Attraverso la parola
by Alfonso Lentini

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Attraverso la parola gli esseri umani riescono a manifestare la complessità del loro pensiero, ma nello stesso tempo scoprono i limiti della loro natura, in quanto le parole in sé non sono in grado di dare forma verbale compiuta a certi territori dell’esistenza, ai lati oscuri, alle pulsioni inconsce, agli azzardi concettuali verso i quali pure l’istinto umano ci conduce. In questo senso la parola è l’elemento rivelatore della condizione umana in tutta la sua drammaticità perché attraverso i limiti della parola prendiamo coscienza dei limiti della nostra natura. Se persino nelle forme più alte di poesia ci si scontra prima o poi con qualcosa che “significar per verba / non si poria”, se esiste una barriera semantica oltre la quale la natura umana non è in grado di spingersi, se la lingua può essere falsificata e resa “inoffensiva” dal suo uso serializzato, se il linguaggio massificato o mediatizzato asseconda il linguaggio del potere, allora bisogna giungere alla conclusione che la comunicazione e di conseguenza la scrittura sono armi a doppio taglio, elementi problematici. Il gesto dello scrivere, che avvenga sfiorando con le dita una tastiera digitale o intingendo una penna d’oca nel calamaio, è comunque un rischio, un’azione perigliosa, una sfida.

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Nelle mie sperimentazioni espressive, e in particolare nei lavori verbo-visivi, opero con l’intento di dar “corpo fisico” alla parola, esplorandone la natura materica, gestuale, oggettuale, cercando cioè di fare emergere la forza del significante a volte anche a scapito del significato, nella convinzione che la parola nelle sue mille potenziali aperture semantiche sia ante-rem, venga cioè prima della cosa a cui si riferisce. Le mie sperimentazioni tendono allo sbilanciamento, ricercano un diverso equilibrio fra la parola e l’immagine e intendono rappresentare la parola come oggetto fra gli oggetti, cosa fra le cose.

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L’arte è cannibale, mangia sé stessa e mangia anche il mondo. Lavoro spesso con oggetti sottratti alla quotidianità, materiali di recupero, pezzi di mondo su cui intervengo per provocare mutamenti di senso e di prospettiva. E siccome l’elemento distintivo di noi umani è la parola, provo a far interagire questi pezzi di mondo con pezzi di parole, sperimentando un uso materico della scrittura, un po’ come è adombrato nel celebre “Indovinello veronese” del XIII secolo, una delle più antiche testimonianze della lingua italiana, dove l’azione dello scrivere è paragonata al duro lavoro fisico di un contadino che ara i campi. La scrittura, in quelle che chiamo “poesie oggettuali”, diventa gesto, sedimento dell’esistenza, indica la volontà di incidere un solco, lasciare una traccia biologica di ciò che siamo, un graffio diverso.

Tutto questo implica un atteggiamento “polemico” verso la realtà così com’è, vuol essere un invito alla trasformazione, a smascherare le mistificazioni percettive, dunque uno stimolo a sviluppare strumenti critici a tutto campo.

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Sono attratto da ogni forma di espressione irregolare: la scrittura caotica, il nonsense o il gioco pre-dadaista della Patafisica, la scrittura frammentaria (e frammentata) che dilata la valenza dei vuoti e delle mancanze, gli accostamenti spiazzanti, il lavoro di cesello che valorizza il particolare rispetto all’insieme. Mi piace insomma generare incongrue rêveries e far sì che gli oggetti, le “cose” che a volte prelevo direttamente dalla quotidianità e assemblo nei miei lavori visuali generino significati inattesi. E non temo le derive asemantiche.

Ma questo insistere sulla scrittura come azione fisica, anche se sposta l’attenzione dal significato al significante, non ha mai voluto essere, nel mio caso, una pura esaltazione della forma o della crosta esterna della parola. Al contrario, ho voluto avviare una riflessione sulla “forza”, ma anche sulla “debolezza” della parola, senza mai perderne di vista la centralità.

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