Bruce Russell: What is free? Note sul The free noise manifesto

by Francesco Aprile

 

 

 

Seguendo le linee guide tracciate da Bruce Russell, autore del “Free noise manifesto” e membro dei Dead C, la fuoriuscita del concetto di musica dall’unità inviolabile e immutabile di natura divina, rappresentata dalla grammatica universale dell’armonia e della composizione, permetterebbe il ritorno della performance musicale alla sua natura propriamente umana, mai più gerarchica e metafisica, ma plurale, indefinita e processuale. I Dead C nascevano in Nuova Zelanda nel 1986. Nel frattempo anni di sperimentazioni avevano già preparato la strada per le riflessioni e le azioni a venire. L’avanguardia aveva fatto del rumorismo e della casualità dell’impatto degli oggetti, ad esempio con le corde di un piano, un elemento portante delle nuove dinamiche sonore. L’arte dei rumori di Russolo, la musica atonale di Schoenberg, le ricerche di Edgar Varese, John Cage, Iannis Xenakis, il Theatre of Eternal Music, Stefano Scodanibbio, i Red Krayola, gli Psychic Tv, la no wave newyorkese (DNA, James Chance e i Contortions, Mars, Lidya Lunch e i Teenage Jesus and the Jerks), i Beatles di A day in the life, i Pink Floyd di Interstellar overdrive, le cacofonie di Glenn Branca, i Tasaday e poi Chrome, Royal Trux, Pussy Galore, Virgine Prunes, Throbbing Gristle e il movimento dell’Industrial, Sonic Youth, Plus instruments, Pussy Galore, Suicide, ma anche Pere Ubu, Faust, Can, il Lou Reed di Metal Music Machine e, prima ancora, i Velvet Underground, la musica totale di Frank Zappa, Captain Beefheart e il fondamentale Trout Mask Replica, i This Heat, Cabaret Voltaire, i The Birthday Party di Nick Cave, Steve Albini, per altre vie le nuove vicende “spaziali” musicali di Jon Hassell e Brian Eno ecc. a rincarare la dose sull’ingresso del rumore in musica. Nietzsche lo aveva annunciato, la grammatica era l’ultimo rigurgito di Dio e proprio in quest’ottica, nel rifiuto di una musica divina, celestiale, si muove la prova teorica e musicale di Bruce Russell e dei Dead C. Liberarsi e liberare la musica da ogni grammatica, tornare a scoprire ora l’atonalità ora le zone grigie intermedie, gli stati a metà di un suono che non è rumore e neppure tono determinato, dato, che può essere misurato o eccessivo e in questo caso darsi come rumore, significava allora scoprire un territorio sconfinato di possibilità espressive, propriamente umane, non gerarchizzanti e verticalizzate, ma rizomatiche, reticolari, aperte al processo. Lo sviluppo rumoristico va di pari passo con le evoluzioni sociali e tecniche che vedono, nel corso del Novecento, la messa in crisi del concetto di soggetto. L’anti-hegelismo del primo Deleuze, sempre in cerca di una negazione totale per uscire dai poli della dialettica hegeliana, ma invece attento alla differenzialità del soggetto intesa nei termini di immanenza, torna nella capacità creatrice che restituisce alla musica proprio questa condizione di negazione della dialettica a vantaggio di un processo continuo in un territorio, quello dei suoni liberi e liberati, che è già al di là del montaggio e sposa, invece, un processo di “struzione” (J. L. Nancy) dove ogni elemento sconfina nell’altro senza soluzione di continuità, senza assemblaggio dei materiali, ma con mescolanza diseguale, caotica e improvvisa. L’universo così inteso, a partire dal manifesto di Russell, è di per sé eticamente scettico, fondato sul dubbio e sulla messa in crisi di ogni sapere, concentrato sulla pluralità dei beni e delle prospettive. In questo contesto, per Russell, la domanda fondamentale è di tipo esistenzialista: “Cosa sceglierai di fare?”. L’angoscia della scelta, nel contesto di una libertà sconfinata, affligge l’esistente e lo fa ancora di più con l’uomo contemporaneo. Russell, come Zerzan, riconosce, invece, questa libertà totale dell’esperienza sonora come parte integrante delle forme popolari. “La musica libera fa tanto parte delle forme popolari tradizionali […] LaMonte Young non è stato ammesso nel pantheon del classicismo – per espandersi ora nell’infinito” (B. Russell). Sotto attacco è, allora, la tonalità che nella musica popolare, invece, esula dalle gabbie grammaticali per farsi libera e indipendente, mobile e mai doma. Ancora, qui, Russell e Zerzan vanno di pari passo; proprio Zerzan collegava l’esperienza della tonalità a quella della totalità. LaMonte Young nel Sessanta affermava la necessità di lasciare essere i suoni ciò che sono. Per Russell, dunque, suono e rumore non sono colti nella tradizionale dicotomia bensì il rumore si dà come una sorta di pattern che accoglie anche le sfaccettature del suono. Il The free noise manifesto, scritto nella forma decimale del Tractatus di Wittengestein è proprio a questo che si richiama, alla realtà processuale dei fatti come susseguirsi di stati di cose, dunque stati d’azione, al non detto come confine del linguaggio da cui farne affiorare un altro.

 

 

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