Francesco Aprile, Dietro le stagioni, Lecce, iQdB Edizioni, 2015
by Cristiano Caggiula
Dietro le stagioni di Francesco Aprile rappresenta la prima uscita della rinnovata casa editrice I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno. Pubblichiamo la prefazione al testo firmata da Cristiano Caggiula
Dietro le stagioni è frutto della rossa crosta del Sud, materia che possiede la brillantezza di un rubino più diviene secca e riarsa dal sole. I componimenti dell’opera si trasmutano in avvenimenti e ciò non per i loro titoli che corrispondo a date in sequenza, né per l’ipotetica presenza di una forma narrativa che sarebbe frutto solo di una eccessiva forzatura del verso. La causa di tale mutazione è il linguaggio secco nella sua definitezza, esso non riduce l’estetica del verso, bensì produce una perforazione del senso e della rispettiva sensazione. È presente un traforo passionale che disserra un immaginario-imbuto capace di travasare il fruitore nel bacino precessionale dell’intera opera. In questo bacino, il lettore, riconoscerà l’esigenza di una lingua nuova alla quale aderiranno i particolati più violenti e aspri di una mediterraneità che non lascia vie di fuga. È il Mediterraneo, ventre dolce nei suoi gigli di mare, ma placenta di ulivi che preme a fondo con la sua bassezza e iterazione fluttuante fra le foglie, fino a far sanguinare il cuore. Dolcezze che si concretano nella precessionalità gravida di crudezza; essa è primizia della stessa dolcezza e pari primizia è quell’amore che è darsena sicura nella poetica di Aprile. Vi è un prossimo temporale che non lascia scampo all’avvenimento poetico, sì futuro, ma vicinissimo. Una rivelazione si innesta a partire dalla profetizzazione precedente. È possibile scorgere, con una certa lucidità, come la speranza di una resurrezione, unico cambiamento reale, venga meno quando la circolarità di luna rende vana ogni possibile alterazione al di fuori di quell’impercettibile precessione che vi è Dietro le stagioni. Si riscontra un processo anagogico alterato, «Dopo l’incontro restano una calza sporca e/ l’odore ammobiliato dei tuoi particolari»: causa di ciò è quell’immaginario-imbuto, dispositivo propulsivo dell’opera. Difatti, per mezzo di questo congegno, si discende sino alla suprema realtà terrena, per superare la medietà profana di un Sud distratto e triviale nelle sue espressioni. Pertanto è possibile scorgere l’univocità, ancora l’immaginario-imbuto che costringe, un flusso che è possibile smistare in tre porzioni. Vi è una prima porzione nella quale si scopre una natura che è violenta, aspra e che regala la sua crudeltà, «Ci sarà da dire che l’odore del mattatoio qui è l’odore/ delle mattine». La seconda porzione concilia una natura accogliente e armoniosa: «Ecco, riposa, la monda deli alberi preparati alla stagione» . Le correnti del flusso appena illustrate rendono bene la duplice fattezza della natura che si svolge nella circolarità gravida di tutto, restituita dalla poetica dell’opera. È presente una terza porzione che aleggia e si fa solida, diviene in parte essa stessa natura, ma non come suo ente diretto o a causa di una potenziale filiazione, più che altro in virtù della sua compartecipazione. Precisamente la porzione presenta dei tratti alieni e differisce dalle precedenti poiché può essere pensata come indipendente: «è lo stelo delle tue gambe che infiora». Da qui si fa concreto l’amore, esso zampilla dalle diverse falde soggiacenti ai versi, ma può apparire come sangue e dunque può conservare quell’aspetto esclusivo della natura, rivelato da Aprile nella sua duplice fattezza. Dietro le stagioni rappresenta la costante di Fidia del paradigma mediterraneo, Aprile ha subito il rapporto delle due essenze disuguali della natura e ne ricava una proporzione media ed estrema, per trasformare il patire in agire poetico.
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