Eva Mustang: la catarsi in Nairoe
by Antonio Merola
*
Il poemetto che qui pubblico, grazie allo spazio che mi offre Francesco Aprile, non è di mia invenzione. Chi è l’autore o l’autrice? Non lo so. Quando è stato scritto? Non so neppure questo, ma nuovo non è. Di che cosa tratta? Sembra un romanzo cavalleresco al contrario. È la Storia della Valchiria Eva Mustang, che con un esercito di clown è in cerca di un mondo che non c’è. Ci si sposta da un capo all’altro del mondo, senza una meta. Siccome nemmeno Eva Mustang crede all’esistenza di un mondo altro, ha deciso per precauzione di tagliarsi le vene. La sua ricerca è quindi una ricerca ultima. Potrebbe vedere ciò che cerca oppure accorgersi che ciò che cerca non esiste: in entrambi i casi, non ci sarà altro che vedrà poi.
Eva Mustang: la catarsi in Nairoe
We rest. ― A dream has power to poison sleep;
We rise. ― One wandering thought pollutes the day;
We feel, conceive or reason, laugh or weep;
Embrace fond woe, or cast our cares away:
It is the same!
– Mutability, P.B.Shelley
A Eva
I.
Ridevano – oh, se ridevano! – funebri pagliacci in corteo, le vene dei polsi recise per tre quarti giù come sangue-Niagara sulla via del cosmo,
sangue abbandonato caduto su un fianco,
e dietro le prefiche, le prefiche! grida isteriche! E la notte che incombe vermiglia.
Se ridevano! Oh, saltando qua e là tutti nudi in moltitudine di rossi pon-pon e cazzi erti davanti la Falce e trucco-lacrime sbavato che colava giù
nell’abisso di Atlantide, gridando:
– A Bogotà! Si va a Bogotà!
– Per di qua, signori! Per di qua!
– Vita breve a Eva Mustang! Eva Mustang, nostra Valchiria!
E la notte imbruniva dietro il corteo, e tutti ridevano, oh se ridevano! E il sangue scrosciava, scrosciava,
e il sangue scrosciava nell’aria
quando volai giù dal Parnaso, giù per l’autostrada Epizoozie irrorata di sangue.
II.
Camminammo per giorni fino al Monte Hacho e lì ci fermammo
per ordine di Percy Bysshe,
clown-capo,
e lì ci fermammo davanti agli abissi, i pagliacci alla rinfusa sfidando l’Oceano:
– Guaderemo al Jebel Musa – ridendo gridava,
– Passeremo il Jebel Musa, è la via meno amara!
Quando ecco una carovana con sopra una bara con dentro una tiara e due seni, e sotto la tiara due occhi sereni,
quando ecco Mustang che arrivava con gli occhi-veleni, con gli occhi ameni-
mascara d’incanto,
– Oh Bysshe, leggiadro – il pagliaccio in ginocchio con un mazzo d’acanto,
– Al nuovo arrivato,
tagli le ali!
E dietro, i ciprini dorati a milioni in ampolle di fiele e canto di gioia clownesco, il buio-morte accampato al confine,
la vidi salire su Abila, prima di svenire in un rantolo,
la vidi donare di nuovo
i pesci a blu-Atlantico,
sussurrando con angoscia: – Valchiria…
III.
Mi svegliò un getto d’acqua salina,
dall’acqua saliva un lezzo di marcio,
clown dissanguati galleggiavano il piatto,
piatto e calmo Oceano dal basso
salendo
scie rosso-denso di sangue. Steso di petto sopra un delfino, col capo chino
vidi la notte che ci seguiva, ancora e ancora,
lì all’orizzonte, oltre l’Aurora
e subito sentii un tocco alla schiena, e vidi Eva – con baci cuciva –
Eva Valchiria l’assenza d’ali.
– In balìa dei mari e tu dormi per ore… – sentivo il suo afrore traverso le gambe,
– Bevi il mio sangue, ti farà bene, bevi il mio sangue, oh cavaliere! Guarda i ciprini.
Seguivano il branco i clown sui delfini, uno stanco beluga chiudeva la fila…
Cinquantamila, se non di più, come atolli sul mare
immenso di blu,
contro il senso della corrente e sempre la notte più in là.
– Dove si va?
– Giù a Bogotà, lì voglio andare.
– Potevamo volare, per Dio! Le mie ali…
– Guarda i ciprini, io li ho salvati!
– Ma le mie ali, le mie ali hai tagliato!
– Oh, sfortunato! Da oggi sei mio,
bevi il mio sangue, bevi il mio io.
IV.
A poche ore da Bogotà, chiamò un narvalo a sé Eva Mustang:
– È una prova d’amore, d’amore per me,
taglia la vena e dopodiché, per mia mercé
entrerai nel corteo, per mia mercé l’anfibio Proteo salterà il pasto,
ohimè, ohimè!
Eccomi al bivio tra morte e vita, accolta la sfida recisi col corno:
– Valchiria per te.
La notte saliva, moriva il giorno.
V.
Sbarcammo la costa al tramonto,
ovunque gli umani coi thomahawk
ci corsero addosso, ci corsero addosso!
– È tutto uguale! È tutto uguale! Nessuna pietà, oh miei clown!
E fu un grosso cozzare…
– È tutto uguale, oh follia occidentale, follia occidentale!
VI.
– Sono morti a milioni nel mare e poi qua,
e morremo comunque per via delle vene!
Piangevo le sere per Bogotà, laggiù
oltre il mare sereno e vedevo
e credevo in questa terra lontana, via da una fiumana di angosce, via dalla notte
che ancora m’insegue.
Oh, cavaliere! È tutto uguale, qui come allora
il male m’assale, è tutto uguale quaggiù…
Cadevano lacrime come deissi di sangue,
le dissi non piangere, ovunque è uno specchio,
mi disse non piangere più.
Ho appoggiato l’orecchio all’orecchio di lei
– insieme sentimmo il grido del mondo.
E patimmo i nostri visi che stavano per…
quando entrò Percy Bysshe.
VII.
– Eva Mustang, il nemico è alle porte,
Nostra signora, il nemico è qua fuori!
– Siamo agli albori dell’era nuova, date manforte oh mio Bysshe,
non ci resta che un’ora,
un’ora di vita per via delle vene… Oh Cavaliere, sapete,
siamo incatenati alla morte!
Gli occhi fissi su me.
– Che sorte ci attende? Tenente, salite sui tori,
marciate a Ponente come zefiro,
abbiamo fallito, oh mio Bysshe, qui non c’è niente!
Io e il Cavaliere siamo già brina…
– Regina…
–… Marciate a Ponente, vi ho detto! Affronteremo il nemico sulla collina:
non temete mio Bysshe, servo fedele, la notte è vicina,
molto vicina.
VIII.
– Il mio vero nome è Nairoe – mi disse,
rimasti soli.
– Il nemico è là fuori, sei pronto? – sorrise di contro al mio sguardo torbo
– Niente tori, d’accordo? Sarai morto in mezz’ora… esangue.
Osservo la Valchiria piangere, ancora,
la bambina più matura ch’abbia mai conosciuto.
Suonavano il liuto, sull’altura
quei clown, sulla sabbia gli umani
gemendo, i primi ridendo al destino.
– Mi sei stato d’aiuto, oh parnassiano,
prendi la mano e bevi il mio sangue,
bevi il mio sangue per l’ultima volta,
per l’ultima volta e poi andiamo!
IX
Nuda Nairoe sull’altopiano,
a un cenno di mano è carica-clown,
a un cenno di mano discesero i tori, con sopra gli uomini pronti all’impatto!
Sull’ultimo atto notte-morte splendeva,
sull’ultimo atto alta nel cielo,
la luna un gran cero di ghigno carnario, l’arcigno giorno si nascondeva.
E la faccia seria su Bogotà,
la faccia seria contro le Moire
errando colpi di qua e di là,
gridava al sole Nairoe:
– Come un manto mi prende la tua metà,
ma loro dovranno cadere con me!
Tu luce, mio re, mi hai abbandonato,
tu luce, mio re, molestato mi hai
di vacua illusione l’amore.
Quando ecco il calore lasciare Percy, sotto i riflessi
di spada nemica, quando ecco perita l’ondata di clown, l’ondata di clown senza la guida.
Disse Valchiria: – Morire sull’eremo, in un modo
o in un altro… – irosi gli occhi,
– … o fuggire – risposi,
guardando in alto: – Pegaso odo.
X.
Dalle tenebre nere discese un apodo animale,
dall’abissale suono nitrendo e le ali
smossero un vento
che ricacciò gl’altri umani lontano. Per mano la presi
sangue su sangue, sull’errante cavallo:
– Un ultimo ballo, Signora?
– Avessimo un’ora,
ci rimane un momento…
Superammo la coltre,
–. Oh, Eva…
e lei prese a baciarmi la schiena
ferita, la schiena ferita che aveva tagliato!
–Tu hai liberato il demone alato,
il demone alato ero io.
E pelle su pelle,
– Oh Terra, addio…
Facemmo l’amore oltre le stelle,
nell’eterna galassia del Tempo.
Lascia un commento