificatore che li avrebbe condotti a nuove strade, a nuove ricerche. Scrive Antonio Verri in Edoardo, un cavaliere senza terra: «Ecco: Dòdaro bruciava le sue tele astratte-informali-surreali che comunque rappresentavano già una autentica violazione, per passare al versante dell’analisi e della letteratura; De Candia tutte quelle opere, fino ai vent’anni, di ispirazione, diciamo, massariana (parliamo di Michele Massari), con temi e pennellate non certo degne del De Candia successivo. […] E in questo contesto arriva nel ’53 F.S. Dòdaro, arriva con la novità dei colori “bruciati”, dell’astrattismo-informale-surreale “bruciato”. Nel ’54 riesce ad esporre alla “Olivetti”, sul corso Vittorio Emanuele, una sua opera: “Svergognato incantesimo di barca” […] L’opera provocò scalpore, vivaci dibattiti, indignazione, solo si alzò il vecchio Massari a difenderlo: “Questo qua sa il fatto suo”, disse (lo stesso quadro, con il titolo “La barca”, ebbe, dopo, un riconoscimento al Maggio di Bari). Edoardo, che stimava il vecchio Massari, rimase turbato, quasi sbigottito dalle sue parole: si avvicinò a Dòdaro e alla contemporaneità!». Ancora riguardo al falò, De Candia, intervistato da Antonio Verri e Mimma Sambati, nel 1991, interrogato sul perché avesse accettato di bruciare i quadri, risponde: «“Ci credevo.” […] – “E perché hai deciso di bruciarli?” – “Perché ero legato, mi sentivo legato da quelle cose”». Sono anni, questi, afferma Dòdaro, in cui l’artista studia a fondo il dibattito internazionale attorno all’opera di Edvard Munch, è L’urlo, in modo particolare, ad interessarlo (Testimonianza diretta del vivo interesse dell’artista, attento a ricevere sia i segnali critici che le nuove proposte). L’impatto visivo del colore pare infatti una prerogativa del pittore salentino. Intanto si rafforza il legame con Dòdaro, Rina Durante e Paola Re (figlia di Geremia Re). Qualche mese dopo, De Candia è a Milano con Ercole Pignatelli, da qui una breve parentesi a Torino, da Felice Casorati, che lo tiene con sé come allievo. Il ritorno a Milano dove frequenta il Giamaica e gli ambienti artistici della città meneghina, dipinge, entra in contatto con Piero Manzoni e Bruno Cassinari, stringe un buon legame con l’illustratore Giorgio De Gaspari, vende qualche quadro, lo nota Lucio Fontana, al punto che «Di questo Solitario dal portamento fiero e altezzoso si accorge anche Lucio Fontana, intento in quegli anni, praticando tagli e perforazioni, al superamento di un limite geometrico ed esistenziale; Fontana gli compra un po’ di disegni, glieli compra a 10.000 lire, in qualche modo cerca di aiutarlo: ne ha percepito il guizzo, la genialità; fino a che, d’accordo con De Gaspari, trova il modo per mandarlo in Inghilterra, a Londra, presso un College, una buona Accademia d’Arte» (Verri A., Un cavaliere senza terra, 1988). Dopo Londra, espulso dall’accademia, Edoardo De Candia è a Parigi dove frequenta il Caffè Selecta, tenta di tornare a Londra, ma con un foglio di via viene rispedito a Lecce. È il ’56. Difficili da periodizzare, ma documentati dal poeta Antonio Verri nel racconto-intervista Edoardo, un cavaliere senza terra, del 1988, sono un periodo a Venezia, riporta, Verri, le parole di De Candia «Ho lasciato un quadro al ristorante Colomba, a Venezia, mi davano da mangiare e c’era una turista americana che mi fotografava di continuo. Quindici giorni nella città sul mare» ed un altro breve periodo a Roma, «Ci siamo visti a Roma con Carmelo, Caputo, Tapparini e gli altri». Tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70 giunge ad una sintesi fra espressionismo pittorico e le correnti verbo-visive, aprendo al segno letterario, sconfinando lungo i sentieri della comunicazione poetica, sono di quegli anni infatti «le prime “forme” di vocali con la corona e dittonghi a tutto foglio: i suoi lettori, da questo momento in poi, prima di parlare delle sue opere devono aver chiara tutta la cultura novecentesca europea. Non solo pittorica.» (Ibidem). Allo stesso periodo risale il primo internamento in manicomio: «Ecco. Una ventina d’anni fa mi hanno messo per la prima volta in manicomio a Lecce perché mi stendevo nudo sulla terrazza, avevo rotto la finestra della mia camera, bevevo un po’, facevo la corte a una e non la fermavo mai, innaffiavo piante contro la volontà del giardiniere; il risultato dei medici fu: paranoide schizofrenico; i miei genitori erano colpevoli, ma i medici erano ancora più fessi e colpevoli. Dopo Roma, a Lecce, mi sentivo così bene, tanto bene… Mi hanno messo di nuovo in manicomio. Appena mi sentivo bene mi mettevano in manicomio. Intanto dipingevo, vendevo agli infermieri, ai medici porci, e poi, e poi…» (Ibidem). Dopo il manicomio è tutto un dentro e fuori dalle stanze degli elettroshock manicomiali a quelli gratuiti della società del tempo, per Edoardo De Candia che sembra quasi, su precisa e lucida scelta, accentuare il carattere di distacco, rifiuto e isolamento dal sociale, senza compromesso alcuno, innestando sulla disperata e tempestiva e furente e rapida, precisa, forte, perizia del segno, un rifiuto drastico verso ogni sovrastruttura culturale. Alternerà periodi in città, Lecce, a periodi passati in case di fortuna, pagliare e altro, nelle marine del Salento, da San Cataldo a Torre Veneri (Lecce), dalle Cesine (Vernole, Le) a Sant’Andrea e Torre dell’Orso (Melendugno, Le), come luoghi sacrali nei quali dipingere. Testimonianze di un modus operandi e vivendi, che apre alla natura come alla libertà perentoria del segno, sono alcune opere decandiane segnate dalle tracce della pioggia che coglie l’artista nell’atto di dipingere. Edoardo De Candia muore nell’agosto del 1992 presso l’ospedale Vito Fazzi di Lecce.

Dalla prima parentesi, quella massariana, legata, in una fase ormai tarda, ancora all’esperienza impressionista (Michele Massari, pittore tardo-impressionista, ricorda Ilderosa Laudisa che «non fu né rivoluzionario né innovatore»), Edoardo De Candia sarà poi sempre impegnato in una serie di percorsi pittorici che torneranno in maniera quasi circolare nella sua produzione, laddove dal periodo delle marine (che pure tornano di continuo in tutta la sua produzione, fino agli anni ’80) sconfinerà in quello del simbolo e della comunicazione poetico-visuale (come periodo, approssimativo, fra la fine degli anni ’60 e i primi anni ‘70, riconducibile al primo internamento in manicomio, ma che si è protratta negli anni, tanto che alcune opere realizzate su questo tracciato sconfinano negli anni ’80, si pensi all’opera “Amo”, su fondo verde, datata 1986), e il ciclo della Betissa, delle grandi donne rappresentate spesso di schiena (si pensi agli anni ’80, ad esempio, in riferimento ad alcune date, ma in riferimento anche all’opera letteraria di Antonio L. Verri, intitolata appunto La Betissa edita per la prima volta nel 1987 sulla rivista SudPuglia), i nudi, i disegni erotici, che attraversano tutti gli anni ’80. Così che risulta difficile, anche alla luce di una produzione generosa, sconfinata, e non ancora catalogata e completamente rintracciata, una reale periodizzazione quando una fase si protrae nell’altra mostrando ambiti di reciprocità in base ad approccio e sintesi del segno.

In riferimento a quanto dichiarato da De Candia ad Antonio Verri e Mimma Sambati nel 1991 riguardo al falò e al sentirsi “legato” dalle opere precedenti, di impronta massariana, è importante tenere a mente che in un corpus di opere del periodo del falò, o immediatamente successive, appare ravvisabile lo sforzo decandiano di rompere la gabbia, producendosi in una serie di tentativi che saranno propedeutici alle ricerche seguenti, e, grosso modo contemporaneo allo Scontro di situazioni di Emilio Vedova, scardinerà la gabbia con una serie di tentativi, che qui vogliamo chiamare “studi”, affini all’informale segnico di Vedova.

 

 

Alcune mostre:

1.Personali

– 1953, Caffè La Torinese, Lecce

– novembre 1959, La Cornice, Lecce
«Antonio Caputo (è il nostro Tonino), dalle colonne del Pensiero Nazionale, in un “Panorama della giovane pittura italiana”, quasi commosso per aver ricevuto segnalazione sul suo vecchio Edoardo, parla entusiasticamente dell’amico, ci informa che anche Ugo Moretti, lo scrittore, è sceso a Lecce per la mostra di De Candia e ne ha parlato su “Rotosei”. Caputo chiude: “ed ora attendiamo l’amico ai cimenti più impegnativi di Roma e Milano”». (Verri A. L., Edoardo. Un cavaliere senza terra, 1988).

– 10-24 aprile 1965, Il Sedile, Lecce

– 15-30 novembre 1969, 3A, Lecce

– 1-10 dicembre 1971, Galleria Belle Arti-Caiulo, Lecce
Nel catalogo della mostra è presentato da Ennio Bonea «che ci fa subito notare che la produzione alle pareti è ben diversa da quella di Edoardo “felice paesaggista”, del “pittore marino”. Adesso è il simbolo il nuovo oggetto di De Candia» (Verri A., Edoardo, un cavaliere senza terra, 1988).

– 22 aprile-25 maggio 1972, Ristorante Mazza, Ferrara
Nel catalogo della mostra di Ferrara, Edoardo De Candia è presentato da Daniele Rubboli che parla di «una opulenza femminile in candida offerta nel sapore d’antiche forme d’altre civiltà mediterranee».
Su Il Resto del Carlino del 5 maggio 1972 è riportato che De Candia «per l’originalità del suo tocco viene considerato dalla critica come uno degli artisti più interessanti delle nuove correnti».

– Maggio 1981, Consorzio Artigiani, Lecce / (A cura di Franco Gelli)

2.Collettive

1984, Biblioteca Provinciale Bernardini, Lecce / (A cura di Antonio L. Verri e Maurizio Nocera)
Il critico Raffaele De Grada, invitato per inaugurare la mostra, riconosce nell’opera decandiana una «forza extra-umana che egli imprime in quel suo segno “eroico” forte di secoli». (Testimonianza riportata da Maurizio Nocera in Il segno eroico di Edoardo, in Arteeluoghi, n.1, Lecce, ottobre 2005)

3.Omaggi e/o inserimenti postumi

3.1 Mostre personali

Settembre 2000, Caffè Letterario, Lecce
Novembre 2010, Cibus Mazzini, Lecce

3.2 Mostre collettive

8 febbraio-25 maggio 2014, Must, Lecce / (Lavori in corso. Corpo 3 – I percorsi della pittura, a cura di Toti Carpentieri)

 

Bibliografia critica

Agnisola G., http://www.elioscarciglia.it/giorgio%20agnisola_64.htm, Biblioteca Provinciale Bernardini, Lecce, 19 gennaio 2008

De Candia E., Odio Amo, Lecce, Atrium Arte Contemporanea, 2010

Dòdaro F. S., La memoria nel nome di Edoardo, in Leccesera, venerdì 30-sabato 31 ottobre 1998

Dòdaro F. S., Lettera, in Edoar Edoar (Maurizio Nocera, a cura di), San Cesario (Le), Il raggio Verde Edizioni, 2006, p. 7

Marullo E., Il primitivismo aureo di Edoardo De Candia. La perfezione primitiva del gesto, in www.utsanga.it, n°3, marzo 2015

Verri A. L. – Sambati M., 1991. In casa di Edoardo (intervista), (alla presenza, inoltre, di Fernando Bevilacqua e Aysé Yazicioglu), in Edoar Edoar (Maurizio Nocera, a cura di), San Cesario (Le), Il raggio Verde Edizioni, 2006, pp. 45 – 55

Verri A. L. – Nocera M., Due interviste a Edoardo De Candia, Lecce – Ospedale Psichiatrico, 22-23 dicembre 1988

Verri A. L. – Nocera M. (a cura di), Edoardo De Candia, il cielo in testa. Disegni erotici, Lecce, Edizioni Dopopensionante, del centro culturale “Pensionante de’ Saraceni”, 1989, 199 esemplari

Verri A. L., Edoardo. Un cavaliere senza terra, in Sud Puglia, settembre 1988
http://www.bpp.it/Apulia/html/archivio/1988/III/art/R88III021.html

Verri A. L. (a cura di), Le carte del saraceno: progetti e visualità della regione Salento, Caprarica di Lecce, Centro culturale Pensionante de’ Saraceni, 1990

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