André Robèr, Zékli zékla (Poèmes visuels 2016-2017) / Nuire. Art textuel et poésies visuelles
by Francesco Aprile
2017/12/23

André Robèr, Zékli zékla. Fonnkèr pou lo zié (Poèmes visuels 2016-2017), Ille sur Tet, Editions K’A, 2017

Nuire. Art textuel et poésies visuelles, #3, Ille-sur-Tet, Editions K’A, 2017

Due libri, entrambi dati alle stampe in Francia in questa fase finale del 2017, entrambi hanno come punto focale le dinamiche dei linguaggi verbovisivi. Figura centrale per le due pubblicazioni in questione è quella di André Robèr, poeta, poeta visivo, pittore, editore, agitatore culturale con trascorsi dallo spiccato impegno politico. Dunque, due libri; il primo, è il terzo numero della rivista Nuire. Art textuel et poésies visuelles, il secondo è il volume Zékli zékla. Fonnkèr pou lo zié (Poèmes visuels 2016-2017) di André Robèr, entrambi usciti per i tipi delle Editions K’A, casa editrice fondata a Ille sur Tet dallo stesso Robèr nel 1995.
A legare i due libri è la figura di André Robèr, poeta, poeta visivo, pittore, gallerista, editore, ideatore di riviste, agitatore culturale, nato nel 1955 a La Plaine des Palmistes (Reunion), il quale ha diretto, dal 2010 al 2014, la rivista «Art & Anarchy» e sempre nel 2010 ha fondato la galleria (13) Treize a Ille-sur-Tet; dal 2013 è ideatore e direttore della biennale di poesia visiva di Ille-sur-Tet con la quale, fin dalla prima edizione, ribadisce l’imprinting politico della sua attività curatoriale, oltre che letteraria e artistica, dedicando la biennale, nell’edizione 2013, al tema politico dell’utopia, “Qual è la tua utopia?”. Nel 1995 fonda le Edition K’A, mentre nel 2016 la rivista «Nuire» con Daniel Van De Velde. Ha militato nel Partito Socialista Unito (PSU), lasciato poi nel 1981 per unirsi alla Federazione Anarchica al cui interno lavora sui legami fra arte e anarchia considerando la prima come mezzo di emancipazione. Dal 1985 al 1990 su Radio Libertaire ha condotto programmi dedicati alle arti visive con il fine di avvicinare gli artisti al pensiero anarchico; all’interno di tale radio si dedica all’attività organizzativa che culmina con la mostra “Arte e Anarchia” nel 1991. Del suo lavoro di elettricista si trovano chiari segni nell’attività artistica e poetica che prende avvio grazie al riutilizzo di materiali provenienti dai cantieri, quali resine, componenti elettriche ecc., al punto che l’importanza della condizione lavorativa è articolata nella rottura dei legami referenziali fra testo e immagine al fine di costruire un discorso politico indirizzato alla messa in opera di nuovi legami fra testo e immagine.
Il volume “Poèmes visuels (2016-2017)” si porta addosso quanto appena scritto, dall’esperienza lavorativa, i cantieri, il lavoro subordinato, i materiali di risulta, l’ideologia politica, l’impegno, i legami fra arte e anarchia oltre che l’impasto linguistico tipico del luogo in cui Robèr nasce e cresce e che risulta caratterizzato dalla lingua créole réunionnais, una lingua creola a base lessicale francese. Elemento tipico dell’attività poetica dell’autore è infatti la scrittura in créole réunionnais. Molto importante nella sua formazione è il periodo che trascorre a Marsiglia dove entra in contatto con l’ambiente poetico della città francese, partecipando a festivals e mostre. Qui assume, nel suo percorso, maggiore consapevolezza la dimensione della lingua creola, tale da spingere l’autore a modificare il proprio cognome, creolizzandolo. Il lavoro poetico e artistico di Robèr si inserisce in quell’alveo delle ricerche poetiche francesi che con Chopin e Blaine tengono insieme l’afflato testuale e quello sonoro-performativo senza mai eludere la sfera dell’impegno politico. I lavori realizzati dal poeta francese nel biennio 2016-2017 testimoniano di un passaggio che l’autore effettua nel percorso poetico-visivo; la materia non è mai abbandonata, trionfa, anzi, anche all’interno di un discorso che della digitalizzazione e della poesia trovata fa luogo centrale della poetica. È proprio a partire dallo scatto digitale che si articola questa nuova pubblicazione di Robèr. Lo scatto e lo schermo della fotocamera concorrono alla messa in evidenza di un processo che tende a schermare il reale, raddoppiandolo; a molti scatti seguono, infatti, le manipolazioni degli stessi quasi a voler mostrare un prima e un dopo che permettono un ritorno al “reale” filtrato attraverso la manipolazione. Ma cosa ci dice l’autore con questo procedimento? Il reale dal quale parte e caratterizza il suo approccio, fin dagli inizi, è un luogo esperienziale oltre che di azione politica. La schermatura fotografica, come i meccanismi della visione nell’antro della caverna platonica, frappone una distanza, allontana l’immagine esperienziale che è sottoposta a processi intermedi quali la visione sullo schermo, lo sguardo dell’autore che pone in essere una soggettivazione, lo scatto e la cattura dell’immagine che sottolineano l’inazione e il rafforzamento della visione come momento regressivo dell’effetto-soggetto. Qui, l’intervento dell’autore, il quale manipolando gli scatti, operando quasi sulle coordinate di un morphing poetico-visuale, evidenzia un ulteriore processo di schermatura che frappone ulteriori distanze; il processo di distanziazione è smontato attraverso la rottura della referenzialità tradizionale che è ripresa nello scatto, restituendo invece una referenzialità inedita, uno scambio di relazioni fra immagini e parole, oltre che fra immagini e immagini, capace di svelare criticità sociali come quando ai materiali da lavoro viene associata l’invettiva politica “il presidente assicura che la democrazia è viva”. Il frequente riferimento di Robèr alla strada, ai muri fotografati e dai quali riprende lo spazio di una scrittura derelitta, in frantumi, ai margini del vissuto che nel suo lavoro appare quasi come una fine della scrittura, risulta spesso associato all’immagine stessa dell’autore il cui lavoro sull’identità è allo stesso tempo un lavoro sulla scrittura: dove questa smagrisce nell’abbandono dei luoghi di transito che, evidentemente, non interessano a nessuno sul piano “economico” (che oggi muove politiche e mercati) al punto da presentarsi come elementi residuali di una cultura al collasso, fa la sua apparizione l’immagine dell’autore accompagnata dal suo nome che sembra urlare un motivo di riappropriazione della cosa pubblica come momento culturale oltre che politico e vitale.
Dei due testi, il primo a essere dato alle stampe è stato, nel mese di settembre, il terzo numero della rivista «Nuire», organo di diffusione ed estensione della biennale di poesia visiva di Ille-sur-Tet, ma anche tanto altro. L’esperienza della poesia visiva, da sempre legata alla presenza effimera di stampe spesso in tiratura limitata, procede sulle pagine di «Nuire» che tentano di saldare l’effimero alla presenza di un’azione decisa che è incarnata dalla figura di André Robèr e dal suo percorso pluridecennale. In questo senso, il terzo numero della rivista, ospita una panoramica di ciò che ha rappresentato l’edizione 2017 della biennale di poesia visiva, dedicata, per questa edizione, a Joan Brossa, autore spagnolo del quale erano presenti diverse opere, sancendo di fatto un legame fra Catalogna, luogo di provenienza di Brossa, e Francia che oltre ad avere radici antiche, si pensi al rapporto che intercorre, almeno in una fase iniziale, fra catalano e provenzale (langue d’oc), mostra nell’azione di Robèr legami culturali con la tradizione libertaria e anarchica catalana. Troviamo sulle pagine della rivista un’ampia e interessante panoramica delle opere di Charles Pennequin che riflettono, attraverso l’utilizzo simbiotico di scrittura manuale e colore, il rapporto che intercorre fra essere ed esserci, dove nel procedere della scrittura Pennequin innesta una zona d’ombra che è data da un lato dal gioco logico-onomatopeico, dall’altro dal sovrapporsi di scritture dalle differenti marcature, per cui all’imponenza della grafia va a coincidere un residuo di scrittura che è dato dall’illeggibilità della stessa. Questo tappeto grafico è sovrastato da scritture, ancora una volta manuali, leggibili, che rendono manifesto il gioco dell’autore dove alla zona d’ombra deve sempre seguire un manifestarsi dell’essere che qui si dà in forma di scrittura. La materializzazione della scrittura procede con la serie di opere di Jean-Francois Bory dove la parola non è più scritta, ma evocata nella oggettualizzazione del libro eletto a zona di guerriglia; soldati sulle pagine, elicotteri sorvolano il cielo, Bory mette in scena una semiologia della guerriglia dove l’esperienza poetica è eletta a segno di protesta. La serie “Dédé” di Hélèn Peytavi presenta uno stretto rapporto fra poesia segnica di derivazione urbana e poesia trovata, dove ai segni rapidi e decisi che rimandano al graffitismo urbano seguono fotografie di scritture murali e delle scritture manuali della stessa Peytavi incollate sui muri di Parigi. La ricognizione sulla poesia visiva francese prosegue con le opere di Rémy Penard, fra timbri e francobolli d’artista, dove la texture della “parola” è ridotta al rigore formale di geometrie semplici e decise che esaltano il testo nella gestione dello spazio. Sul piano della sottrazione si collocano i percorsi di Miguel Jimenez (fra bruciature e cancellature), Jurgen Olbrich (poesie concrete in cui il rigore formale della composizione opera tagli improvvisi nello scorrimento del testo), Luise Mendes (la cui opera presenta cancellature che agglutinano la composizione in base alla diversa densità del tratto), Rod Summers (dove etichette decontestualizzate risultano frammentate e associate a oggetti differenti). Seguono il code poem di Heric Hoarau e una serie di poesie visive di André Robèr successivamente pubblicate nel volume “Poèmes visuels (2016-2017)”. A chiudere il volume un dossier sulla poesia visiva giapponese fra composizione musicale della pagina (Shin Tanabe), l’esaltazione dell’oggetto come massima espressione dello spirito creativo da parte di Kikuji Haji e Misako Yarit, il progetto Brain Cell di Ryosuke Cohen, la degenerazione come genesi della scrittura in Mukai Shutaro che sfocia in forme selvagge di asemic writing.