Note sull’opera di Elio Coriano
by Francesco Aprile

1.
Elio Coriano (1955, Martignano, Le), poeta e operatore culturale, docente di italiano e storia, ha alle spalle una robusta esperienza poetica da sempre rapportata alla dimensione performativa della parola. Coriano, infatti, affianca alla pubblicazione dei versi – che solo in parte rendono testimonianza di una produzione sterminata – una intensa attività performativa. Nel 2004 con Stella Grande e Francesco Saverio Dòdaro ha fondato il gruppo di musica popolare Stella Grande e Anime Bianche, di cui è curatore dei testi e direttore artistico. Negli ultimi anni l’attività performativa lo ha visto impegnato nell’ideazione e diffusione prima di una orazione su Gramsci, intitolata Fur Ewig, e nella quale è affiancato da Vito Aluisi (piano), poi in uno spettacolo performativo dedicato alla drammatica morte di alcune tabacchine bruciate vive durante il lavoro a Calimera, in provincia di Lecce, il 13 giugno 1960. In questa ultima performance è affiancato da Stella Grande (voce) e Vito Aluisi (piano). Ha pubblicato:

A tre deserti dall’ombra dell’ultimo sorriso meccanico, Lecce, Conte Editore, 1995 – nella collana Internet Poetry, fondata da Francesco Saverio Dòdaro nel 1995, prima collana di poesia online.
Edizione bilingue, italiano-inglese
Premio Venezia Poesia, 1996
Le pianure del silenzio, Lecce, Conte Editore, 2000 – nella collana E800. European Literature, ideata e diretta da Francesco Saverio Dòdaro
Edizione in cinque lingue: italiano-inglese-tedesco-spagnolo-francese
Dolorosa impotenza. Il mestiere delle parole, Galatina, I Quaderni del Bardo, 2004
Scritture randage, Cavallino, Luca Pensa Editore, 2006 – collana alfaomega diretta da Stefano Donno
H. Letture pubbliche, Lecce, I Libri di Icaro, 2007 – nella collana Voli
Il lamento dell’insonne, Copertino, Lupo Editore, 2010 – nella collana Ciribiri diretta da Stefano Donno
Fur Ewig 3, Copertino, Lupo Editore, 2013
A nuda voce. Canto per le tabacchine, Musicaos:Ed, 2014 – Edizione bilingue: italiano, inglese

2.
Occorre impastare bene la parola coi deserti del mondo, vissuti o ancora da vivere, per scontornare l’esistenza dalla patina e dal regesto coercitivo che spiana il mondo in una massa informe di dolori. Occorre tornare a darsi un buon dàimon. Un tutore, una guida che indirizzi la rotta. Ma è sacrilega, questa guida, nella misura in cui nella poesia di Coriano non sono né dei né istituzioni di sorta a suggerire una rotta propriamente umana, ossia dotata di qualità che restituisca l’uomo al mondo in termini di responsabilità e solidarietà. È appunto un buon dàimon, un sostrato etico, più che morale, che attraversa tutta l’opera di Coriano imbastendo un discorso poetico che nel ritmo catartico della parola agita le maglie lucide della coscienza. Esiste, dunque, una dimensione etica che attraversa tutto il percorso di Elio Coriano e via via cresce e si divincola fra i vari indirizzi che si mostrano al lettore. Esistono alcune parole che tornano a ripetersi con costanza in ogni raccolta e permettono di tracciare una mappatura di indirizzi che danno alla poesia alcune diramazioni essenziali: fatica, coscienza, sangue, verità, menzogna, fiato, ombra, luce, abisso, cielo, fuoco, acqua ecc. A partire da queste se ne liberano altre andando a costruire un discorso poetico che intreccia natura ancestrale, arcaica, e alienazione sociale, mondo naturale e mondo industriale, intimo e globalizzato. Tutto è tenuto insieme dalla coscienza, dalla consapevolezza che l’uomo matura nella pratica costante, nello studio, nel riconoscimento dell’altro da sé, nello sregolarsi dei sensi nel mondo, nella rivolta. Nella poesia di Elio Coriano la speranza è bandita, perché non esiste lo sprofondo di un abisso insuperabile, di conseguenza non ci si appella a nulla che sia di per sé sussistente al di là del terreno. «Su questo non sono d’accordo // lo spirituale più raffinato // nasce dal materiale // l’idea senza visceri non esiste» (Coriano, H 58303, in Il lamento dell’insonne).
Un continuo j’accuse si muove nel percorso del poeta e su questo, a partire da questo, s’articola il verso come continua espressione di lotte fra miseri e ricchi, buoni e cattivi, lavoratori e capi che poco hanno del datore di lavoro e molto, trasmettono, del potere coercitivo e dell’ingiustizia. Il particolare, contingente, minimo, è sempre guardato all’interno di una prospettiva universale a lungo termine. Non è mai il particolare utilitaristico, ma un marginale che aspira a farsi mondo.

3.
La poesia di Elio Coriano si compone e struttura nella successione degli opposti, propriamente comparativa nel linguaggio affina il discorso procedendo per contrasti. Il mondo poetico di Coriano accoglie al suo interno l’immenso e il particolare, il buono e il cattivo, il bello e il marcio, l’iniquo e una continua tensione all’equo, come parti necessarie che sostentano il soffio vitale dell’esistenza, caratterizzandolo a seconda che l’ascendente appartenga a uno invece che a un altro dei contrari messi in gioco. La coscienza del poeta è possente, forgiata sul fuoco antico di una conoscenza che procede verso il sapere passando attraverso il dissimile, al punto da comportare una conoscenza di ciò che è altro da sé che nella compartecipazione dei contrari si fa prassi di uno sconfinamento nell’altro. La presa di coscienza, della quale si è già parlato, contribuisce allo sconfinamento identitario nell’alterità. Ciò è reso possibile dal campo dell’esperienza. Il poeta restituisce un’esperienza letteraria che non dimentica la fatica della crescita umana e intellettuale, culturale e sociale, dove ogni conquista è praticata nel territorio della fatica, del sudore, dell’esistenza che è giocata sulla forza del non arrendersi che contribuisce a maturare coscienza di sé. Da qui la messa al bando della speranza comporta l’accettazione del mondo naturale e l’assunzione di responsabilità sociale dell’autore che riconosce nell’esperienza altrui l’iniquo e l’equo, il bello e il brutto, il buono e il cattivo, allo stesso modo di come ne ha fatto esperienza da sé. Il riconoscimento della sofferenza altrui è registrabile nei versi in cui l’autore, pienamente consapevole, s’indigna e ribella, colto in una compartecipazione all’altro da sé.

4.
Non solo le parole procedono in un susseguirsi di termini opposti, anche i temi della poetica s’affrontano sul piano dello scontro e dell’assimilazione, della differenza e della partecipazione. C’è l’uomo, affrontato nella dualità della sua naturalità, del suo perdersi nel mondo naturale, e nella consapevolezza della coscienza. Eppure i contrasti non sconfinano nell’eccesso, indirizzano la poetica sulla pratica della misura. C’è un mondo naturale, arcaico, primordiale, che in primis sostanzia il ritmo della poesia, dei versi che scandiscono la tensione archetipica del pozzo profondo e scuro dell’Io, del luogo primordiale della nascita. C’è il vuoto della separazione, fra noi e la dimensione archetipica originaria, e poi ci sono i fiati e gli affanni che si stagliano fra l’uomo e il mondo. «Dodici isoglosse. Del genotesto. Dell’anima. Dell’hegeliana essenza – del ciò che è stato – : Wesen ist was gewesen ist. // mentre la coscienza con corpo di donna / […] la grotta del rifugio // Dodici isoglosse. Del frammento, prima di Platone, poi di Freud, Lacan, Kristeva. // …nel pozzo della memoria quasi secco […] a trovare il pezzo mancante/ quel sorriso tagliato in due» così scrive Francesco Saverio Dòdaro nell’introduzione di A tre deserti dall’ombra dell’ultimo sorriso meccanico (Coriano, 1995), ravvisando rimembranze archetipiche nell’opera di Coriano. Il ritmo ancestrale dei versi è la manifestazione più forte di questa dimensione. I versi battono e suonano come tamburi ancora dal profondo della grotta del rifugio. C’è questo mondo naturale che contribuisce a generare la misura tipica dei versi di Coriano. L’autore non si abbandona mai ad uno strabordare eccessivo né del razionale (che in dismisura comporterebbe un travalicamento nel suo opposto) né del naturale, trovando nelle differenze e nelle ripetizioni della natura quel tratto rappresentativo che è ravvisabile nel frequente riferimento al fuoco, elemento che cambia ma è sempre uguale, metafora della misura che la natura nei suoi cicli riesce a darsi. Tale misura si registra nei versi nel filtro regolatore di un logos, sia in quanto pensiero che in quanto discorso, che veicola le differenze nel piano dialettico della poesia, sottoponendo tutto a misura, a ragione, a coscienza e solidarietà umana, veicolando i contrasti in una misura di necessità. Sempre presente è il contrasto fra mondo naturale e mondo sociale, dove nel primo l’uomo appare abbandonarsi ai sensi che lo conducono in una relazione di reciprocità col mondo, salvo poi mostrarsi, una volta assunto il suo ruolo sociale, come un parassita, un pulviscolo fastidioso nella perfezione della natura. L’uomo è rappresentato in tutta la sua inadattabile adattabilità, per cui è nella natura, ma esce da questa e sullo sforzo della ragione costruisce il sociale, un mondo nel mondo e da entrambi finisce per risultare alienato. L’uomo è dilaniato in questo rapporto e non resta che lo sconfinamento identitario nell’alterità per colmare le distanze archetipiche fra lui e il mondo, fra lui e il silenzio primordiale che anticipa la nascita. La frammentazione, la parcellizzazione dell’attore sociale attanaglia l’uomo raccontato da Coriano, che scisso e disperso risulta atomizzato e colto in distanze apparentemente insanabili, nella solitudine della folla, salvo, appunto, con assunzione di consapevolezza, trovare una dimensione di umana compartecipazione all’altro da sé.

5.
Il silenzio primordiale che anticipa la nascita scorre come un refrain nell’opera del poeta, corrispettivo del silenzio che anticipa la fatica della conoscenza – mai figlia esclusiva dei libri ma sempre giocata nell’esperienza della vita – così come il silenzio precede la parola. Allo stesso modo la parola poetica, per darsi, affronta il silenzio prima di erompere in fiato e dimensione corporea. Scrive Giuseppe Cristaldi nell’introduzione a Il lamento dell’insonne (Lupo Editore, 2010) che «ad egli importa stabilire la tensione sopraffina dettata dalla simbologia lessicale, la stessa che il poeta attende al varco delle labbra. […] Lo scritto per divenire poesia deve divaricare le labbra alla pronuncia di sé. E Coriano lo sa, perché proprio in quelle meccaniche s’è infrattato ancora prima di sputare inchiostro». Il tempo poetico di Elio Coriano è quello della performance, è quello di una dimensione ritmica che ha il sapore denso della vita, la rabbia del fuoco e la sopportazione del dolore, la dimensione di un corpo che è concretezza di pensiero e desiderio e allora denuncia, in fiato, l’ingiustizia delle morti sul lavoro, l’incuria dell’uomo e di un sistema balordo, l’infamia dell’uomo sulla natura sfigurata, il cancro dell’uomo sull’uomo.

6.
L’impegno civile di Coriano è caratterizzato da una vis polemica, una forza che se in un primo momento sembra condensarsi in voce solitaria che annuncia la rivolta, si mostra in realtà sempre più tesa e coinvolta in una res publica che anima e pulsa insieme alla natura ancestrale, insieme al battito primordiale dei versi, insieme a quella alterità cercata e necessaria, alla quale il discorso poetico si indirizza, perché appunto è sempre cercata, e della quale il discorso poetico si nutre, perché la voce solitaria sconfina a tal punto nelle dinamiche di un sociale antropico che non è più possibile distinguere la voce del poeta da quella del mondo e degli uomini. La poesia è un cantato unico e collettivo di ascolto e rivalsa sociale. «Ho bisogno di tutto il mare // per far parlare l’onda // di tutto il silenzio per dire qualche verso // di tutti i passi per un unico viaggio» (Coriano, H 10724, in H. Letture pubbliche). Tale prospettiva si estremizza in un fiato poetico radicale nell’ultima fatica dell’autore, A nuda voce. Canto per le tabacchine (Musicaos:Ed, 2014), dove il flatus vocis delle tabacchine morte bruciate vive durante il lavoro, a Calimera (Le) nel 1960, acquista valenza sociale, entra nello scandaglio etnografico dalla porta cimiteriale dello Spoon River restituendo valore al vissuto personale, al punto di vista umano, alle relazioni sociali, alla cadenza di una inascoltata richiesta di dialogo, rispetto e incontro. Il percorso poetico di Coriano, colto nella sua totalità, va a costituire una sorta di epos moderno, di archetipo contemporaneo, un narrato che porta nel verso – asciutto, preciso e lucido – il racconto storico, sociale, culturale, del rapporto uomo-uomo, uomo-mondo, che riversa nel nuovo millennio le scorie di fine ‘900, e si riallaccia ai grandi drammi della storia. È la dimensione di un cantato civile, forte e intenso, che non dimentica e intende tramandare gli aspetti eclatanti delle ingiustizie, del male, allo stesso modo degli aspetti più banali e marginali delle ingiustizie che altrimenti sarebbero cancellati da una storia che non contempla il margine, al contrario stritola il “minore” in una morsa estrema di efficacia e supremazia burocratica che relega l’uomo in un divario storico che ha il sapore dell’oblio.