Capsule temporali (da Joseph Cornell a BAU A3D)
by Vittore Baroni
Una prima illuminazione, in fatto di “capsule temporali”, l’ho avuta intorno ai quindici anni, quando ho iniziato ad esplorare con metodo – ovvero, procurandomi libri e riviste specializzate in gran numero – le aree della storia dell’arte che più mi stuzzicavano, Dada in primis. Su un volumetto (Pop Art di Christopher Finch, Studio Vista 1968) avevo visto riprodotti alcuni “box” del grande Philip Cornell, e quei poetici, misteriosi e surreali lavori a tre dimensioni mi avevano enormemente incuriosito: non parevano neppure vere opere d’arte, ma piuttosto un ibrido tra un incongruo assortimento di reperti d’antiquariato e un bizzarro gioco in scatola per bambini. Poi, nel tempo, ho conosciuto il “museo in valigia” (Boite en-valise) di Marcel Duchamp e i vari Fluxus Kits e Flux Yearbox coordinati da George Maciunas (scatole in legno e altri materiali, edite periodicamente, con piccoli oggetti, pubblicazioni e materiali performativi di svariati autori), ho avuto notizia dei Time-Boxes accumulati da Andy Warhol (scatoloni pieni di oggetti, pubblicazioni ed ephemera che definiscono un dato periodo nella vita dell’autore, sigillati e archiviati cronologicamente, c’è in giro un bel libro che li documenta) e ho avuto modo di vedere in occasione di varie mostre i singolari “teatrini” della memoria di Alain Arias-Misson (scatole in legno o plexiglass contenenti testi poetici, vecchie foto in pop-up e altri elementi tridimensionali, oggi ne posseggo perfino una), come pure le delicate opere in scatola su più dimensioni di Gianfranco Baruchello o quelle con elementi mobili su calamite di Öyvind Fahlström.
Era inevitabile che questa fascinazione per l’arte “in scatola”, spesso deposito di memorie personali, trovasse prima o poi uno sfogo anche nella mia attività creativa. Già il fatto stesso di dover ordinare una enorme quantità di buste, cartoline, pacchetti e pubblicazioni, frutto di una intensa attività nel circuito della mail art, portava alla necessità di conservare e stoccare all’interno di scatoloni tutti questi materiali eterogenei. L’archivio dell’artista postale è quindi spesso già per sua natura una raccolta cronologica di grandi contenitori che rappresentano vere e proprie “capsule temporali”. Alcuni artisti postali (Rod Summers, ad esempio) hanno reso ancora più esplicita e consapevole questa pratica, archiviando con metodo, a cadenza mensile o settimanale, tutto quanto pervenuto nella loro cassetta delle lettere. Lo scozzese Pete Horobin, durante tutti gli anni Ottanta e Novanta col suo progetto “Data” ha conservato in scatole progressivamente numerate anche un diario fedele – con svariati campioni di materiali – di tutto quello che gli accadeva giornalmente. Mi è poi capitato di partecipare in almeno un paio di casi a progetti di mail art che prevedevano il seppellimento dei vari contributi artistici all’interno di apposite capsule resistenti a qualsiasi sollecitazione, pronte per essere riscoperte dopo centinaia o migliaia di anni da futuri abitatori della Terra o da civiltà aliene.
Nel mio piccolo, non ho mancato di realizzare all’occorrenza lavori di mail art a tre dimensioni, e anzi ho anche curato una speciale Boxed Edition (il n. 24 dell’ottobre 1981) della mia rivista ad assemblaggio Arte Postale!, richiedendo l’invio di lavori tridimensionali che ho poi collocato all’interno di piccole scatole in cartone (sul modello di quelle per pizza e dolci). A partire dagli anni Novanta, ho poi creato un gran numero di opere all’interno di comuni scatole da imballaggio, spesso raccolte agli angoli delle strade, completamente foderate con vecchie buste e campioni di corrispondenza, al cui interno ho collocato immagini su cartoni in rilievo ed altri elementi per dar vita a collage tridimensionali, wunderkammer in miniatura, strani “giocattoli” fragili ed effimeri al pari della mail art, lavori più somiglianti a repositori di memorie che a vere e proprie sculture. Ultimo frutto di questa duratura passione per il box d’artista è il recente numero Undici “A3D” (2014) della rivista d’autore BAU Contenitore di Cultura Contemporanea, realizzato dall’associazione culturale BAU di Viareggio di cui faccio parte. In una lussuosa scatola formato UniA3 stampata in quadricromia, sono raccolte in apposita griglia di cartone ben cinquantatre opere originali in tre dimensioni (micro-sculture, oggetti poetici, tracce d’affezione) di altrettanti autori, tra cui lo stesso Arias-Misson e Philip Corner, membro storico del Fluxus newyorkese. Spero tanto che Cornell, se la potesse vedere, approverebbe.
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