Pasquale Fameli, “Gian Paolo Roffi. La quadratura del cerchio”, 2016
by Francesco Aprile
2017-03-06

Pasquale Fameli, già autore di studi su Arrigo Lora Totino, Adriano Spatola, e vocalità e gesto nel Novecento, pubblica il saggio critico Gian Paolo Roffi. La quadratura del cerchio (Campanotto Editore, 2016), con il quale si propone di analizzare la produzione del poeta bolognese dalla prima fase composta di testi poetici, lineari, alla personale accezione di poesia visiva, fino ai poemi-oggetto degli ultimi anni. Ciò che emerge è un percorso variegato che restituisce l’opera di Roffi in una veste critica che ne evidenzia le peculiarità, nonché i caratteri di continuità e novità nel novero della poesia visiva internazionale. Il lavoro di Fameli, filtrando la poetica di Roffi attraverso le correnti letterarie e verbo-visive internazionali, contestualizza l’opera dell’autore bolognese articolandola in una rete di riferimenti che lo vedono legato da una parte all’esperienza di Adriano Spatola, dall’altra alle esperienze minimaliste e concettuali americane come quelle di Vito Acconci e Jackson Mac Low. In continuità con le ricerche verbo-visive, il discorso di Roffi si dà come discorso sui media, sul linguaggio e sulla separazione esistente fra questo e la realtà, ma anche all’interno del linguaggio stesso. È per questo, e non a torto, che Fameli parla di Schizografia, riprendendo il termine utilizzato da Roffi per connotare i suoi lavori, offrendone una attenta esegesi. Roffi riduce la parola a cosa, come una materia da manipolare la scompone in fonemi, onomatopee che parlano, su carta, del corpo, della carne, tentano la prosa del mondo sulla soglia fra la parola, il suo corpo e il corpo autorale. È a questo punto che la parola, fattasi voce, è al di qua e al di là del corpo, segnando una separazione fra parola e soggetto parlante che, per dirla con Blanchot, pone, nell’emissione di fiato e nell’emissione del nome, una pietra tombale sul soggetto; da qui, lo scenario verbo-visivo di Roffi si muove nell’accostamento di una parola ridotta ai minimi termini – la parola è scomposta, ma cerca ancora di darsi a nuova vita – a frammenti di oggetti, di mondo, percorrendo associazioni volte alla costruzione di una sintassi altra, esperibile nel mondo della vita attraverso una dislocazione del senso che è articolata, appunto, nei frammenti che rompono la regolarità del discorso e della visuale, secondo trame di una “guerriglia semiologica” fredda, che si colloca in diversa area rispetto alle operazioni “calde” e politiche del Gruppo 70. Scrive Pasquale Fameli  che le operazioni di Roffi sono volte a «recuperare l’io solo nella sua sintomaticità psicofisica» (p. 11). Ma la poetica dell’autore bolognese è una costruzione che non si esaurisce negli elenchi e, seppur freddo nel suo rilevare, asettico, opera un atto di “visione” che è un fatto di atteggiamento, di modalità esperienziale, la quale incide la parola nei suoi aspetti «linguistici, tattili, corporali» (p. 12); il carattere di una dispersa unità testuale «restituisce il senso di inafferrabilità del presente» (p- 13) rivelando, attraverso lo stimolo ossessivo-ripetitivo della visione, del vedere, una coloritura esistenziale. Il collage è minimo, la sintassi dei frammenti messa in opera evidenzia, nel rapporto attivo fra porzioni di parole e immagini, l’insistenza di un rumore di fondo che è facile ricondurre alla contemporaneità, al quale fa da contraltare il silenzio del foglio bianco che intervalla ulteriormente gli elementi sulla scena. Così Fameli rileva il rapporto esistente fra il collage di Roffi e la poetica giapponese dell’Haiku; il Kigo, verso che nella poetica giapponese è riservato alla definizione della stagione, è sostituito da ritagli fotografici di paesaggi o altri elementi naturali. Il silenzio è così, barthesianamente, il luogo costitutivo della frase e, nel caso specifico, delle intere relazioni dell’opera (immagine e parola). L’opera sulla copertina del volume presenta la scomposizione del testo e di un violino; quella di quest’ultimo è affidata alla costruzione della forma a partire da alcuni frammenti dello strumento che vanno a istituire una sineddoche, la parte (i frammenti) per il tutto, costruendo, letteralmente, parole con le cose. La Schizografia è però separata anche dal mondo. Il poeta assume su di sé il compito di ricucire questa separazione, ma fuggendo intenti consolatori, Roffi costruisce rumori e silenzi, frammentazioni che sono suoni e forme nonostante tutto, lasciando al lettore la possibilità di una cucitura finale.

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