Breve nota sui concetti di giocosità, gioia, mescidanza e contaminazione in riferimento alla scrittura asemica
by Antonio Devicienti
Rifletterò brevemente sull’aspetto giocoso/gioioso (ma anche ospitale) delle scritture asemiche e su di un loro portato che chiamerò di mescidanza e di contaminazione.
Connaturate alle scritture asemiche, loro necessarie e pressoché ovvie identità, la ricerca e la sperimentazione spingono verso e aprono orizzonti immani di libertà che non significa però casualità (benché quest’ultima possa essere a sua volta momento fecondo che apre verso direzioni nuove e inattese), ma itinerario attraverso un numero potenzialmente infinito di possibilità realizzative. Ecco allora che le scritture asemiche possono abbandonarsi proprio al gioco (serissimo) della contestazione di schemi concettuali e formali molto spesso autoritari e precostituiti, violare gli spazi della pagina tradizionale (e dello schermo), contaminarsi con altri elementi, e materiali, ospitarli per moto naturale (immagini, ritagli, disegni, flarf, googlisme, glitch, eccetera, ché le scritture asemiche, pur in evidente e profondo rapporto con l’universo digitale, consentono la riscoperta e la valorizzazione della scrittura quale manufatto: il gioco e la gioia consistono allora anche nella possibilità di scegliere diversi supporti scrittori, di lavorarli, ritagliarli, sagomarli, incollarli, montarli, la mescidanza e la contaminazione significano che è possibile usare materiali di diversa provenienza (fotografie analogiche e digitali, diversi generi di inchiostri, matite, pennarelli, eccetera) e che i segni stessi sono in grado di suggerire (senza mai violare la libertà di chi guarda) le più divese tradizioni culturali, contaminando e mescidando.
Gioco, gioia e contaminazione appartengono così anche all’aspetto politico delle scritture asemiche le quali contestano e si oppongono alle scritture volute e addomesticate dall’editoria mainstream; in tal modo la gioiosa libertà diventa anche liberazione entrando in quel vastissimo continente che in inglese viene definito post literate e che significa, più che “post letterario”, “oltre il letterario”, “extraletterario” come in maniera pregnante si afferma qui su Utsanga, se “letterario” designa l’istituzione, la sua mummificazione e museificazione, l’etichettatura sclerotica da manuale scolastico e universitario – il mercato, insomma, l’assoggettamento al potere capitalista.
Anche la letteratura nei suoi momenti più felici è stata gioiosa, giocosa e mescidata, sia chiaro, ma nel momento attuale (e in Italia in particolare) la ricerca e la sperimentazione sono (e, credo, vogliono essere) fuori e oltre i canali di un’ufficialità ormai totalmente asservita al mercato e quindi incapace di giocosità, gioia, mescidanza e contaminazione: deprivata della libertà di ricercare di sperimentare.
Le scritture asemiche si dimostrano infinitamente più disponibili ad accogliere le forme più diverse di espressione, evitando inoltre il tipico atteggiamento delle scritture assertive e che si può formulare (cito, ovviamente, Marco Giovenale) così: «io, autore ti sto dicendo che…»; le scritture asemiche garantiscono uno spazio di libertà comune a chi le esercita e a chi le avvicina e che non vincola all’esegesi, ma invita alla compartecipazione, all’empatia, al ludus delle ipotesi, delle scoperte, delle aggiunte. È così che gioco e mescidanza generano piacere, vale a dire proprio quanto è rigorosamente bandito dalla seriosa, boriosa, arrogante ufficialità letteraria che, tra l’altro, trova nell’insegnamento scolastico e universitario (non sempre, va detto, ma molto spesso) la sua riprovevole consacrazione. Le scritture asemiche, quelle di ricerca e quelle sperimentali non hanno spazio nei “programmi” scolastici (e raramente nei seminari universitari) che perpetuano e diffondono un’idea di scrittura letteraria falsificata e sottomessa alle precise esigenze del potere – la formazione e la sensibilità letteraria stessa di moltissimi insegnanti sono, inoltre, altamente deficitarie (non mi soffermo per caso su tale tema, visto che la stragrande maggioranza degli Italiani ha un qualche contatto con il letterario esclusivamente a scuola o all’università e dal momento che molto spesso proprio la scuola, consapevolmente e più spesso inconsapevolmente, contribuisce a rafforzare la persuasione che il letterario “non serve”).
L’eresia giocosa, gioiosa, mescidante e mescidata, contaminante e contaminata di cui discetto qui (inutile, appunto, improduttiva, perditempo stanti gli indiscussi, sacri parametri capitalistici) deve continuare a proporsi nel suo essere spazio (mai chiuso, mai istituzionalizzato e nella doppia accezione di spazio che genera pensiero, che accoglie e che ospita privo di pregiudizi e di spazio nel quale le scritture asemiche letteralmente si danno a vedere: non si dimentichi che l’approccio corretto ed efficace alle scritture asemiche, di ricerca e sperimentali non può essere che integralmente materialista) e visione (che amplia e supera i limiti della verbalità restituendo senso, bellezza ed emozione al segno in sé, alla sua invenzione o scoperta).
Le scritture asemiche sono infatti esse stesse (di)segno e, pur facendo spesso riferimento alle diverse scritture semiche, con naturalezza divengono segno svincolato da un significato determinato, polarizzano l’attenzione sulla forma del segno, sulla direzione delle aggregazioni di segni, sul loro rapporto con lo spazio scrittorio, con la natura stessa di quest’ultimo: così la ludicità di tali operazioni è anche studio e riflessione antispiritualistica e antiromantica, puramente materialistica sulla scrittura. L’orizzonte concentrazionario della scrittura istituzionalizzata viene finalmente costretto a esplodere e a disgregarsi, a riconoscersi parte di una realtà a sua volta in continua metamorfosi e mescidanza.