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Lucrezi | Inediti 2013 −2016

Inediti 2013 −2016
by Eugenio Lucrezi

Per specula

1

Da dove vieni, fratello nella nebbia,
figlio dell’indistinto, generato,
al tempo della vita capovolta,
da famigli spasmodici, impegnati
in una catastrofica frenata
che non finisce mai, se ancora suscita
erinni silenziose dalla polvere?
Lontanando, ti vedo nel contorno
di una beltà corrosa e smerigliata
dal soffio delle sabbie; tu, però,
non resisti. È tua natura
prendermi nell’incanto e per paura.

 

Dai bianchi marmi ti allunghi sulla luna?
                                                          a Luigi Ontani

Ontani, fin da dove, da quali
Onfali acquatici, strali
Privi d’arco, di mani,
Da quali (dico a te che sei figura)
Figure infigurate, decorate
Dal non avere gambe, non domani,
Da ginocchia soltanto, e ginecei
Montati su giunture siderali,
Cosmogoniche a Bali, e caserecce
Sulla luna soltanto:
A te, Ontani!
A te dico: mi dai, se sei gentile,
Un selenico bozzo, chessò, un guazzo,
Uno schizzo annacquato, un carboncino,
Un colore sorpreso, un ammenicolo
Che sia epperò appeso per le mani,
Per la cintòla, oppure per le trecce,
Alla pallida luna, che Keplero
Tutto tremante nominò Levania
Dopo ch’era già morto, e non già prima,
Per via della paura che lo prese
Del soave inquisir di Madre Chiesa,
Mossa al suo tempo, ferma e risoluta,
A riformare la chiesa riformata?
Ontani, sulla luna c’è da fare.
Nuotare non si può, però volare
Si deve, pure se
Lì non c’è l’aria che fa frullare l’ale.
Tu, figura che sei, dai bianchi marmi,
Da te condìti di luce di Faenza,
Atterra, se hai pazienza,
Usando le tue macchine volanti,
Su quelle valli non meno abbacinanti.

 

Due poesie scritte di notte e una all’alba
                                                         a Paola Nasti

 

Lapsi, lapsus

Destini arcobaleno, quale prono, quale
supino cadde, quale orante, quale
nell’asserzione di false verità
che ridette a profusione generano
confusione sotto ai cieli, sopra
lo scorciamento dei respiri. Quale
finestra al cielo? agli astri? quale tappo
alle buche, finale di emorragiche
scorrerie della voce? quale foce?

 

Autodafé

Feci da me e feci autodafé.
Un sorriso orroroso fu campana
ad una festa sconcia, durlindana,
din don del non risveglio. Chi lo sa
quale fine è migliore, se una luce
di latte nella notte, se una pece
nel giorno. Forse amabile
addirittura è perfino lo scorbùto
che alligna, e se la ride,
in un forte fortino. Dalla rocca
buttiamo insieme secchi di olio scotto
addosso a chi si arrampica.
Gridolini da sotto (…arrassusìa).

 

Katà! marrano

Lo so, il rimedio, lo seppi e lo sappiamo,
è andar per mare col catamarano,
se l’uno sta a sinistra, il due sta a destra,
se l’uno salta a destra, il due a sinistra,
se l’uno stalla, il due va di bolina,
se al due va a genio la stella mattutina
– venereo lume che scalda l’orizzonte,
l’uno impazzisce per quella serotina
– sollievo al sol che fe’ bruciar la fronte…

 

Bussotti + Cage

La melodia trafitta è trapassata
quale annuncio del giorno, e del mattino.
Stride la corda, morde il martelletto
l’enormità del suono, percepito
dallo stuolo dei morti, cui fu detto
di tendere l’orecchio, di addolcire
con onde l’onda stretta del destino.

 

Doggystyle

Luce di un abitacolo prospettico,
richiama l’altalena dell’ingrosso
a un maggiore spettacolo. La molla
dei metri e dei minuti non si stanca:
è altalena d’infanzia.

È interrotto l’abbraccio − bada bene −
da un pontile di quelli che traballano:
in questa aeternitate nulla è saldo.

Repetita, purtroppo, fanno piccola
la testa più del culo, ma quest’ultimo
resta animoso amore più del resto:
se sopra esalano, ben miseri, gli spiccioli
dei più fiochi richiami; se più sotto
il pavimento è sporco dei coriandoli
della festa finita, da spazzare
in una fretta stanca, doggystyle.

 

Smarrire tutto, innanzitutto il senno
  a Paola e a Marzio, stilo contro stilo

Smarrire tutto, innanzitutto il senno:
questo è l’itinerario, ben tracciato,
non dei soli sonetti, che sennò
sarebbe sperdimento limitato.

Di più, e invece, è faccenda illimitata.
Perso, son perso. Ho la suola bucata:
il senno scola giù che è una bellezza,
il Logos non è più, resta Sciocchezza.

La Chinina lo sa, lo sa il Marziale.
Mi sono entrambi intrinseci e col pianto
Espungono una pena non parziale.

Si deliziano entrambi, d’altro canto,
del mio fumante plot caratteriale,
in cui si avvoltan, come fosse manto.

 

Come mamelucchi

Tra i versi inveterati dell’adulto
ed i coriandoli ardenti e cinerini
del ragazzo che brucia la poesia
sull’altare di marmo del domani
corrono dunque le buche e le montagne,
i saliscendi incomodi e perversi
delle abilitazioni e dei corricoli,
di sbadigli, e malizie, e disincanti?
Nei vicoli senz’aria, ricacciati
dagli echi cavernosi dentro tane
già vestite da tomba, secerniamo
parole che si ammantano di rasi,
di porpore, di lini e di broccati.
Così abbigliati, come mamelucchi,
i versi fanno il verso ai bistri, ai trucchi,
per arretrare prima del discorso,
per avanzar nel dopo, o nell’avanti
(ma siamo balbuzienti, non infanti).

Fate a gara di fiocchi, la remota…

2

Fate a gara di fiocchi, la remota
e tu che ti disperdi nel pulviscolo
di un’occhiata di sfida, consegnata
al tempo cavaliere. Signorine
che incrociano gli sguardi quasi fossero
lame senza più filo del discorso,
ma non meno feroci che se mai
si fossero incontrate nel cortile
di un mattino di sangue. Forse ieri,
forse dopodomani o l’altroieri,
l’indeciso del tempo è la pazzia
della vostra bellezza, la carezza
che rinasce già morta, consegnata
a questa rara pagina seppiata,
da te, da me, da lei disabitata.

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2 commenti

  1. bruno di pietro

    molto belle.
    meritano un commento dopo una lettura più attenta.

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