Polifonia di desiderio. Poesia sonora / Corpo-voce
by Vitaldo Conte

«La voce umana (…) è una fonte inesauribile di strumenti musicali naturali» M. Rotella

 

  1. Nuovi Segnali: ultimi suoni di poesia italiana

Scrivo, nel testo introduttivo di Nuovi Segnali (Maggioli Ed., 1984), a proposito della Poesia sonora, scrittura dinamica: «Emergono, attualmente, nell’ambito della poesia sonora, alcune tendenze espressive ben individuabili, in alcuni casi anche commiste. Una prima, la più “classica”, si affida alle esclusive potenzialità semantico-sonore della “voce” del corpo, anche se sempre più lavorata e manipolata tecnicamente; una seconda, a una sorta di montaggio dell’espressività del poeta e dei suoni e rumori del suo mondo di relazione o della realtà esterna; una terza, a una contiguità semantica fra il “suono” dell’organo corporale e quello degli strumenti musicali o della moderna tecnologia (soprattutto negli autori stranieri). Ciascuna di queste tendenze può palesare talvolta, in alcuni autori, dei pericoli o aspetti negativi: come la ripetitività, una sterilità concettuale, uno sconfinamento eccessivo nello specifico tecnologico o musicale (…). Queste tendenze possono trovare anche uno svolgimento sonoro-dinamico nei vari “strumenti” poetici (da intendere in maniera assai ampia), riuniti in una polifonia di poesia, liberamente “in concerto”, superando la rigidità dei testi e dei linguaggi tecnico-creativi assegnati. Una poesia, fisiologicamente tutta dentro l’oralità e la corporalità, in “godimento” proprio e per l’altrui godimento».

L’antologia Nuovi Segnali, da me curata, attraversa le poetiche verbo-visuali italiane negli anni ’70-’80. A questa pubblicazione è annessa l’audiocassetta Ultimi suoni di poesia italiana, in cui seleziono una dozzina di autori: A. Lora Totino, G. Niccolai, F. Verdi, Sarenco, E. Minarelli, G. Fontana, T. Binga, C.M. Conti, G. Savio, F. Ermini, L. Arbizzani e me con il brano verbo-sonoro Possessione/Ossessione.

 

  1. Paranoic Red in Luxson e Polipoesia Italiana

Luxson è il titolo di una mostra svoltasi alla Rocca Possente di Stellata di Bondeno (FE) su Esperimenti di poesia tra luce e suono (sett. 1984), a cui partecipo con Tomaso Binga, Giovanni Fontana, Enzo Minarelli, Santo S.A., William Xerra. In questo ambito si svolgono le azioni performative degli autori. Nell’introduzione del catalogo (1985) Filiberto Menna scrive: «La scrittura diventa, allora, voce e gesto e azione; stringe nuove alleanze con i suoni e con i rumori, mescola il corporeo e il meccanico, ritrova, tra questi due termini per tradizione considerati nemici irriducibili, nuove possibilità di relazione».

Allegato al catalogo c’è il disco 45 giri Polipoesia Italiana (3Vi tre / Hetea Ed., 1985) con brani di Conte, Fontana, Minarelli, Santo. Il disco vuole rappresentare «uno spartito attendibile delle ultime, forse estreme, possibilità espressive della nuova poesia sonora italiana. (…) Ha ragione Matteo D’Ambrosio quando, su Luxson, rileva che profonde differenze esistono “nella poesia sonora contemporanea tra una prima tendenza, che fa un uso consapevole delle possibilità espressive offerte dalle nuove tecnologie, ed una seconda, che preferisce invece affidarsi esclusivamente alla voce umana, senza sottoporla ad alcuna modificazione artificiale, ci permettono di utilizzare la distinzione proposta da Ihab Hassan tra artisti “tecnofili” e “arcadici”, “la prima legata all’ordine linguistico dei new media, la seconda al disordine del neo-primitivismo”» (V. Conte, Leader).

Il mio brano Paranoic Red (1983) nel disco è titolo anche del mio intervento di poetica verbo-sonora, pubblicato sull’allegato di copertina: «In Paranoic Red il suono della scrittura sembra identificarsi con un linguaggio di rumore. (…) Il rumore, qui, non è espressione esterna “catturata”, è viceversa rarefazione è accumulo del materiale fonico e del “suono” degli strumenti di registrazione (microfoni, casse acustiche) che costituiscono, nell’insieme, il medium-supporto della trascrizione e oggettivazione di questa scrittura. Iperscrittura sonora dunque. Risulta così lacerazione, sovrapposizione; accorpamento, assenza nei “buchi” di silenzio, sminuzzamento delle proprie potenzialità e della voce che entra nel “rumore”, divenendo a volte essa stessa analogia di rumore, per coniugarsi e opporsi a quello “creato” dal mezzo tecnico. Quindi rumore-scrittura di sé, eco ed esorcismo degli attriti profondi, soprattutto di quelli occlusi dalle identità rassicuranti. (…) Il risultato del sommovimento può non essere gradevole, come non lo è il demone-desiderio che agita la scrittura, ma in entrambi i casi non vedo perché dovrebbe necessariamente esserlo. Mi pare che la preoccupazione del consenso stia contagiando anche le espressioni della ricerca» (1983).

 

  1. Polifonia di desiderio come polipoesia

«Intendo “polifonia” come iperscrittura di sonorità poetiche che tendono ad organizzarsi in una strumentazione di oralità commiste in proprie possibili combinazioni di significato con il materiale del linguaggio verbale fino alle sue scomposizioni estreme. Il magma delle sonorità viscerali e proibite vuole trascriversi in libertà, intrinsecamente e materialisticamente, nel proprio flusso di realizzazione, fino alla identificazione e analogia con un linguaggio di rumore. (…) Il gioco, la scena possono essere espressi con lo stesso corpo della scrittura, con una lingua cioè che non demanda fuori di sé le proprie istanze, ma ne dilata il limite con una “polifonia di desiderio”» (V. Conte, 1985).

Nel 1986 esce l’Antologia polipoetica (con annessa audio-cassetta) a cura di Enzo Minarelli per l’edizione spagnola PO.SO.01. / STI Ed., Zaragoza: è una selezione di poeti sonori italiani degli anni ’80. In questa inserisce, oltre alla mia Polifonia di desiderio (teorica, sonora, artistica), M. Nannucci & M. Della Nave, P. Porta, A. Spatola & G. Roffi, E. Minarelli, S. Altafini, G. Fontana, M. Graffi, M. Mori, A. Lora-Totino, T. Binga, V. Baroni, F. Manfredini.

In diversi miei eventi, dalla fine degli anni ‘80 agli anni ’90, i colori e i corpi-scrittura diventano polifonia di desiderio sconfinante, ricercando la poesia come creazione totale.  Tra gli eventi, a cui partecipo nei primi anni ‘90, ricordo quelli svoltisi in Ungheria (Budapest, Szeged) sulla Polipoesia (gen. 1992), con e a cura di Endre Szkarosi, insieme ad autori italiani e ungheresi; Polifonia e maschere dell’immagine, in Fiuggi Poesia (1993) con F. Falasca.

 

  1. Polifonia come pulsione sconfinante

«Le scritture del desiderio – riassumo in Pulsional Gender Art (Avanguardia 21 Ed., 2011) – si estendono sulla pelle di ogni possibile supporto, con imprevedibili segnaletiche “a tutto campo”, animandosi nei propri interni ritmi, nelle proprie distorsioni, nel proprio essere lingua e brusio di infinite lingue: estetiche, sinestetiche, gaudenti fino alla “fuoriuscita” sonora come polifonia. La lettera-fonema, la parola-scrittura possono tendere verso la dispersione desiderante, diventando “musica” di proprie sonorità corporali. Ciò trova riscontro in diverse espressioni nell’ambito musicale e nell’ultima poesia sonora internazionale. Voce, suono, eco, rumore sono “indicazioni” di fuoriuscita fisica, dai limiti della pagina o di qualsiasi altro supporto, del segno scritturale, annichilendo così l’integrità del proprio corpo formale e letterario. Diventano anche lingua e sinonimo di ansimo, respiro, piacere, “eccitazione” di polifonie poetiche: il materiale del linguaggio verbale si scompone e dissolve fino al rumore e al silenzio di se stesso».

La polifonia diviene, nel nuovo millennio, una molteplice scrittura di eros-creazione nell’azione performativa, ascoltando il corpo-parola del desiderio. Come nel mio evento CibAzione d’Amore, in ShingLe 22j (2015) / V Biennale d’Arte di Anzio (sez. performance a c. di U. Magnanti), che vive in “parole, memorie sonorità per raccontare il desiderio”: quello di esprimere un rituale “nutrimento” attraverso la scrittura. Questa vuole incarnare una polifonia che coinvolge l’esistenza come azione d’amore.

 

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