Proliferazioni. Oralità del corpo e performance del testo in Giovanni Fontana: il caso di Radio/dramma
(originariamente pubblicato in: Giovanni Fontana. Un classico dell’avanguardia, a cura di Patrizio Peterlini e Lello Voce, Agenzia X, 2022)
by Francesco Aprile

 

Dall’Ottocento, arrivando fino al Novecento, si diffondono a macchia d’olio teorie e opere pronte a decretare il rinnovamento delle pratiche artistiche e letterarie. I giochi linguistici, le ripetizioni, le parole “baule” in Carroll, i flussi di coscienza da William James a Dujardin a Joyce, gli esperimenti sonori dei Futuristi e dei Dadaisti – in ripresa delle esperienze di Vielé-Griffin, Verlaine, Nodier, Gautier, Rimbaud fra gli altri – sono tutti elementi che concorrono all’ingresso del principio di piacere nel mondo letterario, sancendo il primato del gioco e dello spreco sulla sopraffazione e sul controllo della tecnica come organismo di produzione ora di beni, ora di soggetti plasmati dalle nascenti direttive di mercato. Da un lato, lo sviluppo della tecnica improntato al controllo – si pensi a metà dell’Ottocento alla rivoluzione urbanistica di Parigi sotto la guida di Haussmann e volta, più che a modernizzare il cuore medievale della città, a organizzare la vita della capitale francese all’insegna di un più facile controllo da parte delle autorità – dall’altro, il crescente senso di inadeguatezza dell’attore sociale, schiacciato dalla tecnica, capace sempre di adattamento, ma ugualmente inadeguato al suo mondo, il quale andava reclamando nuove forme e modi di esistenza che trovavano agio in pratiche letterarie anti-produttive e aperte all’eccesso.  Le operazioni delle avanguardie storiche, in particolare dall’esperienza futurista e mano-parolibera di Balla alla sonorità della parola-flusso di area dada e surrealista, hanno avuto il merito di intercettare i cambiamenti in atto nella società del primo Novecento. Lo sconquassamento delle guerre e della disumanizzazione tecno-scientifica, si inseriva in un clima intellettuale di generale cambiamento anche e nell’ottica dell’indirizzo dato dal sociologo canadese Marshall McLuhan nei termini di “ritribalizzazione” dell’Occidente. Dal primo Novecento fino al sopraggiungere della seconda metà del secolo, si registrano momenti culturali tipici di una risposta dell’attore sociale che alla barbarie della disumanizzazione oppone la liberazione del corpo; il risultato è ancora oggi visibile in quelle pratiche che hanno messo in discussione la meccanicizzazione autorale della scrittura, fuoriuscendo dall’omogeneità del significato, compromettendola. La disposizione del significato, allora, è estromessa dal segno/parola che trova i suoi effetti di senso nella gestualità, nel colore, nella matericità, nella sonorità. In particolare, nuovi modi di relazione fra testo e suono, lettera e voce, si accendono negli sviluppi di esperienze quali Poesia Concreta e Lettrismo. Agli inizi degli anni Quaranta è con Carlo Belloli che si gettano le basi per una performatività già galvanizzata nell’oralità di base che il testo esplica nelle sue rinnovate modalità espressive. Quelle di Belloli sono composizioni minime, strutturate sulla iterazione di una sola parola, la quale viene liberata e destinata al vuoto della pagina estremizzando l’esperienza dell’ultimo Mallarmé. Dunque la parola, isolata, rimossa dall’immaginario sociale della frase, è destinata all’abisso, al volo, desemantizzata, ma allo stesso tempo restituita alla cosa nella sua significazione e nella concretezza della sua raffigurazione, ma anche polisemica, laddove l’isolamento la colloca, idealmente, nella plurivocità delle accezioni della parola stessa. Dall’ideale di purezza della forma dei parnassiani nella seconda metà dell’Ottocento alle esperienze del modernismo europeo fino al “Creazionismo” di Vicente Huidobro, la parola poetica giunge al concretismo secondo un percorso parallelo a quello dell’isolamento dell’attore sociale nel mondo. Il nuovo concetto di soggetto, in via di definizione, si ripercuote sul lavoro poetico che vira verso tragitti di depoeticizzazione e parcellizzazione del linguaggio che aprono a performatività della parola, fuoriuscita del testo dal libro, iterazioni ossessive, nuove forme di oralità, selvagge commistioni di linguaggi.

Nel 1977 Giovanni Fontana pubblica, per le Edizioni Geiger, il testo Radio/Dramma. I(n)terazione. La struttura dell’opera appare subito come votata al polisenso attraverso la messa su pagina di una mole eterogenea di elementi. Lo schema è già dettato dal titolo: da un lato il testo è svincolato dalla dominanza dello scritto fuoriuscendo dalla polarizzazione del libro e del lavoro poetico come momenti di una cultura a prevalenza testuale ripiegata su sé stessa, dall’altro apre, sullo sfondo dell’oralità radiofonica, non solo alla voce come variante dominante dello strumento “radio”, ma procede nell’alfabetizzazione del rumore inteso nei termini di un processo di erosione costante nei confronti della presunzione monolitica dell’io come momento assolutizzante di ripiegamento in sé. La proposta del libro, affrontando l’erosione della presunta graniticità del testo lineare, colloca la parola in un chiacchiericcio costante dove è l’iper-stratificazione dell’oralità quotidiana – ma non solo – ad ammassarsi decretando la nullità di un surplus informazionale che pretende di essere svuotandosi, invece, in un non essere. Il testo, ancora riprendendo il titolo, è un costrutto orientato all’interazione che è a sua volta iterazione frenetica, ripetizione drammatica, perché il dramma, come sottolinea Alfonso Cardamone, autore di uno dei contributi che aprono il volume – gli altri sono a firma di Adriano Spatola, Carlo A. Sitta, Giulia Niccolai, Marie-Louise Lentengre – «è il dramma del linguaggio. Rigetto dei codici linguistici nel loro rigido esclusivismo normativo e nel loro istituzionalizzarsi come organizzazioni autonome di ambiti comunicativi specificamente strutturati. Azione eversiva esercitata contro le distinzioni canoniche delle funzioni linguistiche. Presa d’atto della crisi e messa in atto della sperimentazione delle possibilità inedite di una ricomposta polifunzionalità del linguaggio. Così, per esempio, la radio, personaggio protagonista, è al tempo stesso canale ed emittente, contesto e messaggio, ricevente e codice. La comunicazione poetica si definisce e provoca la i(n)terazione e la fusione degli ambiti specifici, dei quali sovverte e stravolge la funzione, per una ri-creazione del linguaggio drammaticamente giocata tra i poli magnetici del segno iperdenotante e del silenzio». Questo testo, allora, contiene già i crismi dell’opera fontaniana: sonorità, interdisciplinarietà, pervertimento dell’ordine storico della linearità del testo, messa in luce della crisi politica del soggetto, polisenso, pluralità di strutture dati, silenzio, montaggio di materiali. Testi a stampa, battuti a macchina, titoli di giornale, scritture manuali, elementi vettoriali – segni vari, frecce – sonorizzazione del silenzio attraverso il surplus di informazione e rumore e, soprattutto, per il tramite di una punteggiatura, manuale, che ne verbalizza le trame nelle modalità pausative del respiro, cancellature, icone, revisioni, quasi note a margine, appunti, dislocazioni, nuove ricollocazioni come a significare che un testo è tale non nella produzione a stampa, ma nella sua incorporazione che ne sancisce, sì, una versione, ma la svincola dal valore ultimativo e perentorio del testo stampato, compongono il campionario di elementi immediatamente visibili nell’oggetto-libro che sembra nascere, sottolinea Spatola, presentandosi con «la caratteristica essenziale […] del discorso parlato. […] La registrazione sulla pagina di questi avvenimenti occasionali concernenti la sfera della parola non è tuttavia casuale, la sua densità è affidata a un certo numero di elementi ripetuti più volte sia all’interno del monologo che nel contesto delle voci esterne. Tali ripetizioni servono soprattutto a legare tra loro i dati offerti dal meccanismo, ma servono anche a sostenere le dissonanze. […] siamo di fronte a un poema/partitura che ha molte esigenze tipiche del copione teatrale. Da un lato si offre a un procedimento grafico paragonabile a quello della notazione, dall’altro funziona su un alternarsi di battute visive che coinvolgono monologo e dialogo. […] Fontana lavora dentro questo spazio a più dimensioni (non si tratta dunque soltanto dello spazio bidimensionale del foglio di carta) proprio in quanto tiene presente l’insoddisfazione dell’orecchio rispetto all’occhio, ovviamente sempre privilegiato nel caso di un testo visuale. Il che vuol dire che il poema/partitura ha esigenze irrinunciabili, tra le quali non esiterei a collocare una eventuale sonorizzazione». L’esigenza di una sonorizzazione appare, dunque, irrinunciabile, è parte integrante del testo che è prima di tutto processo, dunque azione, movimento, orientamento rivolto al nuovo in quanto svincolamento dalle forme ultime a vantaggio di un rapporto vivificante che ha nell’incorporazione della parola la materia prima. Di fatti, come sottolinea Marie-Louise Lentengre, la moltiplicazione delle forme è sistematica, cosa che permette a Fontana di evitare la fissazione su di una delle pratiche della comunicazione. Quella di Radio/Dramma è la storia fondamentale di un percorso articolato e critico che ha nella poesia la visione di un testo senza centro nei termini in cui questo, inteso come “politesto”, appare non soltanto aperto alle interpretazioni, ma trova il proprio polisenso a partire dalla strutturazione stessa della pratica autorale che per Fontana si esplica nella contaminazione di strutture mediali differenti in modo da promuovere un lavoro poetico che si radichi al “fare” e abbia nella propria condizione la dimensione di un ipertesto. Le tavole che compongono il libro sono state realizzate nell’arco di due anni, fra il 1968 e il 1970, per poi essere pubblicate nel 1977 da Spatola in quelle Edizioni Geiger che aveva fondato nel 1967 con i fratelli Maurizio e Tiziano. Gli strumenti che l’autore utilizza selezionano, evidenziano, fanno emergere indicazioni che, però, non emergono mai del tutto, rimanendo in quella folla disperata del linguaggio come tutto avvolgente. Il testo diventa un pre-testo, un progetto di intervento nello spazio. Come riporta Fontana in Epigenetic poetry. Hypervox e maschera sonora:

 

Il testo scritto potrà, allora, essere definito come pre-testo, in quanto progetto, ma anche in quanto anticipazione ed occasione; pre-testo in quanto luogo da trasfigurare, pre-testo in quanto primo territorio d’azione da ri-perimetrare, in termini di spazio e di tempo, con il corpo (l’imposizione figurale, l’atteggiamento, l’espressione, la voce, il gesto, il movimento…), con gli oggetti (raffigurazione, con-figurazione, plasticità, colore…), con il suono (rumore, musica, articolazione fonematica, spazialità elettroacustica…), con l’architettura (punto, linea, superficie, volume, luce, colore…), con i supporti tecnologici (proiezioni, videoproiezioni, multivisione, laser, computer, campionatori, impianti elettroacustici di amplificazione e spazializzazione sonora, congegni scenici, reti…), con il rapporto con l’ambiente (relazioni con il luogo, con il pubblico, con il contesto socio-culturale, spezzando il cerchio rituale e adottando confini labili, sfrangiati, frattali…). Si potranno ricercare in ambito performativo intermediale nuovi rapporti con le forme del testo, con l’intenzione di costruire una poesia che sia multidimensionale e pluridirezionale, multivalente e pluripotenziale, policentrica e multilaterale, poliritmica e multisonante, che non sia ripiegata su se stessa e sappia decisamente analizzare i territori più disparati, purché la contaminazione dei sistemi sia portatrice di germi antagonisti e la compenetrazione degli universi separati sia sorda alle sirene della multimedialità istituzionale invischiata nella melassa televisiva o sorretta esclusivamente dalla logica del mercato.

 

Gli elementi stratificati sulla pagina sono, in tutto e per tutto, proliferazioni. Lo statuto del rumore si produce nelle sovrapposizioni ed è imparentato con le sonorizzazioni epigenetiche fontaniane. Assistere agli interventi sonoro-performativi di Fontana comporta essere posti non davanti al testo, non davanti al corpo e neppure al suono, ma all’interno del suono. La voce prolifera, è moltiplicata, stratificata e manipolata. Il fruitore è avvolto da una pluralità di voci similmente a quelle che si sovrappongono in Radio/Dramma. Elemento principale, allora, dell’opera di Fontana appare non tanto l’adozione di media differenti, quanto la nozione di infosfera. Il poeta legge la situazione socio-culturale nei termini di pratica politica dove l’oralità, qui riprendendo le tesi di Ong, pone la conoscenza nella vita umana entro un contesto di lotta. Ma quella di Fontana è una oralità basata sul passaggio non da una società orale a una a prevalenza scritturale, ma ad una, ancora, in cui la dominante è rappresentata dall’informazione come campo onnicomprensivo – oltre, allora, il dominio della scrittura, strutturando la pratica dell’autore che fa della parola l’oggetto di una realtà poetica immersiva all’interno di una società dalle cui macerie riescono a emergere parole, lettere, frammenti, echi, riverberi, suoni scomposti, rumori. Il corpo, quindi, appare sulla scena creando uno spazio. È presente, ma scompare. È il corpo dalle mille voci o sono mille corpi per mille voci. La proliferazione sonora, dunque, sottrae il corpo dalla scena, restituendo la presenza di un codice, prettamente sonoro-informazionale, che definisce, strutturandola, la realtà al cui interno abita il fruitore. Con la proliferazione delle voci si amplifica il dilemma: da dove viene ciò che è detto?

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