New Page, narrativa, teatro, poesia, scavi, in store.
by Francesco Aprile

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New Page, opera in store

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New Page, opere in store

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New Page, un crowner

1.
New Page è un movimento letterario fondato nel 2009 da Francesco Saverio Dòdaro. Al movimento hanno aderito 42 autori per 12 nazionalità diverse (Italia, Francia, Spagna, Canada, Siria, Egitto, Malta, Ucraina, U.S.A., Belgio, Algeria, Romania), per un totale di oltre 100 opere realizzate. Romanzi di cento parole, brevi, brevissimi, che incontrano nella strutturazione della pagina le incursioni e le tensioni semiologiche della comunicazione pubblicitaria, della narrazione giornalistica, della poesia concreta di Carlo Belloli, delle prime esperienze di narrativa concreta, queste ultime riconducibili alla collana “Wall World” che nel ’92 lo stesso Dòdaro ha ideato e diretto per Conte Editore. New Page ha poi esteso i confini, dilatando parole, supporti, media. Ha aperto al teatro di cento parole, in store, alla poesia, in store, nelle vetrine dei negozi, e ad una sezione teorica, denominata “Scavi”, senza il limite delle cento parole, per indagare le possibilità del linguaggio, sempre in store. Dal 2012, a partire dall’idea di Giovanna Rosato della Biblioteca comunale Gino Rizzo (Cavallino, Le), è nata una branca del movimento detta “New Page under 20”, curata dalla stessa Rosato. Dal dicembre 2015 è presente una ulteriore novità, quella della “New Page under 10”. Dal 2013 la curatela del movimento è a due voci: F. S. Dòdaro-F. Aprile. New Page è una lettura dello spazio sociale, della piazza, non più luogo d’incontro, ma non luogo scriteriato, condensato amorfo di vite in transito. Afferma Dòdaro che “Il cantastorie del terzo millennio non è nelle piazze, ma nelle vetrine”. La morte della piazza, della strada, segna il passaggio verso la dimensione e la diffusione dei testi New Page non più sul libro, ma stampati in proprio e applicati su crowner, pannelli cartonati molto in uso nella comunicazione pubblicitaria. Crollano i confini fra narrativa, teatro e poesia, i testi si ibridano e il libro si condensa sulla “ricetta” dei media accarezzando un futuro diverso. Un modo altro per interpretare l’evoluzione della pagina scritta, un tracciato diverso dall’evoluzione digitale del libro, diverso dalla traiettoria già in corso d’opera rappresentata dagli e-book. Esporre l’opera letteraria nelle vetrine dei negozi, nelle gallerie dei centri commerciali, vuol dire intercettare una dimensione sociale latente, poietica, oggi messa alle strette dal bombardamento sensoriale che vede l’uomo consumatore passivo in un sistema puramente strumentale. Scardinare questo tassello significa porsi nella traiettoria dell’ascolto, dell’incontro, veicolare testi, che non sono vendibili, in un contesto mercificato, è un atto che si pone come una richiesta d’ascolto e dialogo intenso, la ricerca della possibilità, del poter essere altro e non esclusivamente un ingranaggio passivo, ma una parte attiva, consapevole e sognata. La diffusione delle opere del movimento ha inoltre avuto un ulteriore tracciato, segnato dalla semina culturale, sociale, messa in atto da Mauro Marino sulle pagine del quotidiano Il Paese Nuovo. Un quotidiano che sceglie d’aprire la sua ultima pagina alla pubblicazione di opere letterarie, andandosi a togliere uno spazio necessario per la sua vita editoriale, privandosi di tanto in tanto della pubblicità da ospitare, si inserisce nella stessa linea assunta dal movimento, privilegiando una comunicazione poietica.

Hanno aderito al movimento: Francesco Saverio Dòdaro, Teresa Maria Lutri, Elisabetta Liguori, Francesco Aprile, Mauro Marino, Antonio Palumbo, Rossano Astremo, Elio Coriano, Serena Stìfani, Giuseppe Cristaldi, Vito Antonio Conte, Stefano Donno, Giuliano Ingrosso, Lea Barletti, Francesco Pasca, Marianna Massa, Erika Sorrenti, Ennio Ciotta, Dino Levante, Domenico Ingenito, Alessandra de Luca, Cristiano Caggiula, Vincenzo Lagalla (Italia) / Bartolomé Ferrando, Patricia Aguilera Arroyo (Spagna) / Victor Jacono (Malta) / Elvira Cordileone (Canada) / Ayham Agha (Siria) / Vanessa Bile-Audouard (Francia) / Ahmed Hamed Ahmed (Egitto) / Volodymyr Bilyk, Julia Stakhivska, Julia Guz, Oleh Lysheha, Andriy Antonovskiy, Lyubov Iakymchuk, Eugene Dovgyj, Marianna Kijanowska (Ucraina, *la pubblicazione degli autori ucraini è a cura e traduzione di Volodymyr Bilyk) / John Bennett (U.S.A) / Luc Fierens (Belgio) / Bouzid Temtem (Algeria) Gheorghe M. Neguțu (Romania).

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Francesco Saverio Dòdaro, New Page: Primo manifesto, 2009

2.
Sulla scia delle pubblicazioni freudiane sulla psicoanalisi e relative indagini sull’inconscio, la tecnica del flusso di coscienza si fa corpo – sviluppandosi a livello narrativo, trovando per la prima volta l’introduzione del termine stesso nel lavoro dello psicologo William James – fratello maggiore del romanziere Henry James – che nei suoi “Principles of Psychology” (1890) traccia la concettualizzazione secondo cui descrive il flusso del pensiero associandolo alla corrente fluviale. Questa teorizzazione del libero flusso del pensiero viene preceduta dal testo di Edouard Dujardin “Les Lauriers sont coupés” pubblicato fra maggio-agosto del 1887 sui numeri della Revue Indépendante, diretta dallo stesso Dujardin. Autori che hanno contribuito allo sviluppo di questa tecnica sono stati Dorothy Richardson, William Faulkner e James Joyce. E proprio sull’autore irlandese bisogna soffermarsi per potersi accostare al terzo romanzo in cento parole di Francesco Saverio Dòdaro. La degrammaticalizzazione apparsa nella seconda New Page di Francesco Saverio Dòdaro, mutuata dalle necessità del suono, dalla morte dell’ortografia, in virtù di quella che lo stesso autore definì come “svolta post-grammaticale” (discorso tenuto dallo stesso il 2 gennaio 2011 presso il Fondo Verri di Lecce, rassegna Le mani e l’ascolto, https://www.utsanga.it/index.php/dodaro-lortografia-e-morta-lapparato-pausativo/) viene, in questo terzo lavoro, ulteriormente limata, portata verso un compimento nuovo – nella concezione grafico-contenutistica della teoria dei flussi di coscienza – che muovendo dai flussi di coscienza di Joyce, si pensi al monologo interiore di Molly Bloom nell’Ulisse, dove l’assenza di punteggiatura permetteva alle parole di aderire al continuo passaggio da un’idea all’altra che è proprio del pensiero e, quindi, di esprimerlo senza interruzioni, arriva a farsi espressione del particolare, oltre, dunque, l’idea di una narrazione di flussi di coscienza universali. In quest’ottica Dòdaro opta per la definizione – per quanto riguarda il suo romanzo in cento parole – di “Stratificazione mnestica”, ossia la stratificazione di vari e particolari, ben determinati, flussi di pensiero che tornano alla ribalta, all’apice dello sforzo mnemònico dell’autore che ne rende possibile lo stratificarsi attraverso l’utilizzo diverso, sia sul piano concettuale che su quello puramente visivo, che fa della pagina e dell’idea di libro (“Centoparole e un diverso apparato pausativo. Centoparole, non sul libro, ormai sott’attacco, ma sulla pagina reinventata. New Page. New Page per la nuova comunicazione narrativa. Comunicazione in store.” – dal primo Manifesto del movimento letterario New Page a firma dello stesso Dòdaro) che, a differenza di quanto avveniva in Joyce in cui l’espressione del testo era affidata al prodotto libro nella sua concezione classica, qui, l’espressione dei flussi di coscienza è resa possibile, appunto, attraverso lo stratificarsi visivo, l’utilizzo di colori diversi ad indicare ben precise stratificazioni del pensiero, e concettuale maturato, questo aspetto, dalla diversa concezione del libro sfociata nella creazione del movimento New Page. Tutto ciò, secondo l’autore, conduce alla creazione di una tensione fra “l’hic et nunc e l’anthropos”.

3.
Ritroviamo in New Page la cadenza, l’incedere del linguaggio pubblicitario, la condizione semeiotica della parola, le condizioni e dislocazioni, desemantizzazioni del concretismo di Belloli, radunate nell’afflato narrativo, nel condensato spazio di 100 parole che come un tweet riversano tutta la loro forza nella brevità, ma sanno come istituirsi a magazzino mnestico, richiamando la memoria intrauterina del battito maternale; si pensi allo storico Movimento di arte genetica fondato dallo stesso Dòdaro nel 1976, al linguaggio come mancanza e tentativo di rifondare la coppia, all’immanenza biologica dell’anima. Poi, ancora, l’utilizzo di segni di punteggiatura elettronica, come l’underscore (mutuato dalle esperienze di Gammm, ma anche di Oronzo Liuzzi ecc) e ampiamente teorizzato come sospensione grammaticale, come flessione del respiro (Aprile, Lutri), l’utilizzo del pipe ( | ) mutuato dal linguaggio giornalistico e interpretato come interpunzione più forte del punto (Aprile), l’elemento sonoro – il click – che diventa punteggiatura, ossia la grammaticalizzazione del suono (Liguori, Marino), la narrativa a forte connotazione poietica che attinge dalla quotidianità della strada, della vita, delle lacerazioni incessanti (Astremo, Barletti, Ciotta, Conte, Donno), il narrato cronachistico, feroce perché puntuale, critico e lucido (Cristaldi), il continuo appellarsi alla poiesi per concimare consapevolezze (Coriano), il plurilinguismo di Ingenito come sintesi dell’ampia mediterraneità delle sue visioni letterarie (oriente e occidente, passato presente e futuro nell’espressione letteraria di un unico mare, in un narrato meridiano), o ancora il plurilinguismo di Bennett connotato da una violazione estetica paundiana/modernista portata ad evoluzione nell’aspetto ludico/sintattico della frammentazione linguistica dell’autore, la sensibilità delle parole che abbatte le dissolvenze fra intimo e pubblico, interno ed esterno, e nell’interazionismo letterario si esplicano (Palumbo, Stìfani), i giochi e la logica nella letterarietà diacronico-sincronica (Pasca), la semplicità disarmante che ha in sé il tumulto (Agha, Hamed Ahmed, Jacono, Massa), le evoluzioni letterario-cinematografiche (Ingrosso), l’istintualità primordiale nella logica saggistica (Ferrando), la parola-escursione nella memoria (Arroyo, Bile-Audouard, Cordileone), la mediazione musicale a metà fra il letterario e la strutturazione da blog internettiano (Levante), le solitudini, gli smarrimenti, le proteste (Sorrenti), il moderno e l’incanto del mondo in Oleh Lysheha, l’aspetto ludico-fonetico (Volodymyr Bilyk, Julia Stakhivska, Julia Guz, Andriy Antonovskiy, Lyubov Iakymchuk, Eugene Dovgyj), la mediterraneità di Temtem, attuale, forte, connotativa di un affratellamento di orizzonti, fautore di una poetica del Mediterraneo fatta di sconfinamenti, senso della misura e rapidi capovolgimenti, contornata da eccessi di bagliori, di segni corporali, di appezzamenti materici della parola, ancora una poetica di prospettive segniche multidisciplinari, o l’after-poetry – parafrasando l’after-image di Kostelanetz – nelle dinamiche politiche, cronachistiche e polemiche di Luc Fierens, le prospettive filosofico-letterarie di Lagalla, la dimensione logico-concreta in Neguțu, la violenza sonora, immaginifica, nella poetica di Cristiano Caggiula, il grado aggettivato del silenzio che sostanzia il ritmo dell’opera in Marianna Kijanowska.

4.
Cosa possono innestare l’esperienza e l’apertura, proprie della ricerca letteraria, se inserite in un percorso formativo inerente una fascia di età – che accoglie i ragazzi delle classi terze delle scuole secondarie di primo grado – importantissima nello sviluppo, nella crescita conoscitiva di quelli che saranno i futuri adulti? A quali criteri di approccio potranno fare riferimento i ragazzi che entreranno in contatto con un percorso letterario di sperimentazione che si pone in maniera dialetticamente critica nei confronti del sistema sociale in atto, nell’ottica dello smuovere domande, curiosità, del penetrare nei piani più intimi che dal linguaggio, attraverso esso, portano all’autoesplorazione dell’attore sociale e della sua condizione nel mondo? All’interno del contesto letterario relativo al movimento “New Page”, si è cercato di dare forma a questi interrogativi a partire da una serie di lezioni-laboratorio tenute, da chi qui scrive assieme a Giovanna Rosato (ideatrice degli incontri) della Biblioteca Comunale Gino Rizzo di Cavallino, alle classi terze delle scuole secondarie di Primo Grado dei comuni di Cavallino e Castromediano (Le), e svolte a partire dal gennaio 2012 (per tutto l’anno). Al termine di queste lezioni i ragazzi si sono cimentati, di volta in volta, nella realizzazione di opere letterarie rientranti nei criteri di ricerca del movimento, dando vita ad una branca del movimento denominata “New Page under 20” e curata da Giovanna Rosato. Nel contesto delle lezioni a Cavallino, guidate dalle domande nate dalla curiosità e dall’attenzione-osservazione che i ragazzi hanno dimostrato nei confronti di una dinamica espressiva probabilmente a loro vicina, calata nell’hic et nunc e capace di essere essa stessa, con lo spazio bianco della pagina da “arredare” con le coordinate del proprio puer, spazio di riconoscimento e mezzo di appropriazione di questo esserci al mondo, hanno liberato la propria condizione da ogni freno di natura, anche, strumentale, consegnando allo spazio bianco delle New Page elementi intimi, densi, forti, costruiti attorno alle dinamiche poietiche del ritmo, dell’ora, della condizione sociale o intimista, senza manifestarsi per la consueta sottotraccia “repressa” che caratterizza quell’aspetto nascosto della realtà sociale, appunto, in quello spartiacque storico reso manifesto nel passaggio verso un certo principio di realtà. Tutto questo attualizzato in quella pratica narrativa che è nel poter essere “letti”, umanamente, oltre che sulla carta, e quindi riconosciuti e riconoscersi come parte attiva del tessuto micro-sociale della loro elaborazione che è incontro, presenza e riappropriazione di uno spazio che è attenzione per la voce dei ragazzi stessi. Perché introdurre la ricerca letteraria in un’età fondante per la crescita e formazione culturale, vuol dire introdurre e lasciar liberamente recepire concezioni sempre aperte al confronto, al cambiamento. Vuol dire che la ricezione di tali messaggi di comprensione e ascolto dello spazio di una realtà sociale, altrimenti off-limits, è una semina che proietta i ragazzi in una dimensione di conoscenza e approfondimento del loro percorso umano ancor breve, ma già capace di maturare consapevolezze. Entrare nei vicoli bui del disincanto contemporaneo, scorticare la crosta delle apparenze, della divaricazione dei ruoli, della differenziazione di “tipi” umani della classificazione dei ruoli sociali. È possibile ricondurre l’Anthropos ad una via di fuga, una strada secondaria rimasta tale, scolpita nell’uomo stesso, a cui forse han tolto il cartello “uscita d’emergenza”? Fuggire dalla nobiltà d’animo che nobilita, appunto, reindirizzando a pratiche di riconoscimento obsolete – esclusive piuttosto che inclusive –, fuggire da pratiche che pongono il riconoscimento come figlio di strumentalizzazioni economiche, accostarsi ad elementi che in embrione all’oggi possono – potrebbero – portare il riconoscimento a collocarsi su di una dimensione radicata non più allo status sociale, coi suoi ruoli ed esclusività, ma a dimensioni intime, recondite, che affondano le loro radici in una dimensione al contempo storica–sociale e comune agli attori sociali e non articolata nella concatenazione del potere che lega e nega gli uomini gli uni agli altri. Se già nell’ambito del movimento letterario New Page, attraverso gli incontri tenutisi a Cavallino, si è portata la ricerca letteraria – coi suoi criteri di apertura e confronto – fra i ragazzi, in fasce d’età fondamentali, tentando la poiesi come possibile approccio etnografico, e di autoesplorazione, in relazione ad un micro-contesto sociale, riallacciando i rapporti che l’etonografia ha con le coordinate della ricerca letteraria ed artistica, da cui appunto nasce attingendo alle istanze di modificazione istituzionale insite nell’azione di Antonin Artaud, si è tentato un approccio poietico-etnografico che ha nel continuo dialogare con la maieutica dolciana portate inclusive che rendono conto di fasce d’età per le quali da sempre si pretende di parlare escludendole di fatto dal discorso, frammentando la possibilità che queste maturino consapevolezze e sensibilità pure, non ancora figlie esclusive delle brutture strumentali. Questa linea assume a sé ulteriori orizzonti se combinata con l’idea di Francesco Saverio Dòdaro che in una mail – pubblicata sul quotidiano Il Paese Nuovo nel marzo 2013 a corredo della sua New Page intitolata “La tromba dell’altrove” – scriveva «e se il Giornale* proponesse al Comune (Lecce) di intitolare strade, piazze, ai personaggi, ai temi della Poiesi, dell’Altrove? Via “Gelsomina”, Piazza “Les fuilles mortes” . La poiesi come orologio della storia. Una diversa gerarchia delle rilevanze storiche, sulla scia di accreditati tracciati di Microstoria (Einaudi, Les Annales). *Ripeto: il Giornale. Ancora: Liceo Alfa, Terza B “Gelsomina”, Seconda A “Silvia”». La «poiesi come orologio della storia» si pone all’interno di un orizzonte in cui la poiesi stessa entra come approccio etnografico – da ethnos (popolo) e grapho (scrivo) – permettendo, attraverso criteri di apertura e messa in discussione propri della ricerca letteraria, di far venir fuori, di far emergere risposte, spesso consapevolezze profonde, già presenti nei ragazzi che le articolavano nella produzione letteraria-sperimentale che permetteva loro di rapportarsi con un mondo pensato dalla loro intimità poietica, autoesplorandosi e relazionandosi lungo un tracciato storico e sociale che vedrebbe, così, una rilevazione storica affidata alla poiesi – secondo il tracciato di F. S. Dòdaro prima citato – in quel suo esprimersi nel linguaggio, attraverso esso, facendosi espressione storica della contemporaneità, esprimendosi come effettiva rilevazione del tempo attraverso quel suo appartenere naturalmente all’uomo; Cassirer: la poesia è il linguaggio dell’uomo. Strutturandosi come approccio etnografico-pedagogico, condizione pedagogicamente implicita alla formazione di coscienze consapevoli, aperte, inclusive.

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