Poesie e altri testi
by Francesco Aprile
1. Estratti da Dietro le stagioni, Lecce, iQdB Edizioni, 2015
2015-01-09
Segui il profilo basso della notte, il ritmo affastellato delle case
bianche che cadono l’una addosso all’altra, le scale si attorcigliano
alle case come serpenti alla roccia, ma è lo stelo delle tue gambe
che infiora passione. Dopo le stagioni il tempo passa, e qualcosa
dice, resta. Dietro le stagioni, dopo il tempo, qualcosa resta,
è lo stelo delle tue gambe che infiora. È lo stelo delle tue gambe
che infiora. A poco a poco trema ancora lo sguardo nella calura.
La pasturanza del pescatore, le urla nude dei bambini non fermano
la mangianza ignara dei pesci. Il pescatore, pastura, ingrassa
il silenzio del mare di settembre.
2015-01-11
Sotto il ponte d’agosto sferza in segni e graffi e soffi, amore.
Una strada, una campagna una fine di luglio sotto gli alberi
apre le porte al ponte caldo d’agosto. Ma è tutto dire, degli
uccelli che entrano suoni nel rosso della campagna. Ma è tutto
dire, della tramontana che quando arriva sgoverna calma e
ragione. Sarai la stesura di un’altra carezza a rinsaldare
il corpo all’amore. Sotto la stoffa rossa della luna d’agosto
la forma delle strade squarta bellezza, sventra passione.
Sotto la stoffa rossa della luna d’agosto, la violenza delle
case è una muraglia contro il paesaggio, un segno, un foro,
un taglio che sventra silenzio da fiore a fiore. Sotto la stoffa
rossa della luna d’agosto, verrai ancora in carezza a rinsaldare
il corpo all’amore.
2015-01-11
La ferita della terra ha altro odore altra sostanza altra radice.
La contrada è bianca, come la strada di tufo che si è fatta
spiaggia alla campagna rossa, divelta. Il contrasto feroce,
il salto rapido, critico, dalla ferita al bianco della luce.
Non sarà calcinaccio che ora vedi, la luce che agli occhi scende,
non sarà corriere disperato fra la sponda e l’altra, dalle aquile
o montagne di mare. Sui gesti lenti è occhio di palude, la storia
che ancora procede. Allo spazio della fontana slargano ancora
spezie muraglie forazioni dismesse, sagome, lancette e la forma
di due amanti intrecciati sulla fontana. La corolla del buio è come
gioielleta dall’assenza delle luci intestinali, poco fuori città.
È lo slargo del giorno che forza la stagione, ecco, vedi, quando
tutto sferza, tutto sfronda, squaterna. Si apre. La terra divelta
ha fame e pazienza, eppure, vedi, tumultua, frana, apre. La
faccia delle monete ha taglio di fuoco, è profilo di fiamma, amore,
che tiene in brace le rose. Sarà la strada bianca il tufo la violenza
sarà il profilo il fuoco, la forgia del mattone, il taglio di brace
che tiene in corpo il calore. Due teste reclinate in posa di bacio
dicono un battesimo di passioni.
2015-01-13
Le persiane hanno scuri che come gli occhi gettano al mondo,
entra esce la luce, lo strazio bianco della calce. Ecco, vedi,
s’aggruma la luce sul bianco delle case. Dove tutto s’aggruma,
vedi, tutto s’infiora. È lo stelo delle tue gambe che infiora.
È lo stelo delle tue gambe che infiora. Gli scuri sono aperti
sulla testa. Gli occhi sono gli scuri da cui m’affanno al mondo,
tutto entra ed esce, la casa della luna, l’odore del giglio, la
forma della notte sul mare. Il quadrante del pozzo non trema
di onde, non freme, ama, dice la forma stessa dell’amore.
L’odore del giglio sulla tua pelle, questi gesti di sale che addosso
restano, incollano, restano. Il profilo orizzontale della terra,
le serre sono basse, un corpo di affanni la terra, una salute di
stracci, la morte. La voce delle rondini porta fiato al clamore,
quante lance, quante frecce di campo escono in colori dalla
terra. Questa strada di pecore ferocia il gesto e il suo andare.
2015-01-13
La cupola della vite ha rossore di seno. Quanta strada di sole
sbreccia la vista. L’ombra dismessa delle cose esce timida
sulle strade. Quanta luce a piombo sulle cose, quanto smagra
quanto frana, quanto smunta la tramontana fredda sulle rose,
quanto segna il grappolo la vita il vento, il silenzio bianco delle
case. Scendendo dalla via di Ussano i paesi entrano graffi
all’orizzonte. Ecco, vedi, il bianco mite delle case sferza entra
squaterna offende il velo lontano del mare. La memoria è un
cielo trasparente, una velatura che inclina guarda apre. Ecco,
vedi, dove tutto si inclina, tutto si apre. La contrada bianca, la cava
scende la strada, dopo Ussano, sulla destra, alberi come impiccati
al cielo, la crespatura dell’origano ai bordi. Quante cose
scendono con la strada e restano dietro. Quante anticipano,
avanti, la scesa della strada. Un pugno la roccia nella terra,
una cresta di gallo il sole al mattino. Niente balsamo conosce
questa terra d’animale sgozzato.
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Np 2.5, Francesco Aprile – Translation by Nicolette S. James
Np 2.5, Francesco Aprile – Translation by Bartolomé Ferrando-Carmen Gonzàlez
Np 2.5, Francesco Aprile – Translation by Vanessa Bile-Audouard
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