Introdurre l’Enigma: l’esistenza (introduzione a “Enigma” di Giuseppe Piano, Anima Mundi, 2019)
by Francesco Aprile
Un fil rouge per l’opera di Giuseppe Piano? Una linea progressiva e temporale su cui disporre ordinatamente i pezzi? In sintesi, intraprendere un simile discorso per poter approcciare Enigma, l’opera oggetto di questo intervento, significa, prima di tutto, scontrarsi con la fatica di una riduzione che tarda a farsi intravedere sull’orizzonte di senso esplorato; il lavoro dell’autore è prima di tutto la risultante di più piani che si accavallano e scontrano, si scontornano e mescolano producendosi su più linee, a volte intrecciate, che trovano una loro aderenza all’operare in luoghi quali fattori storici e identitari. Enigma, che nasce dall’esplorazione, in chiave contemporanea, del mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto, è comunque un elemento-opera composto da più fattori, alcuni dei quali hanno radici storiche ben salde nel percorso di Piano, altri compaiono in tempi recenti grazie all’evoluzione delle nuove tecnologie (Intelligenza artificiale, Reti neurali). Tutto questo per dire che da sempre il lavoro dell’autore si colloca almeno su due fronti all’apparenza opposti: una linea sperimentale che si dà come tensione al nuovo, una linea dedicata alla ridefinizione, attraverso l’uso delle nuove tecnologie, della figurazione.
Ora sarebbe lecito chiedersi: ha senso la ridefinizione della figurazione in un tempo defigurato? Il “senso” dell’invasione mediale della nostra epoca è forse quel “flusso asemantico” che Mario Costa ha già avuto il merito di affrontare e portare alla luce, anche sulla scia di un McLuhan che bene aveva mostrato l’insistenza del valore significante dei media, maturando, attraverso il lavoro di Lacan, i presupposti teorici allo studio delle nuove tecnologie. D’altronde le “tetradi” mcluhaniane, inserite nel contesto storico-teorico statunitense – basti pensare alle teorie sull’angoscia dell’influenza di Bloom che aprono alla dimensione dello scarto – mostrando le quattro leggi che secondo il sociologo governerebbero le innovazioni e i processi mediali, evidenziano come ad esempio l’incremento stia o possa stare al capovolgimento ecc. Quattro leggi che governano i media, intesi nella più ampia accezione come nessuno prima di McLuhan aveva saputo fare, quattro pilastri che diventano metro di analisi della produzione umana: cosa ribalta? Cosa incrementa? Cosa rende obsoleto? Cosa recupera? Il punto è già in queste domande, come, heideggerianamente, la risposta è già nella domanda. In questo lavoro di Piano, la figurazione parte dai tasselli, dalle tessere del mosaico otrantino; il ciclo di Pantaleone è ridefinito attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale e delle reti neurali. Cosa comporta tutto questo? Per prima cosa un ribaltamento. Siamo davanti a una figurazione? La risposta dell’autore è già nell’opera ed è sì, ma la scelta di campo è quella di una figurazione asemantica dove i frammenti del mosaico sono stressati, surriscaldati al punto che le continue sottrazioni visive finiscono per agire sull’immagine ultima. Il risultato? È proprio quello di un flusso, asemantico, che trova nella degradazione dei materiali “poetici” (si veda, per conferma, lo splendido mosaico otrantino per capirne la portata e la sostanza poetica) la ragione di un incremento che ribalta e rende obsoleto il dato di partenza che, nonostante tutto, è recuperato e restituito al tempo storico in una chiave che bene lo rappresenta. Il surriscaldamento del media-immagine comporta il suo ribaltamento. Il mosaico, sottoposto a sottrazioni, si mostra ora come lacerti di una totalità dispersa capaci di trovare, nello scambio informazionale delle superfici, la condizione di migliore aderenza a un mondo-flusso informazionale e incentrato sulla ridefinizione dell’identità e del concetto di soggetto. Di fatto, Piano, che dagli anni Settanta opera sul concetto di identità autorale, torna ancora sul tema. Originario di Otranto, a Firenze dagli anni Settanta, l’autore, lavorando sul mosaico, lavora su sé stesso.
La dimensione asemantica, indecifrabile e frammentata risponde alla temporalizzazione dell’essere heideggeriano che è sì un esserci, ma è frutto di lacune, zone d’ombra, lacerti affastellati, incartamenti e incantamenti. Risponde, d’altro canto, anche al presente costante, al presente sempre in atto di questo tempo stressandone la presenzialità ipertrofica. Il soggetto è oggi in un rapporto di puntualità estrema con l’oggetto che è sempre presente; si pensi agli e-commerce e alla profilazione degli utenti che sono ormai essi stessi l’oggetto martellante in ogni pagina web, in quanto l’oggetto diventa parte determinante di un sé che trova nella sua attualità costante (il web come deposito) la sua nuova dimensione di oggetto-informazione, merce di scambio, dato da barattare. Il mosaico, degradato, è la dissoluzione del flusso temporale dell’esserci che non può essere mai penetrato pienamente dal senso, mai ridotto a una attualità piatta e persistente, ma che si costituisce di potenze e atti, di movimenti dicotomici non assimilabili alla condizione unica di un tempo che ci definisce come “atti” costanti. Il lavoro di Piano è dunque plurale e tiene conto dell’impossibilità di ricostruire e assimilare sull’asse di una linea il carattere di una vita.
Lascia un commento