Avviamento all’analisi della poesia visiva: prime pagine di un abbecedario possibile
by
Marcello Carlino

Non è di troppo azzardare che sono due, alla fonte, le risorgive della poesia visiva. Una coincide con una modalità di costruzione versale che, per deliberazione volumetrica dei lemmi e disposizione grafica dei sintagmi, visualizza ed evidenzia un tema-chiave o un concetto nucleare del testo.

Non abbisognano per questa circostanza di specie interventi puntuali o chiose che ottengano una ricapitolazione storica, con la segnatura dei giusti precedenti; basti richiamare, quasi col solo citarli, alcuni casi di valore che hanno dato o ridato il “la”. Da Villon ad Apollinaire coi suoi calligrammes, da Tarchetti (e qui è la forma-racconto a fornire un modello per gli scrittori d’Italia) a Palazzeschi, la messa in esponente della figura disegnata dalla scrittura, a scavalco del grado zero  – un grado zero comune, d’uso inveterato –  della sua perspicuità materico-segnica, soccorre, perciò tendenzialmente operata, in funzione del linguaggio verbale, e ne ribadisce le marche referenziali, e ne spicca le potenzialità asseverative, cosicché si autorizzano o si rinnovano, però senza deroghe sostanziali, il principio e la prassi antichi battezzati con la sigla della “ut pictura poesis”, alla quale la tradizione ha rilasciato piena licenza.

Anche in ragione di siffatte considerazioni, risalendo il corso delle esperienze a caduta da una tale risorgiva, siamo convinti che siano da preferire le visure grafiche allestite per significati tendenti alla complicazione o al rasciugamento astratto; o, ancor meglio, riteniamo che siano da calcolare, tra gli attivi di bilancio nella storia della letteratura, gli ingrandimenti e i rilievi performativi – per notifica di immagini – di un linguaggio o “disturbato” o volontariamente prestato ad abbassamenti comici, comunque eslege. Ed è chiaro che vogliamo riferirci per un verso ad alcune rarefazioni di Mallarmé, per un altro a quel protocollo di trattamenti del corpo della scrittura che ha tra i padri storici, o tra i sopraffini, sagaci manipolatori più o meno occasionali, tanto Villon, quanto Tarchetti e Palazzeschi: quest’ultimo, ricordiamo, ha sussurrato per iscritto il diminuendo della A, della N e della E in maniera da filare lunghe piccole giocose carovane; quello ha intonato il crescendo fino al fortissimo delirante della lettera U. Altrimenti la procedura appare tutt’affatto definita, e dunque ingessata, entro i limiti della reiterazione di rinforzo ovvero del sostegno protesico con finalità di sollecitazione emotiva e di persuasione del lettore: entro i limiti di una indiscussa pratica univoco-monolinguistica. Se ne prendano per esempio al riguardo, apparentemente fuori sacco, le scritture del fumetto, in cui l’ortografia libera espressiva s’industria ad enfatizzare, in prospettiva fàtica, situazioni e motivi e gesti dei personaggi. Il fumetto, d’altra parte, proviene anch’esso da una lontana convenzione, cioè dalle figurazioni accompagnate da didascalie delle antiche pitture di corte, vuoi mitologiche, vuoi encomiastiche, vuoi di strumentale utilità morale: da questo canto opposto, per dominanza monolinguistica del segno non verbale confortato dal motto commendevole, la musica comunque non cambia davvero.

Una seconda linea di discendenza su cui situare la poesia visiva è tracciata dalle forme massmediatiche di comunicazione. La tipologia delle affiches e la loro diffusione via via crescente è prescritto che realizzino e promuovano un incontro tra il piano delle immagini verbali e quello delle immagini visive, con cospicuo interessamento del corpo tipografico di stampa, che diviene troppo caratterizzante della società metropolitana tardo-ottocentesca, funzionale ai suoi sistemi/apparati di produzione, per non esercitare influssi sulle logiche e sui modi di arte e letteratura, tanto più allorché esse si vogliano in predicato di novità. Se una intenzione di presenza attiva e corresponsabile nella determinatezza storica muove i diversi generi di espressione artistica ad assecondare la capacità di attrazione e di profferta esemplare contenuta nel nuovo strumento di comunicazione di massa e ne sollecita un impiego prevalentemente finalizzato alla perentorietà delle sequenze di discorso (si compie siffattamente, per omologia, un processo di effettiva convergenza ideologico-culturale), non v’è dubbio che con il trascorrere degli anni la multimedialità consentanea ai manifesti e alla loro circuitazione sociale sia destinata a non passare affatto sotto silenzio, risultando al contrario incentivata. Che poi ciò in una qualche misura si debba, e di fatto corrisponda, al successo del liberty e alla modellizzazione industriale che del liberty è propria, sembra a mio avviso inoppugnabile; e credo si possa convenire che una tale correlazione racchiude implicazioni economico-produttive che sarebbe opportuno ulteriormente approfondire.

Certo è che la poesia visiva ha una doppia catena genomica: s’origina da una necessità di consolidamento e di attestazione rafforzativa del linguaggio, visivo o verbale che sia, ovvero appare ricevere impulso dai modi comunicativi di una riproducibilità tecnica interna alla società della Moderne tra Ottocento e Novecento, ad essa congeniale. La sua provenienza, cioè, è letteraria, dal seno stesso di una tradizione rivisitata in chiave di riaffermazione e di rilancio valoriale della specificità del rappresentare creativo, ed insieme ha marche extraletterarie con brevetto depositato presso i sistemi di comunicazione sociale emergenti. Non sorprende che, da un versante e dall’altro, tali “audizioni” trovino spazio nei domini delle avanguardie, perché sono peculiari delle avanguardie una rivendicazione della forza del lavoro artistico e un suo riposizionamento, con la giunta di aperture oltre gli ambiti e le logiche intertestuali di convenzione.

Quando si compulsi una trafila quale quella del futurismo, di ciò si ha chiara avvertenza. Le modalità dell’ortografia libera espressiva e della rivoluzione tipografica, enunciate nel Manifesto tecnico della letteratura, si pongono a ridosso, solo ulteriormente forzate, della liberazione e della promozione della materia grafica della scrittura, allo scopo (per un ruolo comunque accessorio) di un rinvigorimento della semantica procurata dalle stringhe del discorso verbale; così si comportano le parole in libertà futuriste, che pure si affacciano sui campi e sui potenziali visivi del testo. Le tavole parolibere si impiantano invece sulle trame della simultaneità e per questo destabilizzano qualsivoglia assetto interlineare intervenendo su di una superficie che non ha campiture predeterminate; così esse stringono parentele con l’altro dalla letteratura delle affiches e praticano la multimedialità, spesso impegnandola, tuttavia, in una (auto)promozione ideologica tutt’affatto strumentale e non poco acritica né poco asservita al potere.               

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