Giovanni Fontana, Déchets, Dernier Télégramme, 2014
by Francesco Aprile
Ci sono un cielo basso, grigio, e i morsi della storia, dispersa, in frantumi, corrispettivo di certe dinamiche di produzione, ora dinamiche sociali, uno smembramento della storia che conserva il piano di efficacia che la sostiene, in relazione all’efficacia dei modi di produzione economico-strumentali. C’è questo e ci sono altri e vari piani di scorrimento del flusso poetico nella dialettica interlinguistica nell’opera di Giovanni Fontana, Déchets, raccolta di versi e opere verbovisive edita nel 2014 da Dernier Télégramme, con prefazione di Serge Pey. Déchets nasce dal precedente volume di Fontana, Questione di scarti – Edizioni Polìmata, 2012 – ma non come traduzione del primo nel francese del secondo, ma come snodo, punto di partenza per un’opera altra che è appunto figlia dello scarto, della differenza. Il magma indifferenziato dei rifiuti è sintomo di una società oggettualizzata che mostra come il possesso sia poi nell’essere posseduto, e nell’indistinto dell’accumulo, compulsivo, frenetico, mastica la presenza costante dello spaesamento e dello spossessamento di sé. La caducità del senso, la perdita di punti di riferimento, la frammentazione eccessiva, parcellizzata, della società deragliano le possibilità poetiche aprendo il linguaggio alla concessione linguistica della morte. L’opposizione vita-linguaggio percorre il lavoro di Fontana come esplicazione ulteriore del suo percorso epigenetico, ovvero di una poesia improntata al processo, all’azione. Gli scarti, come materiale residuo dell’esistenza e manifestazione della tendenza all’inorganico di freudiana memoria, sono al contempo un coacervo di impulsi vitali e oggetti che si affacciano alle direttrici percettive dell’autore. Da un lato una poetica del processo, improntata sulla parola che si nega all’atrofizzazione di un linguaggio comune, infiocchettato, e si dà nella dilatazione del lettering, nella spazializzazione del corpo, rimandando al movimento percettivo-attivo dell’autore, dall’altro la stratificazione dei rifiuti vi si oppone come tendenza all’inorganico e costante presenza della morte. Se la poetica di Fontana guarda al processo e privilegia la parola è sulle direttrici lacaniane che rafforza questo costrutto. Se il processo è sintomo vitale, allora l’opera non può che guardare ad un lavoro che valorizzi ed esalti la parola al di là di strutturazioni sintattiche che contribuiscono ad ingessare le potenzialità visivo-spaziali, dunque attive, del corpo della parola. La parola come processo, enunciazione, flessione del respiro autorale guarda ad una dimensione organica, vitale che si oppone alle immagini di Déchets, dunque alle immagini dei rifiuti, in quanto emblematiche della canonizzazione del linguaggio umano, sociale, che connota l’attuale epoca storica per un surplus di dispersione e disperazione. Gli oggetti che entrano direttamente nella poetica sono oggetti del mondo e figli diretti dell’azione umana, ma allo stesso tempo sono il capovolgimento del possedere nell’essere posseduti. In un momento storico caratterizzato dalla caduta di punti di riferimento, dalla rapida mutevolezza delle situazioni socio-economiche, dall’atomizzazione dell’attore sociale, la povertà, oltre alla durata atemporale dell’irrazionale religioso, rappresenta l’unica dimensione solidificata, stabile (Bauman), – nonché baratro, paura alla quale ci si oppone nel possesso-ostentazione – e l’esaltazione iconica del messaggio pubblicitario, e del suo oggetto, spostano il raggio d’azione da una fidelizzazione del cliente verso una “fedelizzazione” nei confronti dell’oggetto e/o dell’aura immaginifico-simbolica che all’oggetto conferisce il costrutto mediatico. Fontana, poeta e pensatore, come riferisce Pey in introduzione al testo, realizza un’opera di riflessione sull’attualità del mondo e dell’azione umana nel mondo. Una invettiva sociale che affronta quelle dinamiche che ci portano oggi quasi a rapportarci con i resti della società (Pey, p. 08). Inoltre, nota ancora Pey come questo non sia un tempo per i poeti che appaiono rifiutati da una società che dimostra di non avere tempo per la poesia; questo rifiuto, secondo il poeta francese, porta l’opera di Fontana sul piano di una oralità rintracciabile nella manipolazione grafica del testo come corrispettivo delle diverse marcature vocali. I rifiuti, che assumono la dimensione di segno, portano il lettore davanti al fatto compiuto e del quale dovrà avere, da oggi in poi, consapevolezza: nous sommes la civilization du déchet, tuona Pey a pagina 10 della sua introduzione. Fontana propone una poetica puntuale, feroce nella sua precisione e nel disarmante ingresso del dato oggettivo del quale avviene il trapasso, il traforo, lo sconfinamento dall’oggetto all’oggettualità della morte, come tensione, processo.
Paolo Guzzi
Buona recensione.