ku | 8 serie 2 parole
by Andrea Astolfi
ku è il l’ultimo libro d’artista testuale che ho pubblicato e prodotto, precisamente al principio dell’anno 2022, il secondo a partire da kireji, realizzato in sole 20 copie, numerate firmate e timbrate, carta 100% riciclata, rilegatura filo singer. Il titolo discende dal nome omonimo della prima serie di testi ed è riferito a due significati principali: il primo riguarda il concetto di vuoto/vacuità buddista, il secondo invece riporta alla tradizione poetica giapponese, nella quale sta ad indicare un verso singolo o un raggruppamento di versi. Osando, si potrebbe dire che ku è un libro nato postumo rispetto alle serie di testi ospitati, nato essenzialmente come risultato di un accumulo testuale precedente, senza che si desse un vero e proprio progetto libresco mentre il processo di scrittura era in corso d’opera – tutte le serie ad eccezione dell’ultima, poi pubblicata anch’essa, andranno comparendo su diverse riviste online tra il 2019 e il 2021. Difatti se le 8 serie, ordinate cronologicamente dalla meno alla più recente, che ku ospita, sono tutte legate da alcuni puntelli stilistici riconoscibili (brevistas, stacco, semplicitas) ed extra-stilistici (ambiente, dna, storia), in realtà ogni serie risponde di un peso specifico che le è proprio, non necessariamente speculare a quanto la segue o precede. Ad unirle vi è, indubbiamente un’atmosfera, ma soprattutto una certa pratica di scrittura scaturente, seppur in maniera disorganica, in un moto di abbandono perpetuo: ku, vuoto, bianco pagina, concretizzato ora con prontezza recettiva all’accadimento circostante (hanno montano / una rete – / i vicini), ora con processi di non-scrittura, di automazione della stessa, per mezzo di meccanismi eterodiretti/eteroregolati tendezialmente entropici (cerca nella posta / sviluppate subito / brown sugar). Se alla prima condizione risponde il nome di presenza mentale/consciousness alla seconda viceversa viene naturale leggersi sfrenatezza/inconsapevolezza o se preferite irrigidimento/normazione che contrariamente alla premessa sfocia nel suo esatto contrario casualità/caos Ho letto nel magnifico Sutra del cuore[1]:
«Shiki fu i ku.
Ku fu i shiki.
Shiki soku ze ku.
Ku soku ze shiki.»
«la forma non è che vuoto,
il vuoto non è che forma;
ciò che è forma è vuoto,
ciò che è vuoto è forma[2]»
– notare quante volte è ripetuta la parola «ku» in questo passagio fondamentale del Sutra –
Dippiù: ciò che mi ha condotto ad unire concretamente queste scritture simili in spazialità ma eterogenee al netto di risultato e metodo è stato riconoscere per ognuna di esse una tensione, non solamente stanziale ma anche “umorale”, una sorta di caratura grafico-fisico-segnica ricorrente, plurisignificante, anarchica ma prospiciente. Per quanto esplicito sia in numerosi casi il riferimento alla poesia giapponese dell’haiku e all’estetica del vuoto orientale, tali dimensioni non vivono una dimensione autarchica, niente meno mimetica, piuttosto vengono costantemente sottoposte a stress e inquinamento massiccio da plurime fonti multidirezionali – vedi le mille e 200mila diramazioni indicate dalle avanguardie, dalla cultura visiva, dalla vita di ogni giorno, occhi, naso, orecchie, etc. Capita altre volte una produzione più allineata – certo, no rules – ma tendenzialmente la mia ricerca imbocca traiettorie orientate maggiormente verso direttrici centrifughe rispetto ad ogni tradizione consolidata. A ragione, più che uno scrittore di haiku (eh! eh!) con anneso pedigree, potrei semmai considerarmi un ri-formulatore di stilemi e codici in seno a quella o questa tradizione, innestatore compulsivo di altre pratiche e piani – bastardo insomma. Alla mezza del libro, la serie intitolata in forma di h___u, che sta implicitamente per “in forma di haiku”, si apre |exemplum| con la riformulazione di due haiku di due maestri del genere: Buson e Bashō.
colui che non può scrivere
come diventa triste –
l’haijin
riformulazione del seguente haiku di Buson:
«Pioggia di primavera –
colui che non può scrivere
come diventa triste!»[3]
***
donna che lava patate
fossi bashō
una poesia
riformulazione del seguente haiku di Bashō:
«Una donna lava patate
se fossi Saigyō
scriverei una poesia»[4]
Stando strettamente alla seconda riformulazione, mi interessa sottolineare non solo il tentativo di asciugatura del testo originario (certo, si tratta della traduzione del testo di Bashō e non direttamente di Bashō) dovuta sia alla sparizione dei termini “una” “se” “scriverei”, sia al ricorso univoco al “letteraggio tutto minuscolo”, ma anche la ripresa della ripetizione prospettica tra lo scrivente (Bashō) e un secondo termine (Saigyō) proposta da Bashō («se fossi Saigyō / scriverei una poesia») che paradossalmente viene a rovesciarsi proprio nella riformulazione, laddove Bashō da primo termine diviene immediatamente secondo termine: fossi bashō / una poesia. Con un colpo di spazzola Bashō da scrivente è divenuto testo scritto. Diviene chiaro come qui siamo abbastanza distanti dall’esercizio di scrivere haiku – lo siamo? – , nonostante la materia testuale vi affondi e il risultato finale ne ricalchi le sembianze. Ora balziamo e rimbalziamo ancora altrove – la rana di Bashō! – per fare due parole su altre due serie: in una strada di tōkyō e c’è un passaggio entrambe risultate dallo stesso procedimento compositivo. Dalla prima serie:
in una strada di tōkyō
i lunch poems li ha scritti
kerouac e il mare
per campagna
sbuca un gatto oop op
desktop
e dalla seconda serie:
a sapporo
o a sapporo
wonderful ball
brutta tuborg
l’arte fa schifo
i need
È chiaro che, diversamente da quanto riferisca il primo testo, i “lunch poems” non li abbia mai scritti Kerouac, semmai O’Hara, come è chiaro che la genitura di tali testi non sia niente affatto canonica, tutt’altro, tanto da permettermi di giungere ad una modalità compositiva vicina alla pratica del cut-up e del fold-in burroughsiani sebbene tradotti digitalmente; ergo ho trovato che tramite la visualizzazione “a lista”, su di un app di notes, di testi digitali sconnessi e appuntati a distanza di tempo, (a ben vedere) questi andavano assumendo forma di terzine del tutto insolite e strambe, zoppicanti, molto ma molto interessanti, che mai mi sarei potuto sognare di scrivere – o meglio non scrivere – altrimenti. Ecco, un’altra pratica di abbandono. Ecco il plus “visivo”!! Il minus “testuale”!!. Ecco il perché non scrivo – non potrei – libri di poesia (che fortuna!!!) ma libri d’artista testuali, Ecco! La dimensione dell’abbandono è in siffatto caso precipitata in un processo di non-scrittura – direbbe qualcuno di scrittura non-creativa; ecco l’eco della dimenticanza autoriale, segnalata sulle copertine stesse degli ultimi libri, kireji e ku, tramite l’assenza vivisa dell’indicazione autoriale, riportata solo ad interno pagina, un tempo solo. Vero, vorrei riallacciare da capo il nastro un’ultima volta e soffermarmi su alcuni dei dettagli inediti riguardanti la prima serie omonima: ku. ku la scrissi, ricordo – come anche l’ultima serie poet – su dei post-it giallissimi, che per settimane tappezzarono la scrivania dell’allora mia stanza milanese, fino a coprirne interamente la superficie. Era il tempo della pratica zen e della lettura fondamentale “Lo Zen e la cultura giapponese” di Daisetz T. Suzuki, dei soggiorni a Sanboji come delle visite al Cerchio di Milano, e di lì a non molto, la maggior parte dei post-it vide il fondo del fondo del secchio – leggere per credere! Uno tra i pochi superstiti fa:
disegno
pesce gatto
zucca testa
di zucca
Non mi sono spiegato: stavo completamente infossato sotto la stella dello zen, tutto preso dal tentativo di praticare come da quello di leggere l’opera di Suzuki, quando un pomeriggio, all’incirca a pagina 30 – ma credo 35 – , mi imbattei in una frase folgorante del maestro che poco dopo mi si ficcò in capa definitivamente grazie alla riproduzione di un disegno, qualche pagina più in là, di Josetsu “Cercando di catturare un pesce gatto con una zucca”, anno 1386: scena dove un uomo, sulla sponda di un fiume, cerca di catturare un pesce gatto con nientemeno che una zucca! Suzuki:
«La precarietà o l’evanescenza che proviamo nel tentare di comprendere la verità o la realtà, o potrei dire, Dio attraveso concetti o astrazioni intellettuali, è simile a quella che si prova quando si cerca di prendere un pesce gatto con una zucca, come efficacemente illustrato da Josestu, pittore giapponese del XV secolo.»[5]
Altro testo di ku:
ciliegio
asatsuma
che fa riferimento ad un’altra storia, sempre conosciuta attraverso le pagine di Suzuki, quella relativa ad una donna prigioniera prossima alla pena capitale, la quale osservando dalla cella di detenzione un ciliegio vicino alla fioritura, espresse il desiderio di essere giustiziata solo dopo averlo visto fiorire. Il suo desiderio fu accolto, la donna si vide allegerire il peso del grande passo, il ciliegio prese il nome di lei: Asatsuma. Da ultimo il testo seriale di chiusura:
gioia dei
pesci
Nella sua nitida visività e semplicità, fa riferimento ad un passaggio contenuto nel Zhuang-zi[6] in cui si racconta della discussione avvenuta tra Zhuang-zi e Hui-zi lungo il corso del fiume Hao, mondō[7] scaturito dalla frase detta dal primo al secondo: “Guardate i pesciolini, come nuotano a loro agio! È questa la gioia dei pesci!” a cui succede la risposta dell’altro che gli chiede come fa a conoscere la gioia dei pesci, non essendo mica un pesce. La risposta di Zhunag-zi non si fa certo attendere, quando prontamente ribatte: “Mi avete chiesto: qual è la gioia dei pesci? Sapevate che lo sapevo, visto che mi avete chiesto come lo sapevo. Lo so perché sono sull’argine del fiume Hao.”
Tutto questo per dire ridire e stradire che ku è figlio di questo doppio registro: |primo| fare spazio, stare in ascolto, essere presenti in ciò che sta accadendo, |secondo| tramestare, incasinare, sperimentare, interrogandosi su cosa si sta facendo, meno su cosa ne verrà, bighellonando sempre sull’argine del fiume Hao ma evitando (certo!) di afferare i pesce gatto con una zucca – testa di zucca! – per godere semplicemente del loro moto perpetuo come quello di ogni altro fenomeno stando che: «Shiki soku ze ku / Ku soku ze shiki».
sitografia testi ku
ku è apparso il 21 Marzo 2019 su
Nazione Indiana https://www.nazioneindiana.com/2019/03/21/ku/
24h è apparso il 25 Settembre 2019 su
Neutopia Blog https://neutopiablog.org/2019/09/25/24h/
in una strada di tōkyō è apparso il 15 Aprile 2020 su
Niederngasse http://www.niederngasse.it/200/archivio/andrea-astolfi
ho sognato sm è apparso il 1 Luglio 2020 su
Neutopia Blog https://neutopiablog.org/2020/07/01/ho-sognato-s-m/
in forma di h___u è apparso il 20 Gennaio 2021 su
Neutopia Blog https://neutopiablog.org/2021/01/20/in-forma-di-h___u/
c’è un passaggio è apparso il 5 Maggio 2021 su
Nazione Indiana https://www.nazioneindiana.com/2021/05/05/andrea-astolfi-ce-un-passaggio/
un tizio è apparso dal 5 al 21 Giugno 2021 su
Il Cucchiaio nell’orecchio https://www.ilcucchiaionellorecchio.it/category/autori/andrea-astolfi/
poet è apparso dall’11 Febbraio al 28 Marzo 2022 su
Il Cucchiaio nell’orecchio https://www.ilcucchiaionellorecchio.it/category/autori/andrea-astolfi/
[1] Il Sutra del cuore è un sūtra Mahāyāna del gruppo della Prajñāpāramitā, molto conosciuto e diffuso nei paesi di tradizione mahāyāna per la sua brevità e densità di significato. – fonte Wikipedia
[2] traduzione in italiano del Sutra del Cuore, reperibile sul sito http://www.shodo.it/hannyashingyo/
[3]Sessantasei Haiku, Yosa Buson, a cura di Peter Otiv Norton, revisione poetica di Elena Pozzi, La Vita Felice Editore, Milano, 2012
[4] Bashō Zōdan, Bashō in frammenti, Shiki, a cura di Lorenzo Marinucci, La Vita Felice Editore, Milano, 2017
[5] Lo zen e la cultura giapponese, Daistez T.Suzuki, Adelphi Edizioni, Milano, 2014
[6] Zhuang-zi, Chuang-tzu, a cura di Liou Kia-Hway, Adelphi Edizioni, Milano, 2013
[7] Termine che nello zen (nonostante il racconto sia taoista, quindi precedente allo zen) indica il dialogo di domane e risposte tra discepolo e maestro