Obiter dicta (parlando a caso)
by Kiki Franceschi

 

In Europa prima del 1914, gli artisti avevano inventato stili moderni, pieni d’energia creativa, come il fauvismo, il futurismo, il cubismo, l’espressionismo, l’orfismo. Tutti questi movimenti, sebbene diversi nell’espressione e nei risultati nascevano da un’identica volontà. Si dipingeva non per raccontare un dato argomento ma per la voglia, la gioia di dipingere. Famosa è la frase di G:Braque:” il pittore crede nella forma e nel colore, non si propone di ricostruire un fatto anedottico ma di costruire un fatto pittorico.”
La pittura era sganciata dalla necessità di raccontare, di essere fatto letterario quindi, riaffermava l’autonomia delle forme e dei colori, il dipinto era un’avventura a sé, una faccenda di colori e forme e superficie.
L’intuizione di Braque è alla base della pittura moderna. Essa sottintende che l’arte precede ogni teoria e la teoria quando c’è, è opera degli stessi artisti che la formulano ogni volta che sentono il bisogno di chiarire i motivi della loro poetica, per fare ordine, per organizzare quelle sensazioni ed idee che sentono prepotenti dentro di sé.
Dagli anni trenta ad oggi quest’ordine, questo principio basilare, è stato capovolto, prima dal fascismo poi dall’ideologia di sinistra che ha dominato la nostra cultura dal dopoguerra in poi, articolandosi nei diversi campi dell’espressione. Secondo gli ideologi del potere gli artisti dovevano trasformare la loro arte in arma della propaganda di regime. Il futurismo negli anni trenta era esperienza ormai superata nei fatti, lo stile del periodo era il realismo sociale, anche se, per reazione proprio in quegli anni nascevano le varie scuole astratte, espressione della volontà d‘autonomia del pensiero artistico, il gruppo milanese del Milione, i vari gruppi romani ad esempio.
I critici creavano teorie convincenti per divulgare i valori rappresentati nelle opere, l’arte non era quindi da “vedere per credere”, ma prima di tutto si doveva “credere per vedere.” Intendo dire che la teoria inventata dai critici o dai propagandisti faceva si che si cogliesse nell’opera anche ciò che non vi era.( Processo che Tom Wolfe definisce inevitabilmente letterario e opposto ai principi della pittura moderna.)
Il movimento moderno ebbe inizio nei primi del 1900, con il rifiuto netto della natura letteraria dell’arte accademica,(e tutto il resto non è che letteratura..…) scriveva col giusto disprezzo G: Apollinaire. L’avanguardia di quegli anni rifiutava quindi quell’arte letteraria che era nata col Rinascimento e che era diventata il Vangelo visivo su cui confrontarsi.
Negli anni dieci erano apparsi Das Stjil, Dada, il costruttivismo e negli anni venti l’arte moderna invadeva il gusto corrente, era “chic” rubare le idee all’arte moderna: gli arredamenti, le stoffe, gli abiti, i mobili erano ispirati dal disegno essenziale, dai colori puri degli artisti contemporanei.
Anche oggi arte e moda sono i due volti della stessa moneta. Gli artisti strillano come rane nel pantano contro la moda ma non se ne distaccano. Perché?.
Qui bisogna affondare il coltello nella piaga. Sì perché da sempre l’artista è il saltimbanco del potere e ne è spesso cosciente con conseguenti lacerazioni interiori, perché vorrebbe essere” homme revolté”, antiborghese, “bohémien”. Cosicché abbraccia la contestazione dei cenacoli ma che è anche persona che ha bisogno del mondo, che vuole essere notato, spera di passare alla storia, vuole disperatamente essere qualcuno, qualcosa, un nome almeno per i galleristi, i direttori di musei, per i collezionisti…Deve insomma avere due facce, una da eretico, pronto a colpire il mondo dei quartieri alti, con la sua opera innovativa e il suo comportamento stravagante, e una faccia giusta per farsi accettare da quello stesso mondo, perché è quello che lo potrebbe consacrare alla gloria.
C’è anche chi mantiene intatta la propria convinzione, oltre le mode, e allora si trova a vivere da clandestino, non tanto per sfuggire alla minaccia metafisica della borghesia, ma dai suoi stessi colleghi, i sergenti istruttori della bohéme, gli esagitati artisti di sinistra. Meno male c’è chi anarchicamente manda a quel paese i sergenti istruttori e va avanti nella propria ricerca.
Per la gloria bisogna scendere a patti, seguire le mode imposte, accettare i compromessi. Da quest’atteggiamento l’artista riceve sempre una forma di frustrazione perché lui sa di barare, mentre il benemerito dell’arte, il collezionista, il banchiere, si sente benefattore dell’arte moderna, ha la sensazione di essere un compagno d’arme, aiutante di campo “o un vietcong onorario delle avanguardie in marcia nelle terre dei filistei.” Cito Tom Wolfe.”Il bluff dell’arte moderna.”
Tra l’artista ed il benefattore s’instaura un doppio rapporto di salvezza. Onore e gloria da una parte, dall’altra il denaro è riciclato nell’arte, si nobilita con l’arte, perde l’odore di Moloch e Mammone.
Nel passato, se un riccone voleva esibire le insegne del suo potere economico, si comprava una cappella mortuaria. Ora si compra un quadro, pagandolo cifre esorbitanti- più lo paga più egli è potente- anche se di quell’opera che ha acquistato non sa niente.
In questa partita, il pubblico non c’è, non c’è mai stato. Il gioco si fa senza spettatori.
Il mondo dell’arte è monade chiusa e ristretta al limitato numero degli artisti e dei consumatori d’arte del bel mondo. Non è vero che la gente ignori, non capisca, disprezzi l’arte. Il fatto è che non gliene può fregare di meno.
I giochi sono già fatti prima che il pubblico sappia cosa succede. Ed è lo stesso pubblico che va ai musei, si mette in fila per vedere l’ultima opera restaurata, la “dama con l’ermellino” di Leonardo, o il capolavoro ritrovato miracolosamente. Si mette in fila per assistere ad una parata di successo, consuma l’arte senza apprezzarla o comprenderla.
Pochissimi sanno cosa sia. Chi la compra lo fa perché convinto di fare un affare. La critica e pochi addetti ai lavori lo hanno convinto. Le mode e gli stili si susseguono, sembra talvolta che ci sia qualcuno dietro le quinte e gli artisti rincorrono quelle mode, che quasi mai loro hanno creato.
La storia di questi anni testimonia quanto scrivo. Sono state lanciate sul mercato mondiale mode come la Pop art e l’iperrealismo. La transavanguardia e la pittura colta nei tardi anni settanta. Si è preferito l’arte realistica perché rassicurante, letteraria, raccontabile.
Prigionieri del moto vorticoso della teoria negli anni sessanta e settanta, si è inventata la land-art ed il concettuale, Basta con la pittura, abbasso il capitale, no all’arte come produzione di bene di consumo. Enunciare, dichiarare. La pittura è morta, l’avanguardia è morta….L’arte visiva in questi ultimi anni è divenuta enunciato, dichiarazione, letteratura, contraddicendo le basi teoriche da cui era partita. Si assiste alla parata accademica dell’arte povera, del minimalismo, della body art, tutte espressioni del concettuale. Ci si sente soli, sgomenti.
Le interazioni sociali, economiche culturali, simboliche hanno oggi dimensione planetaria.
Migrano merci e bambini, idee e corpi, capitali, informazioni. E’ il mercato che oggi smuove correndo, potenze, idoli, religioni. Si è come smarriti: tutto sembra sfuggirci di mano, la globalizzazione, anziché farci finalmente sentire cittadini del mondo, ingenera in noi riflessi da fortezza assediata. All’interno di quella fortezza l’artista, l’eretico, per dare senso al suo vissuto e al suo lavoro deve ritornare ai desideri, ai sentimenti all’ispezione nell’insé, per far tesoro del vissuto e del desiderio. Partendo da sé si rompe con le forme simboliche dominanti, si aprono nuove vie, si sviluppa la capacità di pensare, creare.
Per riscoprire le proprie radici storiche e libertarie, l’artista deve ritrovare la gioia ingenua e primitiva degli oggetti e delle sensazioni, riscoprire il mondo e l’esistenza e le motivazioni del suo operare, proporre un’estetica che parta dal suo lavoro e dalla sua esperienza, perché l’arte è invenzione fatta dagli artisti. Riappropriarsi di questo primato è riscoprire la magia del possibile, è dare senso all’utopia, ritrovare il fascino delle illusioni che sono il motore della storia