Pignotti cinquantadue anni dopo: Vita Zero 1962
by Cristiano Caggiula

Lamberto Pignotti è illustre come  sperimentatore nell’ambiente della poesia verbo-visiva. È Fondatore e fautore del Gruppo 70, che vede la luce nel 1963 in occasione del convegno svoltosi a Firenze dal nome Arte e Comunicazione. Il collettivo nasce da un sentire comune ravvisabile nell’idea di arte «non più confinata in compartimenti stagni» (Pignotti, 2012 ). Sono gli anni in cui la mercificazione di massa e della massa, nonché la sua modellazione in base a principi economici mirati all’assenso sociale nei confronti delle industrie, è ai suoi primi vagiti. La crescita esponenziale dei media e il loro persuadere una realtà affamata, la guerra non è poi così lontana, porterà senza scampo   all’identificazione dell’individuo con il prodotto stesso: è avviato a pieno il maxi-congegno mediatico d’impronta consumistica. Conscio del suo tempo, Pignotti, nel corso della sua carriera artistica ha lavorato su vari fronti dimostrando esperta poliedricità. Negli anni, lo si può trovare affannato nella fiorente produzione di poemi visuali, in sperimentazioni di poesia sonora e in performances poetiche di tipo teatrale. Di eguale importanza sono i testi di critica da lui redatti inerenti all’avanguardia futurista; saranno le avanguardie futuriste a dadaiste a permettere a Pignotti di collaudare le sue prime esperienze artistiche durante la seconda metà degli anni quaranta. Ed è  Marinetti, fondatore del movimento futurista, ad essere presente nel pozzo letterario dal quale l’artista attingerà e plasmerà il suo gusto , senza tralasciare importanti nomi come Joyce o Palazzeschi. Da tali letture, nel 1954, germoglierà la sua prima raccolta poetica dal titolo Odissea, ma è nel 1962 , con Vita Zero 1962, che Pignotti matura per ciò che interessa la poesia lineare, un’espressività in versi così elevata da non risultare logora neppure dopo la sua seconda pubblicazione a cinquantadue anni di distanza. In questo articolo si porrà l’attenzione unicamente su questo scritto, che non prescinde affatto dalla produzione verbo-visiva di Pignotti, ma come sostiene  Marco Palladini nella brillante prefazione a questa seconda pubblicazione, ne rappresenta «una sorta di pendant verbale e concettuale»(Palladini,2014). Vita Zero 1962 è singolare poiché rappresenta in atto la versificazione della cosmogonia mediatica, fissa e quadra gli effetti sull’individuo ormai sommerso dall’avvenimento pubblicitario. Bisogna porre l’attenzione sullo stile che anima i versi di Pignotti, distaccato e asettico, impersonale e dal forte tono burocratico, il tutto in pieno accordo con il concetto di poesia tecnologica da lui coniato. Questa idea non richiama ad una poesia che sfrutta i prodotti del progresso tecnologico, bensì ad una poesia che si immerge nei linguaggi della comunicazione di massa, i quali, nel loro complesso, costituiscono quel  terreno extra-letterario. Ciò non configura l’arte come tesa a subire passivamente l’avvento dei mass media, ma ne delinea il riassestarsi dopo essere stata intontita da quei linguaggi prefabbricati e identifica in che modo abbia mantenuto le briglia, tanto da trasmigrare qualcosa di utile alla commercializzazione del prodotto e dunque poeticamente asettico, come lo slogan, in un oggetto a sé stante e dotato di senso estetico: la poesia verbo-visiva. È questo il  lavoro magistrale di Pignotti, che, assieme agli sperimentatori di quegli anni, ha interrotto e invertito un oggetto extra-artistico nell’opposto della sua natura, senza perdere lucidità al seguito di una   critica parossistica. Egli sovverte la configurazione distruttiva e dissimulatrice all’epoca rappresentata dalla pioggia mass-mediatica. A tal proposito, il poeta fiorentino in occasione della drammatica esondazione dell’Arno nella città di Firenze, dà alla luce, in collaborazione con Luciano Lattanzi, il suo terzo libro d’artista nel quale sono presenti estratti del Resto del Carlino aventi data 5 novembre 1966. Dal titolo I postdiluviani, vengono legati frammenti di notizie inerenti all’esondazione e dunque fortemente drammatiche, assieme a slogan pubblicitari, notizie di sport e spettacolo: viene accostata l’alluvione a quel diluvio di informazione mediatica subita dal soggetto sociale. Pignotti di Vita Zero 1962, taglia e riassembla i particolari di una società ammaliata dai piagnucolati mediatici e pubblicitari. L’opera scruta i frammenti con inquadrature approfondite e totalizzanti: la psicosi consumistica che si adagia sugli animi si rigenera attraverso l’esaurimento del prodotto. Se nel collage largo di Pignotti è la simultaneità degli elementi costitutivi dell’opera, verbali e iconici, e dunque il tutto nel suo complesso a dotare quest’ultima di senso, in Vita Zero 1962 questo avviene in ogni singolo componimento, nonostante l’opera sia costituita da soli elementi verbali; ogni componimento interessa il tutto, ossia la realtà di quei tempi che si presenta nella sua interezza e in poche righe. L’opera possiede una lunghezza focale straordinaria, al pari di un osservatorio astronomico dal quale è possibile scorrere l’universo tutto o soffermarsi su singole galassie e i pianeti all’interno di queste; inevitabile accorgersi del telos che si presenta in soli ventisei composizioni, le quali sono intitolate con la loro numerazione in sequenza.

I frammenti a seguire sono estratti da Vita Zero 1962.

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È già dal primo componimento che si osserva una sorta di quadratura sociale, un’immagine geometrica bilanciata dagli oggetti che si dispongono automaticamente per mezzo del loro agire e condizionati da dinamiche di assenso al consumo: questo si percepisce da una semplice descrizione, «vestiti su per giù come lui». Ciò che rinvia ad un’omologazione estetica  può essere a mio avviso traslato su qualcosa di più profondo, come il pensare e il sentire. È un agire sì comune, che deriva dall’adesione al brand e al prodotto sponsorizzato dalla pubblicità. Il soggetto sociale si riconosce  fra gli altri nel suo essere fuori da sé, ossia nell’essere la merce. «Sono disposti nello spazio ai lati/creando una superficie mossa», l’unica diversità che può ancora distinguere l’individuo è un semplice movimento. 2 appare come una rassegnazione, «Neanche un più approfondito esame/ del materiale offerto/ conduce a rivalutare/ ciò che si dice in casi del genere/come c’era da aspettarsi/o i particolari/o l’intera composizione». Il materiale offerto può essere inteso sia come il prodotto o l’informazione propinata dalla macchina mediatica, sia come il materiale che si presenta dinanzi agli occhi dello scrittore: inutile rivalutare ciò che si genera dal trinomio meda-commercio-società. Una rassegnazione non emotiva, bensì statistica, impersonale e non determinata dal poeta, quasi un’indagine del reale dove «[..]gli indici/oscillano attorno a un valore medio/[…]/ nel punto più basso della curva di distribuzione». Viene rivoltata la media, che non si trova più nel punto più alto della curva gaussiana, ma nei punti discostanti dal valore medio. Sono gli «uomini ultimo modello» ad esser al di là della media, «protetti dagli agenti esterni», sempre a passo con il tempo che scorre perpendicolare all’arretratezza. Oppure, meglio ancora, la curva di distribuzione può rappresentare la distribuzione stessa del prodotto della quale gli uomini ultimo modello si nutrono. In 6 viene definito ciò che è natura vivente e che agisce nella società della comunicazione mediatica. Il registro ana-grafico, in questa versificazione è portato come simbolo iconico della vita, purché all’interno di esso sia segnato età e professione poiché, le « [..]le modalità della natura morta/ sono quelle stabilite». Se il valore di vita sia ha solo nel caso in cui delle mere informazioni definiscono la natura vivente , allora si può parlare di natura morta; l’apocalittica chiusura della poesia, «non c’è via d’uscita», non deve risultare fuorviante: altro non è se non la manifestata presa di coscienza del suo tempo da parte del poeta. Infatti nel componimento successivo, 7, Pignotti avverte il pericolo e ricorda che non è ancora nel pieno della sua potenza. Fortunato era «l’uomo della pietra per il quale tutto è lo stesso», seppure al suo tempo nulla accadeva vi era chiarezza, mentre oggi «eccoci in pieno clima misterioso/ecco il dramma che non si attendeva». Splendida chiusa anche per quest’ultimo componimento, «Siamo ancora nella fase di minore attesa», questo è lo stato di cose. 10, Rappresenta l’abbandono della critica parossistica a favore dell’inversione di rotta. Suddetta composizione , a mio avviso, espone il manifesto dell’intera attività artistica di Pignotti. Nuovamente in poche righe si avverte la continua ricerca da parte dell’artista mirata a  dissacrare il linguaggio della merce, a favore di una nuova consacrazione all’arte, la quale si dà in «[..]un piccolo specchio d’acqua». Lo specchio d’acqua è l’inversione di rotta. Uno specchio d’acqua ha in potenza tutto ciò che può essere riflesso al suo interno, ma ciò che restituisce è l’immagine deformata, esteticamente nuova. Cosa può significare ciò se non quel leitmotiv alla base dell’attività del poeta fiorentino, ossia  la restituzione della merce al mittente? La poesia verbo-visiva come restituzione della merce, ma una merce deformata  e riconsegnata fresca di informità  e strabordante d’arte. «Da ultimo si ripetono le stesse cose/ e si vede quel che si vede di solito», 12 lascia presagire ritmi sociali reiterati, «nonostante la crescente massa di fenomeni/ i risultati sono identici», il frutto del progresso e dell’alienazione. La scena domestica dinanzi al focolare a raccontare storie, si sostituisce con gli interessati che ascoltano le narrazioni riguardanti le città sviluppatesi non più a misura d’uomo, ma a misura d’automobile, il tutto dinanzi ad un calorifero. Dov’è il fuoco? è stato cancellato dalla modernità, assieme all’umanità stessa; le città sono realizzate per ospitare merci. Esautorati i valori sociali, in 16, nulla permette la loro reintegrazioni. Cosa ha preso il loro posto? Una legge etica deve esserci necessariamente per poter regolare l’azione sociale: così la legge diviene « [..]impedire le recessioni ricorrenti»; sostenere il mercato e assecondare ogni proprio desiderio. In 18 si dà il motto della logica commerciale: «Ma rendere ordinaria l’assurdità/ fino al punto di mostrare/quanto infinitamente somigli/a ciò che chiamiamo normale». Una metodologia sistematizzata per l’uomo che ha come effetto la sua alienazione. La normalità dell’assurdità è l’inoculare il prodotto di continuo, attraverso i nuovi linguaggi massmediatici, fino a renderli ordinari. L’uomo perde le proprie facoltà di discernimento nei confronti di ciò che può essere definita realtà, o meglio di ciò che poteva essere definita come tale dopo l’avvento della macchina mediatica, disorientando l’individuo e gettandolo nel calderone  del mercato. L’uomo, posto su di un piano geometrico «viene continuamente spostato», sempre più lontano, da se stesso. La chiusa con «fu perso» è sintomatica. La sintesi dei tempi modernissimi è magistralmente attuata da Pignotti nel componimento 21. Qui si narra del principio e della fine della vita umana. Dai primi versi si può scorgere quel meccanismo di modellazione sociale e di iniezioni di bisogni fittizzii, privando il resto dell’intreccio, ossia il resto della vita, che poi resto non è, della sua importanza. Lo spazio è più importante della vita, ma paradossalmente si è destinati a quelle «camere termiche», nelle quali riposare dall’estenuante attività dello spendere; domani si ricomincia. E già domani, il tempo perpendicolare è agli sgoccioli mentre i «medici spingono l’accelerazione/fino al limite della sopportazione».

Citazioni testo

Palladini M., Prefazione a Pignotti L., Vita Zero 1962, Onyx Ebook Casa Editrice Digitale, 2014
Pignotti L., Intervista a Lamberto Pignotti, di Meschini E. R., Roma, Edizioni Calliope, 2012.
Pignotti L., Vita Zero 1962, Onyx Ebook Casa Editrice Digitale, 2014