Patch panel #2 – L’inganno ontologico dei media e i capelli di Mattarella
Antonio F. Perozzi
Come è noto, i media sono strutturalmente incapaci a intercettare il fatto rilevante. Strutturalmente – nel senso che proprio in quanto media sono destinati a stare altrove, mediare (appunto) invece di essere, fallire l’aderenza a ciò che si vuole raccontare. Basta osservare la storia, del resto, per rendersene conto: nessun reporter era sul posto nel momento della risurrezione di Cristo (motivo per cui ancora oggi la faccenda del masso ci pare piena di incongruenze); Colombo ha scoperto l’America disobbedendo alla cartina geografica; e dell’unica volta in cui l’uomo ha cercato di fondere davvero evento e narrazione – mi riferisco, è chiaro, allo sbarco sulla luna – non abbiamo prove realmente convincenti. Proprio per colpa di una presenza pervasiva – ovvero sospetta – dei media di fronte all’evento.
Tracce di questa mediazione – che illude di informare e invece intralcia la conoscenza della realtà – ne troviamo in tutta la storia della letteratura, la quale non è altro che lo sforzo umano di affrancarsi dal linguaggio mediale. A esempio prendiamo questa prosa di Angelo NGE Colella (2021):
Il giornale di quest’anno continua a scivolare, come le finestre dalle case. Eppure va tenuto aperto ai lati della testa, come le borse sotto agli occhi. Prima di scendere a comprare il pranzo cerco la pioggia perché sta per iniziare un ombrello. Provo a mettermi in tasca il giornale di quest’anno, ma non trovo più la tasca. Solo quando la trovo mi accorgo che quello non è il giornale di quest’anno ma un cuscino, e che quella non è la mia tasca ma una coda nera, perché sto guardando un’altra persona. Il marciapiede non si è ancora scongelato, quindi ci vorrà ancora un po’ per mangiare. Torno su, gli scalini sono tutti contratti per il freddo. Lei mi raggiunge in bagno, guardiamo il mio volto nello specchio e come sempre lei gira la pagina prima che io finisca di leggermi.
Come si vede, in Colella il «giornale» – primo e antonomastico medium moderno – «continua a scivolare»: nel momento stesso in cui è presentato al lettore, il medium si allontana da lui, si fa viscido, inaffidabile. Il surrealismo tipico di questo autore, poi, complica ulteriormente la questione, elevando l’inafferrabilità del media a legge universale. Anzi, potremmo dire che è lo stesso «scivolare» del medium a determinare la surrealtà (uno scivolare, a sua volta, di ciò che convenzionalmente intendiamo come reale) e a consentire così tutta una serie di coincidenze tra nominazione e sparizione: appena compare, la «tasca» subito non si trova più; il giornale è «un cuscino»; al «marciapiede» sono attribuite caratteristiche che razionalmente non gli attribuiremmo (essere «scongelato», avere a che fare col «mangiare»); lo stesso soggetto si verbalizza e sfalda («prima che io finisca di leggermi»). In quanto medium, insomma, il linguaggio distrugge le cose proprio nel momento in cui le nomina.
Un meccanismo deontologizzante di questo tipo, dunque, non può che rendere il medium perennemente impreciso, falso a se stesso, assente di fronte alla storia. E in quanto storia, anche il cosiddetto “periodo pandemico” non è stato risparmiato – a cominciare proprio dal suo nome. Il puzzle di media in cui siamo immersi ci ha infatti abituati, ormai, a chiamare il biennio 2020-2021 come “periodo pandemico”, espressione che individua il fatto rilevante dell’epoca nella diffusione del Covid-19. Tuttavia, con Colella, abbiamo capito che i media mancano sistematicamente il bersaglio; e se mettiamo meglio a fuoco tutta la vicenda, infatti, ci rendiamo conto che – perlomeno sul piano antropologico-filosofico – il vero fatto rilevante del biennio non è stato affatto il Covid-19. Bensì l’inadempienza del barbiere di Sergio Mattarella.
Mi riferisco – ma so che i più attenti ricorderanno – al fuori onda di cui è stato protagonista il nostro Presidente della Repubblica il 27 marzo 2020; evento rapidamente memizzato sui social ma altrettanto rapidamente caduto nel dimenticatoio (proprio in virtù, ça va sans dire, dell’ontologica fallibilità dei media)[1]. Soffermiamoci quindi un attimo su questo documento, evidenziandone le caratteristiche fondamentali. Anzitutto, il testo: Sergio Mattarella, in procinto di registrare il suo messaggio, si interrompe, viene redarguito sullo stato dei suoi capelli e risponde con un laconico «Giovanni, non vado dal barbiere neanche io». Poi, gli attanti: il Presidente della Repubblica (che si sente e si vede), Giovanni Grasso (alias il Redarguente, che si sente ma non si vede), il barbiere (che non si vede e non si sente). Infine, il contesto: non tanto il discorso alla nazione, quanto – ecco il punto – il backstage, il suo retroscena, ciò che concorre alla creazione del messaggio ma – proprio per questo – obbligato a non essere diffuso.
Si capisce già da questi dati, allora, la rilevanza (storica e ontologica) dei capelli di Mattarella, di cui possiamo ulteriormente evidenziare tre aspetti: 1) quanto ai personaggi, si nota come l’elemento *apparizione* sia indirettamente proporzionale all’elemento *importanza rispetto al plot*: l’Apparente puro è infatti anche il Subente (Mattarella è registrato da Giovanni, non pettinato dal barbiere, recita e non produce il suo linguaggio); Giovanni, il mediano, appare parzialmente (solo audio) e quindi agisce parzialmente (partecipa alla messinscena mediatica, ma, per contro, interrompe il messaggio); il barbiere – di cui significativamente non sappiamo il nome – è lo Scomparente puro, ma anche l’Attore assoluto (la sua non azione, sui capelli del Presidente, comporta l’interruzione del messaggio e la disfunzione del medium; 2) quanto al testo, di conseguenza, collochiamo l’origine narrativa del plot nella non-azione del barbiere, che è il non registrato, il non sceneggiato, nonché l’escluso sociale (Mattarella “non va” dal barbiere per via delle allora vigenti restrizioni pandemiche); 3) quanto al contesto, poi, l’errore di trasmettere in tv il fuori onda (che contiene a sua volta un fuori storia, ovvero il barbiere) svela definitivamente la fallibilità dei media: il riconoscimento dell’Apparenza (ventriloquo linguistico + artefatto decoro visivo + assenza del barbiere-origine) non può che essere trasmesso come errore, imprevisto, invece che come fatto rilevante – quale, al contrario, è.
Per rafforzare ulteriormente questa interpretazione, consideriamo ora quattro elementi, due opere e due esperimenti, tutti affermanti – ma in modi diversi – la fallibilità del medium o la sfasatura originaria di cui quella fallibilità è figlia.
[1] Il video integrale del fuori onda si trova qui: https://www.youtube.com/watch?v=uHMaE1Lm6fc
La prima delle due prove ci serve proprio in merito a quest’ultimo aspetto: buco di Giovanni Croce (2021) svolge infatti ruolo di banditore della generale inaffidabilità del cosmo. L’immagine di Croce ci presenta una realtà sfumata, ridotta a puro colore, dove il colore a sua volta non è un essente statico, bensì una dinamicità, la conseguenza visiva – anzi – della cinesi. Ma il titolo buco ci segnala anche altro: non solo la realtà come insieme di monadi è falsa e al suo posto occorre restaurare un’idea di contiguità e sfasatura tra le cose; in più, la sfasatura e la contiguità pertengono anche all’opposto della cosa, e cioè, appunto, al buco, che, in quanto varco o trapasso, svela la non staticità del reale, e, in quanto colorato, la sostanziale partecipazione dell’assente al reale (esattamente come nel caso del barbiere-origine). Come si vede, non siamo di fronte a un restaurato platonismo, per cui l’apparente sostituisce l’essente; siamo bensì di fronte alla compartecipazione di apparente (colore) ed essente (cosa o buco), cui i media, tuttavia, impongono una gerarchia ideologica che privilegia l’apparente all’essente (non cogliendo appunto mai la cosa in quanto cosa, e cioè, sul pianto storico, il fatto rilevante).
Il caso di Franco Panella, autore dell’altra opera che consideriamo, è ancora più specifico. Posta la realtà del buco – colorato e presente, apparente ed essente al pari della cosa – Panella ci occorre come applicazione di questo concetto al medium. Il suo LibrOrbe – Ondarossa (2021) interviene su uno dei media più antichi in assoluto, e cioè il libro. Di questo, Panella conserva idealmente le logiche essenziali (leggibilità, oggettualità, carta, grafia) ma le destruttura del tutto sul piano fattuale. Anzitutto, l’oggetto-libro non segue più il suo formato standard (quadrangolare), bensì implode e si circolarizza; la carta non esiste più in quanto pagina (cioè in quanto supporto per la grafia) ma in quanto elemento aggiunto alla grafia stessa, che, perso il supporto, si sparpaglia a sua volta, occupa indifferentemente ogni spazio e diventano asemantica; la leggibilità, di conseguenza, è interdetta nella sua linearità, e l’oggetto-libro è esperito in quanto pura presenza, tridimensionalità, vertigine entro cui guardare. E cioè, fondamentalmente, in quanto buco. Il medium più antico, con Panella, confessa la propria disfunzionalità e capacità dislocante.
Ma ancora più delle opere fanno gli esperimenti, che sono anzitutto (etimologicamente) esperienza di qualcosa, conoscenza fisica. Per verificare empiricamente le conclusioni di Croce e Panella ho dunque condotto due prove, una di taglio più generale sulla sfasatura come ordine del mondo e una più specifica sulla fallibilità del medium.
Quanto al primo aspetto, il gioco è stato semplice: ho preso un oggetto della mia stanza (la scelta è ricaduta del tutto casualmente sulla caffettiera) e l’ho sottoposto al suo uso – da intendere anche come suo schiudimento storico, suo naturale divenire, di cui l’ottenimento della funzionalità cercata, l’usato, rappresenta a tutti gli effetti il fatto rilevante. Ebbene, mentre la osservavo (e cioè mentre costruivo una narrazione, benché solo mentale, della sua storia; ovvero mentre la mediavo con il significato applicato ad essa dal mio sguardo), la caffettiera ha prodotto solo metà del caffè che mi aspettavo, e cioè ha parzialmente fallito il suo obiettivo, disobbedito all’escatologia prevista e, di conseguenza, distolto la mia attenzione di osservatore e mediatore linguistico-simbolico dal fatto rilevante (meglio noto come caffè). Tutto ciò, per una semplice ragione: l’usura (vedi: l’uso-storia che diventa ferita invalidante) obbliga la caffettiera a perdere acqua sul lato destro, a non compiersi. La caffettiera, insomma, ha un buco – e il cosmo è così confermato come una compresenza paritaria di pieni e vuoti.
Più specificamente sulla questione dei media ho invece tentato questa verifica: il giorno 18 novembre 2021, alle ore 13:25, ho registrato con il mio smartphone ciò che tutti abbiamo sentito alla fermata dell’autobus di Fossalta di Piave (VE). Ovvero – e questo è il punto – nulla. Assolutamente nulla. Se ascoltiamo l’audio notiamo infatti come esso si strutturi in un bordone (composto da una poco chiara musica commerciale e lievi fruscii che possiamo immaginare ventosi) attraversato da sei accadimenti (simili – ci lascia intendere il suono – al rumore di motori accesi che percorrono una strada). Ebbene, in quanto bordone sommato a sei accadimenti (omogenei fra loro per intensità, ripetuti secondo intervalli di tempo grossomodo uguali e, infine, in numero pari), la registrazione si dimostra regolata secondo i criteri del ritmo, dell’ipnosi, della ripetizione e dell’ambiente; e, cioè, secondi i criteri diametralmente opposti a quelli del fatto rilevante, che richiede invece la singolarità, la riconoscibilità individuale, la conclusione (storica) e il tempo. Insomma, nel momento in cui ho registrato – e, cioè ho cercato di mediare, di desumere dalla realtà un racconto – il fatto rilevante mi si è celato, e l’esperienza del mondo si è tradotta in un flusso ripetitivo dislocato a se stesso.
A questo punto potremmo pensare: ci siamo spinti troppo all’interno del buco della realtà? La risposta è: può darsi. Ma la sistematica sparizione della rilevanza nel momento stesso dell’apparizione del medium (o forse – azzardiamo – del linguaggio tout court) ci spinge a convincerci di un altrettanto sistematico aut aut tra racconto e cosa. E a ritenere, infine, i capelli di Mattarella il vero vertice umano degli ultimi due anni. Con la loro imprevedibilità sostanziale, la loro tre volte grande lontananza dai media, la loro rivolta.