Carlo Bugli: “Organon”
by Francesco Aprile
Al di fuori della “magnifica” perfezione che Platone assegnava ad Apollo, il “senza moltitudine”, esiste il territorio dell’umano, forgiato dalla differenza. Blanchot ci ricorda il movimento che si realizza nell’uomo, “più parole in simultaneità di linguaggio”, un movimento impresso in una differenza non riducibile a nessuna semplificazione. Le parole, allora, nella separazione diventano parlanti, ma è proprio questa “spaziatura”, nonostante tutto, a tenerle insieme. Così, l’Apollo di Bacchilide, sentenziando, attribuiva all’uomo quel “duplice pensiero” come sua condizione strutturale, allo stesso modo l’opera di Carlo Bugli, anche quando sembra cadere soltanto nell’uso della parola, non si colloca mai pienamente su un solo versante. È il caso di “Organon”, un libretto dato alle stampe nel 1990 che raccoglie testi poetici del biennio 1988-1989. Carlo Bugli, nato a Napoli nel 1965, è poeta e pittore, ma non basta questo a definire la duplicità insita nel lavoro poetico. Il testo in questione, già dal titolo rimanda al “Novum Organum” di Bacon (oltre che all’Organon aristotelico e alla conseguente concezione categoriale) e come questo si attualizza nei termini di un percorso di liberazione autorale dove la parola si dà come esperimento, procedimento, ancora, non riducibile alla sola forma scritta della lingua, ma ad un affrancamento dal linguaggio ordinario tout court. Gli idòla baconiani appaiono tutti nel testo: “il Maligno mago dette all’ombra sua ed eteroclito pensiero”, ovvero gli idòla della tribù, ma qui, inoltre, già viene preannunciata e rilanciata la natura multipla del pensiero umano; gli idòla specus, ovvero dell’educazione, sono distrutti nella scelta non lineare e consueta della forma poetica che è, anche, liberazione dai pregiudizi del linguaggio; in ultima istanza, nella lingua poetica di “Organon”, conflittuale e mai realmente lineare, si cela lo sprofondo della riflessione filosofica come liberazione dalle favole di potere.
La materia poetica è per Bugli forma a cui donare altra forma. Il lavoro manuale, gestuale, quasi del sottrarre ad una massa plastica o dell’organizzare i segni grafici in composizioni non consuetudinarie, entra a pieno titolo nella scrittura in versi che alla linearità logica privilegia l’inversione del senso di lettura e il disorientamento semantico nella curvatura stessa della parola poetica. Quella di Bugli è una lingua che fa dei segni esperienza conoscitiva ancorando, alla parola e alle sue disarticolazioni, ulteriori e differenti chiavi di accesso alla riflessione filosofica allo stesso modo di quanto avviene nelle opere grafiche, non presenti in questo “Organon”, ma comunque vicine ad esso. Di queste, infatti, possiamo citare la spiccata capacità di destrutturare le consuetudini compositive a vantaggio di un disegnare libero dove le forme, trasfigurate, danno vita a un mondo ignoto, ma verso il quale poter essere in qualche modo riconoscenti perché saggia il pensiero e mette in moto la ricerca di significati non ordinari, dunque non incasellati nel già detto e nel dicibile. Nel 1966, Emilio Isgrò avvertiva: “la nuova poesia vuole essere un’arte generale del segno”. Come per Wittgenstein, a Carlo Bugli sembra importare più che lo scritto, ciò che nell’opera non permane come scritto e non viene formalmente detto e che ricade, appunto, nei processi di conoscibilità del mondo.
nel blu marlin
dell’idea
ipostasi in forma d’alga
dell’anima centrale
nell’amaxiton aterico
palliverdi luci gialline
in via Pigna 89
occhi-fanali gialli viaggiano veloci
dal metafysicon organon
si immergono nel blu marlin
a notte marina viridis acqua
e in via Pigna 89
Nei testi sembra echeggiare il villiano “Non c’è più origini. Né”, così da essere lasciati a galleggiare, sospesi sulla pagina in attesa di una conclusione che viene data dalla partecipazione del lettore. L’arte di Bugli, in questo caso, è sì poetica, ma in un senso che sfida la concezione tradizionale di poesia e si configura come arte del segno, in senso ampio. I testi sono collocati tutti al centro della pagina, senza rispettare il margine sinistro e l’impaginazione di un testo poetico. Sono sospesi, come sospesa è la conoscenza, valida fino a successiva falsificazione. Gli elementi formali, ideali, sono abbassati a cose (l’ipostasi-alga), termini lirici trapassano nell’impoetico (impoetiche aurore, p. 21) e proiettati in una dimensione postuma (tristezze poststellari, p. 21) anelando “la nascita di un uomo di metallo” (p. 23) non più soltanto uomo, non più soltanto cosa. Le parole vengono alterate come le tavole visive, ma l’intervento di amplificazione e alterazione dell’opera è già intervento di modificazione della realtà, dell’esperienza attraverso cui la conosciamo per creare altra conoscenza.
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