Preterizioni verbovisive
by Lamberto Pignotti
In una società gremita di immagini e satura di parole, la prima e più istintiva cosa che viene in mente è quella di fare un po’ di vuoto e un po’ di silenzio. Quanto alle immagini c’è poi più bisogno di immaginarle tranquillamente che di riceverle come pugni negli occhi. Per dirla con Gillo Dorfles sarebbe ora di recuperare l’”intervallo” perduto”, vale a dire quel fattore isolante tra opera e spettatore, tra opera e opera, che negli ultimi decenni è stato indubbiamente scalzato, frantumato, annullato. “L’horror vacui, scriveva Dorfles, dovrebbe essere sostituito dall’horror pleni”.
“A fare un poco di vuoto fra le parole”, aveva scritto nel 1980 Egidio Mucci, valente critico e oculato lettore di poesia visiva, prematuramente scomparso, “Pignotti aveva cominciato ai primi del Settanta con le ‘poesie invisibili’, seppure esse fossero state subito concepite deliberatamente per brillare per la propria assenza: c’è sempre stato un attestato un documento, una traccia, una indicazione, che le rivelava.
Ad esempio il telegramma inviato da Roma in data 1/8/1974 per una manifestazione organizzata dalla galleria ‘Punto Zero’, a Martina Franca. Il testo riprodotto poi sulla rivista ES, numero 3, 1975, diceva: ‘Impossibilitato intervenire invio poesia invisibile. Lamberto Pignotti’. Egli ricorda altresì che un giorno, facendo seguito a una lettera annunciante invio similare, gli organizzatori di una mostra gli scrissero di non aver trovato nella busta nessuna ’poesia invisibile’… Gente di poca fede!
Tuttavia vere e proprie poesie invisibili sono apparse tramite svariate modalità indicative, esposte alla parete e riprodotte in catalogo, in esposizione in Italia e all’estero. Il fascicolo del ‘Verri’, numero 13-16, 1979, ad esempio ne ostentava addirittura una in copertina, al cui spazio bianco rimandava la prima voce del sommario”.
Fin qui il brano del testo di Egidio Mucci apparso nel contesto di una mia cartella intitolata appunto “Visibile invisibile” e pubblicata allora da Campanotto. Ma anche le mie più recenti esperienze, pur poggiando sull’idea di poesia visiva, un’idea molto più larga e complessa di quella entrata ormai nell’uso, perché tuttora in divenire, tendono a suggerire e anzi a evidenziare, attraverso l’affiorare di segni visibili, i tratti invisibili di una composizione.
I vuoti che danno luogo a scene di visibilità ridotta o di in-visibilità, con modalità retoriche che si rifanno alla figura della preterizione, suggeriscono evidenti parallelismi con le parti andate perdute di antichi affreschi, con le raschiature di remoti palinsesti, con le pagine bianche di autori anomali, con fumetti e vignette senza parole.
Di conseguenza queste esperienze possono essere lette come pretesti di una civiltà di parole e di immagini che è in via di estinzione, che va in decomposizione, che diventa “visibile invisibile”, e quindi come possibili prefigurazioni dell’apocalisse, ma anche diversamente come l’attuarsi di un processo inverso in cui le lacune e i vuoti vanno, davanti all’occhio dell’osservatore, progressivamente riempiendosi.
Vent’anni dopo il battesimo della poesia visiva, Argan proclamava sull’”Espresso”, numero 11, 22 marzo 1981, e proprio polemicamente nei confronti di tutte le altre “Linee della ricerca artistica in Italia 1960 1980” presenti quell’anno nella maxi-rassegna del Palazzo delle Esposizioni di Roma, che “la poesia visiva è l’esperienza oggi più importante e anzi è l’arte del futuro”. Profezia avverata?. Previsione confermata? Ma forse siamo piuttosto davanti a un processo naturale, in un’epoca che, sazia di immagini, non può che essere “riscoperta” da poeti e scrittori sazi di parole.
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