KOOBOOKARCHIVE.
Esperienze e punti di vista su libri e multipli
stralci e note da studi e conversazioni con artisti del libro
Anna Guillot
Per chi opera nell’arte e studia il libro d’artista le congetture e gli spunti di riflessione sono molteplici. Quello del libro è un ambito di ricerca che coinvolge, né più né meno di altri, linguaggi, sperimentazioni, tecnologie, contenuti e tematiche.
Nei primi decenni del ‘900 il libro inteso secondo tradizione come strumento di diffusione di concetti assume da parte degli esponenti dell’avanguardia un’ulteriore valenza come oggetto d’indagine e spazio da reinventare. Per la critica, il riconoscimento della piena consapevolezza di tale cambiamento è però segnato negli anni ‘60.
Oggi, a distanza di tempo, ciò che vale è essenzialmente il principio che il libro d’artista, un artefatto seguito dall’autore in ogni sua fase (dalla progettazione alla realizzazione materiale), debba essere considerato, al di là della propria specificità, come ambito spazio-temporale d’indagine pari ad altri luoghi delle arti visive.
Rimane che tra i ‘modi del libro’[1], i presupposti e modalità del ‘fare libro’, si ripropongono questioni note, come unicum e serie, piccola e grande tiratura, e il dove risieda il pregio dell’opera e quale sia effettivamente il valore dell’arte, se la divulgazione o l’esclusività[2].
Nel contesto del KoobookArchive, l’archivio di libri e multipli d’arte da me fondato nel 2008 a Catania, propedeutico e determinante è stato il rapporto diretto con alcuni protagonisti della ricerca, il Gruppo 70, i movimenti della Poesia visiva, visuale e concreta[3] e Poesia sonora. Generatori di interesse e forti motivatori sono stati i contatti e le frequentazioni con Eugenio Miccini, Luciano Caruso, Mirella Bentivoglio e Giovanni Fontana, figure autorevoli che hanno avuto un grosso peso in senso formativo ed esperienziale, coinvolgendomi nello studio e nella pratica del libro d’artista. Produttivi sono stati inoltre gli incontri con Bruno Munari al suo studio di Milano, con Carlo Belloli presso l’ISISUF[4], con Giovanni Anceschi, sempre a Milano[5]. Più in generale, negli anni ’90 sollecitazioni forti verso l’analisi critica sono venute da incontri[6] nati da collaborazioni con riviste specializzate[7].
L’archivio Koobook consta di un migliaio di libri, dei quali una ridotta percentuale riguarda l’area di ricerca multi e intermediale, indagata su mia richiesta con precisi autori per progetti di ricerca comune. La quasi totalità degli esemplari è cartacea; la tipologia sperimentale pur connettendosi con digitale e nuove tecnologie non preclude cartaceo e analogico.
La raccolta risponde a un criterio storiografico e un sotto criterio riferito a movimenti e artisti. Prevalgono autori italiani ed europei del secondo ‘900; di peculiare interesse sono i movimenti focali dell’area verbo-visiva e della neo avanguardia italiana e francese, le già citate poesia visuale, concreta, visiva, sonora, Arrigo Lora-Totino, Belloli, Munari, Bentivoglio, Caruso, Ketty La Rocca, Lamberto Pignotti, Lucia Marcucci, Miccini, Giuseppe Chiari, Fontana, etc., e i francesi Julien Blaine, Henri Chopin, Ben Vautier, etc.; alcuni di formazione letteraria altri propriamente delle arti visive, documentano l’arco di tempo dagli anni ‘60 ai ‘90. Al loro fianco, coevi, gli americani pionieri del libro, Edward Ruscha, John Baldessari, Lawrence Weiner, etc. Con loro si apre una sezione che introduce un diverso e massivo uso della fotografia connesso alla grafica.
Ulteriori presenze coprono il trentennio 1990-2020, gli europei Ian Hamilton Finlay, i già citati Chopin, Blaine e Vautier, fino a Christian Boltanski e Sophie Calle, per fare solo qualche nome. Gli anni successivi sono documentati prevalentemente attraverso la generazione intermedia: Matthew Barney, Thomas Demand, Tracey Emin, Damien Hirst, William Kentridge, Julian Opie, Roni Horn, Maurizio Cattelan e la matura, Richard Tuttle, Ettore Spalletti, etc. In ciascuna area vi sono anche libri di autori meno noti. L’Archivio include ricerche e sperimentazioni degli studenti del corso di Progettazione del libro d’artista da me tenuto presso l’Accademia di Catania.
Luciano Caruso vedeva l’impegno sul libro come “esercizio traverso”. Ho ripetutamente citato tale definizione contestualizzandola nelle mie riflessioni sul libro d’artista, per assumerla come chiave di lettura centrale del ‘far libro’[8], come lui diceva.
“KOOBOOK KOOBOOK. Questioni di tempi e modi, di poetiche e pulsazioni”[9], è la messa a punto testuale performabile in forma di pièce che Giovanni Fontana fa dell’Archivio e che dà bene l’idea di questa complessa trasversalità.
Di seguito è riportato un segmento.
“[…] che il libro / d’artista infatti / dissi una volta / veste ruoli diversi / e svolge molte funzioni / e indossa innumerevoli maschere / così che appare come preziosa occasione verbovisuale e come narrazione geniale / in termini plastici / come teatro di ombre e come spettacolo materico / come scatola magica / come camera delle meraviglie / come palestra di avventure totali / come terreno di gioco / come misuratore di tempi mentali e come diario dei sensi / come prodotto d’uso o come feticcio / come reperto / da custodire / e come dono da amare / come traccia / come testimone muto del gesto / come segno da disperdere / da interpretare / come puzzle da montare / come labirinto da percorrere / come perimetro da definire / come oggetto rituale o come scandaglio tecnologico / come tessuto contaminante / come fuoco abbagliante / ma anche come deiezione e catalogo trash / come indicazione esemplare o come attrezzo volgare / come poema / come voce / come partitura da eseguire / come contenitore di suoni cristallizzati o come strumento realmente sonoro / come miniera d’oro / come luogo da abitare o come nido da covare / ma anche come macchina della sorpresa trasversale / come scheda digitale / come congegno intermediale / come messaggio cybernautico / come circuito elettrico ed elettronico / o all’opposto / come sacra teca / come arca segreta / come scrigno di preziosi / perfino come pietra tombale o come confessionale / e poi come occasione di trasgressione / come oggetto erotico / come travestimento burlesco / lazzo carnascialesco o come maschera tragica / come testamento grottesco e come eredità dissipata / come mappa da decrittare e come passaporto per viaggiare / come occasione perduta o come memoria ritrovata / e così via / così via / koobook koobook / koobook koobook / koobook koobook / per tipologie / per generi / e varietà / che”.
Proprio nel caso di Giovanni Fontana, un suo preciso libro può valere per l’insieme dell’opera. È Il libro dei labirinti, un’operazione intermediale del 1996 in cui la pagina ricopre il ruolo di spartito; un blocco corposo che va considerato come pre-testo nel senso di punto germinale, al contempo fruibile come ipertesto. Il Libro è sfogliato, letto, perlustrato e attivato dall’autore nei suoi numerosi congegni, pagina per pagina, in un corpo a corpo sinestetico pieno di sorprese. Si tratta di pagine-spartito, ovviamente, ma anche di oggetti, dispositivi e materiali diversi e imprevedibili inseriti tra fogli tenuti da un groviglio di fili e lacci. Alle spalle di Fontana in azione, sono le immagini in macro dell’azione stessa ripresa mentre accade, il piano e il contesto dove autore e opera interagiscono.
ll libro dei labirinti, una sorta di faldone che rimanda a una Wunderkammer e al contempo a un laboratorio di tecno-scienza, è un generatore singolarissimo di percezioni polisensoriali e di coordinate spazio-tempo.
Più di 50 anni fa Eugenio Miccini, cofondatore della Poesia visiva, concepiva il nesso tra operazione estetica e società come impegno socio-politico da praticare all’insegna della ‘guerriglia semiologica’ – l’esuberante guerriglia linguistica combattuta sulla pubblica piazza con gli strumenti della cultura[10], contendendo alla ‘società dello spettacolo’ le sue stesse aree d’azione, murali, editoriali, pubblicitarie. Eugenio mi parlava di come l’interesse per ogni fenomenologia della comunicazione e per gli sconfinamenti da essa derivati desse senso alla produzione personale di teche e libri, poemi-oggetto e cartelle, azioni performative, etc.
La mente va subito al provocatorio Piano regolatore insurrezionale della città di Firenze[11], una cartellina di schede libere riproducenti ciascuna una carta topografica dei quartieri della città di Firenze (Sampietro, Bologna 1972)[12].
Attraverso la creazione di oggetti del tutto esenti da ogni tipo di asservimento al mercato, solo portatori di sagace metafora di lotta contro l’esasperazione tecnologico-consumistica, Miccini intendeva praticare un fare finalizzato al recupero della manualità – un fare che costituisse attività ludica come ‘pensiero liberato’[13].
Calato nel clima degli studi di semiologia condotti da Paolo Fabbri e da Umberto Eco, nei primi anni ’70 Miccini assemblava in un Libroggetto (Techne, Firenze, 1970) materiali prodotti da artisti, facendoli recapitare come ‘mostra a domicilio’ per via postale. Un simile tipo di penetrazione – che si valeva dunque strategicamente anche dell’uso di regolari tecniche di distribuzione –, congiunta ad ulteriori modalità comunicative, gli consentiva di condurre la sua ‘guerriglia’. In alcuni libri-oggetto realizzati e assemblati manualmente, Ut scriptura (Techne, Firenze 1978) e Liber (Techne, Firenze 1980), Miccini fa il punto su contenuto e forma del libro. “Da tempo, scrive, gli artisti sottopongono il libro, in vario modo, ad una tensione che ne dilata il concetto, la tecnica, i materiali, fino al punto che esso talvolta non è più riconoscibile, fino a trasferire il suo nome carismatico ad altro”. E in Recycling papers (Techne, Firenze 1979), fatto di scarti di tipografia “Questo libro (o anti-libro) è espressione di un dubbio e, pertanto, di una ricerca; di altra creatività di cui il nostro tempo non può disporre.”
E alla richiesta di una definizione, sempre a proposito del libro d’artista, rispondeva: “Il libro d’artista? A tutt’oggi non esiste una definizione soddisfacente […] posso dire, con un entimema, che cosa ‘fa’ e perché lo faccio, piuttosto che dire che cos’è. È una pratica suggerita dal bisogno di manifestare una sorta di creatività che non si appaga di altre modalità espressive né le sostituisce. Certamente, tra le sue virtù, c’è quella del ‘maneggiare’ e ‘manipolare’ il libro, di controllare fisicamente ciò che vi si vuole inscrivere o figurare o anche semplicemente collocare e senza delegare ad altri – per la maggior parte censori e burocrati – la realizzazione (reificazione) delle idee, il piacere di mischiare veramente le carte, di violare oltre al senso delle regole dell’espressione anche le forme e le materie del libro, adeguarlo all’omologa trasfigurazione delle ‘cose’ che contiene. E poi, eludere le grandi tirature industriali […]”.
Artefatti pittorico-plastici di una progettualità essenziale derivano per Antonio Freiles da una pratica sapientemente artigianale. Ho assistito alla fabbricazione della polpa di cellulosa da lui preparata nello studio-laboratorio di Messina e alla stratificazione delle polpe pigmentate per la creazione di lunghe bande di carta che una volta essiccate venivano ripiegate su se stesse a organetto; erano leporelli di un cromatismo molto acceso o delicatissimamente freddo, di cui apprezzare anche la matericità. Antonio Freiles ha sperimentato e approfondito a lungo la ricerca sul libro d’artista ed ha accumulato una grande quantità di esemplari al fine di costruire una pregevole collezione. Inoltre, valendosi di esperti internazionali, sotto l’etichetta “Carte d’Arte” ha editato diverse pubblicazioni sull’argomento.
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Libri e altri multipli dell’archivio Koobook sono oggetto di analisi e studio da parte di esperti, collezionisti e studenti; costituiscono anche la materia viva da assumere come argomento di progetti. La mostra Anatomies, da me ideata 10 anni fa, verteva sull’anatomia strutturale del libro in quanto oggetto fisico, e, al contempo, come tematica presente nel libro stesso (dentro il libro, sul piano dei contenuti). Il progetto rendeva proprio il punto di vista di Stéphane Mallarmé, il quale definiva la parte centrale dei libri aperti “la mia vagina”. Antonio Curcetti[14] evidenzia tale concetto nel suo lucidissimo focus[15] sulla mostra (in “Folio #12” editato nel 2015 dall’Archivio).
L’idea di libro d’artista di cui parla Richard Tuttle rimanda a questo progetto. Tempo fa, alla richiesta di farmi conoscere il suo punto di vista sull’argomento libro e dirmi della sua esperienza, Tuttle rispondeva testualmente: “[…] la prima cosa di cui parlare è la relazione con il corpo umano. Il corpo ha una spina dorsale come il libro ha un dorso, il libro ha una copertina, si apre, e la similitudine può riguardare l’atto dell’aprire le braccia; come il corpo, il libro ha un esterno e un interno. Posso considerare un ulteriore punto di prossimità con il corpo umano: tenere in mano un libro innesca, o meglio in sé, è, una relazione ‘fisica’; il corpo del ‘lettore’ è in contatto con il corpo del libro. Sono connessioni di cui molti non sono consapevoli, esistono impercettibilmente. Per questo motivo, come dicevo, per me il libro è una sorta di allegoria del corpo. Forse una simile metafora per molti sarebbe concepibile in termini di spirito, anima o cuore. La differenza tra il mio approccio e quello presumibilmente diffuso è che per me tutto ciò è molto ‘fisico’ e relazionato a questioni di vitalità e di effettiva corporeità. Quasi sempre un libro è inteso come incrocio tra visivo e verbale, in ogni caso è davvero stimolante solo quando risolve il problema di una buona copertina, di un buon contenuto e di una giusta carta che relaziona contenuto e copertina. Il tutto si definisce in forma armonica e godibile attraverso la ricerca. Per me che lo concepisco, all’inizio è una specie di caos e la copertina così come anche il contenuto devono risolvere problemi forma-colore; è necessario plasmare la propria natura per definire l’istanza formale; proprio come per l’essere umano, si tratta di fare in modo che il razionale sia a proprio agio con il caos.
Come ogni progetto, quello relativo al libro d’artista ha un iter, inizio, sviluppo e conclusione. Sono del tutto coinvolto in ogni fase fino alla pubblicazione. Poi non ho più interesse. Il libro è andato. Non trattengo una sola copia, non so dove i libri si trovino né mi interessa saperlo. Il momento della pubblicazione in qualche modo corrisponde ad una morte. Lascio che il mio lavoro se ne vada per il mondo. Indirettamente dico di nuovo qualcosa sul corpo, forse in senso persino religioso. Uno dei contenuti più difficili del cristianesimo è proprio l’idea della trasformazione del corpo di Cristo in vino e pane. Qualcuno sostiene che si tratti del corpo di Cristo e altri che sia una rappresentazione del corpo di Cristo. È un’idea interessante. Non prendo posizione in merito, voglio solo suggerire che il libro è anche un esempio di come un artista e un lettore si uniscano spiritualmente per poi lasciarsi andare in un percorso di conoscenza. Si tratta di una vera trasformazione per tutti coloro che sono coinvolti: tipografo, graphic designer, lettore, distributore; tutti sono partecipi e ciò è entusiasmante. Terminato ogni libro dico puntualmente a me stesso che non affronterò più simili imprese. Nessuno può immaginare quanta energia e tempo ci vogliano per realizzare un libro. Per questo motivo ogni volta penso che sarà l’ultima. Ma poi squilla il telefono e me ne viene chiesto un altro e si ricomincia.”

Giovanni Anceschi, Abstract video
produzione Alessi, 2010
acciaio 18/10, PVC
prova d’autore
Courtesy KoobookArchive

Christian Boltanski, mostra Ostensioni
teca libri diversi, particolare
On the Contemporary, Catania 2023
Courtesy KoobookArchive

Christophe Boutin, The Studio Carte #3, 1995 31×23 cm stampa offset, Carte d’Arte Courtesy KoobookArchive

Giovanni Fontana,
Il libro dei labirinti, 1996
performance Centro CaAcB, Enna 2005
Courtesy KoobookArchive

Eugenio Miccini, Ex Libris, 1977 tecnica mista e collage su fotografia in box di legno 52.5×52.55 cm Collezione privata

Eugenio Miccini, Parole, 1980
21x14x4 cm
plexiglass, ottone
esemplare firmato 60/70
Courtesy KoobookArchive

Antonio Freiles, Blind Red Book, 2014 15x11x1 cm carta a mano, self-published Courtesy KoobookArchive

Antonio Freiles, Blind Red Book, 2014 15x11x1 cm carta a mano, self-published Courtesy KoobookArchive
[1] “Modi del libro” è stato il titolo di una mostra promossa dall’archivio Koobook nel 2010.
[2] Tutte questioni che rimandano a quanto Walter Benjamin aveva disquisito nel 1936 con “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”.
[3] Area di ricerca che negli anni ‘80 praticavo come artista.
[4] ISISUF, Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo, Milano.
[5] Sempre a Milano, fondatore con Davide Boriani, Gianni Colombo e Gabriele De Vecchi dello storico Gruppo T.
[6] In particolare con visite frequenti agli studi dei maestri della Pop Art inglese (Joe Tilson, Allen Jones, Patrick Coulfield, Peter Blake). Con la frequentazione di Victor Pasmore a Malta, di Kennett Noland, Angelo Savelli, Salvatore Scarpitta, etc. Con alcuni di loro ho mantenuto a lungo i contatti.
[7] Con “Carte d’Arte magazine”, di cui sono stata anche co-direttore, con “Arte e critica”, “Demetra”, “Contemporary Identities”, etc.
[8] Il concetto del ‘fare libro’ è riferito da Luciano Caruso all’attività dell’artista sull’artefatto libro. Nel 1984, “Far Libro” è anche il titolo di un’importante mostra dedicata alla pagina e al libro d’artista (Firenze, Casermetta del Forte Belvedere).
[9] Giovani Fontana, “KOOBOOK KOOBOOK. Questioni di tempi e modi, di poetiche e pulsazioni”, in “KoobookArchive 2008–2018”, a cura di Anna Guillot, Tyche, 2018.
[10] Generando ‘controcultura’ in opposizione al pensiero dominante.
[11] II Piano regolatore insurrezionale della città di Firenze è costituito da diciannove schede, numerate e titolate, racchiuse in una cartellina nera, precedute da una prefazione dell’editore Sampietro in cui afferma che l’opera creata da Miccini “coglie l’insofferenza dell’uomo contemporaneo […] che non si riconosce nell’ordine sociale vigente”.
[12] Miccini ha più volte ricordato con sarcasmo come l’uscita della cartella avesse generato un inconcepibile malinteso riguardo al tuo impegno intellettuale, che tale impegno era stato oggetto di attacchi a tal punto da provocare diffuse riserve su suo conto e perfino insinuazioni di sospetto attivismo politico in aree sovversive estreme.
[13] Espressione-interpretazione di Gudrun De Chirico.
[14] Poeta e saggista.
[15] “Il poeta Mallarmé amava definire la parte centrale dei libri aperti” è il titolo dello scritto introduttivo alla mostra.