Le riviste Risvolti e Frequenze poetiche: intervista a Giorgio Moio
by Francesco Aprile, Giorgio Moio
Quando e come nasce la rivista “Risvolti”?
Nasce nei Campi Flegrei (NA), precisamente a Quarto, nel 1998. Il primo numero esce nel settembre dello stesso anno. Ha sempre riportato come sottotitolo la dicitura “quaderni di linguaggi in movimento”, ed essendo nata nei Campi Flegrei, per i primi sette numeri alla denominazione “Risvolti” furono aggiunti nomi che richiamavano località dei Campi Flegrei, appunto: Avernum Poetry (n. 1); Sibilla Kumana (n. 2); Bakolj Mail (n. 3); Quartum Bug (n. 4); Puteøli Market (n. 5); Misenum Raïn (n. 6); Visual¡ Bauli! (n. 7). Fondata e diretta da me, con le collaborazioni redazionali di Pasquale Della Ragione e Marisa Papa Ruggiero (dal 2° numero anche con la collaborazione di Carlo Bugli), nonché quella esterna di Luciano Caruso, fino alla sua morte avvenuta del 2002, ma in pratica con la sua “presenza” fino alla fine. Nasce da una esigenza precisa, prendendo «il suo avvio grazie alle energie di soggetti formatisi al crepuscolo del lungo ciclo novecentesco delle avanguardie, tempo ancora capace di trasmettere la loro inestimabile lezione, in virtù – tra l’altro – del permanere in attività di personaggi come Luciano Caruso o Stelio Maria Martini, vere e proprie stelle polari per le generazioni immediatamente successive» (come riporta Stefano Taccone nella presentazione al catalogo della mostra di poesia visiva Risvolti: 20 anni di linguaggi in movimento, da me organizzata e curata con Carlo Bugli al “Movimento Aperto” di Ilia Tufano, nel febbraio di quest’anno a Napoli), quello di riempire un vuoto in un periodo, a Napoli e dintorni, privo di riviste letterarie, mentre solo qualche lustro prima la città ne contava almeno una decina; più dettagliatamente, nasce per riempire il vuoto creativo e culturale di una letteratura di ricerca e antagonista, lasciato a Napoli dalla rivista “Altri Termini” diretta da Franco Cavallo, anch’essa figlia dei Campi Flegrei.
- C’è una linea di ricerca poetica che negli anni ha occupato in modo particolarmente importante le pagine della rivista?
Proprio dall’assenza citata poc’anzi, dopo che anche i vari quotidiani locali si dimostrano inospitali verso la poesia in genere, nasce l’esigenza di riprendere un discorso che a Napoli ha avuto sempre ampie adesioni: sin da subito “Risvolti” predilige una poesia intraverbale e verbovisuale, alla ricerca di molecole feconde di novità, di militanza poetica sperimentale e antilirica, antiaccademica, in contrasto con l’esistente mercificato a più livelli, che, in particolare a Napoli, dopo l’esaurirsi di importanti riviste (vedi «Linea-Sud», «Uomini e Idee», «Continuum», «Altri Termini», etc.), si avvertiva da tempo. Con un primo ciclo (i primi sei numeri), ci si concentra nella rilettura dell’avanguardia letteraria del secondo dopoguerra (quella “esclusa” dai circuiti ufficiali della cultura), riscoprendo alcuni poeti dimenticati, addirittura sconosciuti o volutamente ignorati dal cosiddetto “grande pubblico” e da molti compilatori di antologie: Emilio Villa, Corrado Costa, Adriano Spatola, Edoardo Cacciatore, Mario Diacono, Patrizia Vicinelli. Dopo uno speciale sulla poesia visiva (n. 7), con un secondo ciclo si omaggiano importanti poeti non soltanto del panorama letterario italiano: Carlo Belloli, Arrigo Lora Totino, Luciano Caruso, Lamberto Pignotti, Franco Cavallo, Alfio Fiorentino, Enzo Miglietta. Si prosegue poi con una serie di tematiche per verificare lo stato della letteratura di quel periodo: Contro lo strapotere del mercato (n. 13); Del precario (n. 14); Poesia e attualità (n. 17); Anticanto nel villaggio globale (n. 18); Verbographia (n. 19), un altro speciale sulla poesia, questa volta su quella lineare, chiedendo ai vari poeti invitati, di fornirci anche una versione amanuense del testo. Una richiesta abbastanza rivoluzionaria dove quasi tutti ormai, con l’invadenza in ogni campo dei computer, tendono a scrivere con la tastiera e un monitor. Quindi, possiamo affermare che la linea di ricerca poetica portata avanti dalla rivista, quasi per tutti i 23 numeri pubblicati, è una concezione nuova di poesia sperimentale dove in primis non c’è distinzione tra la poesia lineare e quella visuale, anzi convivono magnificamente e in sintonia per una mobilità linguistica e antagonista, lontana dal consumo lirico, dalla facile fruizione, da un qualunquismo intimistico-emotivo, per riconoscere qualcos’altro tra i meandri del linguaggio, qualcosa che si porta al di là dell’usus scribendi tradizionale.
- Con quale sguardo verso la poesia e le sue forme si è sviluppata l’idea di “Risvolti”?
Quella – appunto – di far convivere la poesia lineare con quella visiva, diciamo, alla pari e in egual misura, binomio difficilmente riscontrabile in altre riviste. Quello di accogliere una pluralità di voci, concentrate sull’approfondimento di un argomento, di proposte alternative alla facile fruizione e pacificazione culturale del mainstream, però senza diventare un qualunquista contenitore, pronto ad accogliere tutto e tutti che giova unicamente ai promotori di una letteratura ipnotica.
- Dopo hai continuato a lavorare sempre in un’ottica corale, penso all’esperienza di “Frequenze Poetiche”; quanto l’idea della rivista, in generale, si collega, per te, alla coralità?
Tantissimo. Posso dire che sin dai miei esordi ho sempre lavorato in coralità. Memore, forse, del detto: “Da soli non si va da nessuna parte”. Anche se lavoro spesso anche da solo. Comunque, nell’attualità odierna, dove la letteratura (e la cultura in generale) si sposta (quando vi riesce) verso un’unica direzione, ossia verso il consumo più vieto e l’appiattimento e “pacificazione delle idee”, sponsorizzati dall’industria culturale (con l’inevitabile industrializzazione del pensiero), dare spazio a voci plurime e differenti tra esse, a maggior ragione se sono antagoniste a quanto detto prima, mi sembra oggi più che mai vitale per la comunicazione, per la crescita intellettuale, per uscire dal pantano. Ancora di più se siamo costretti ad assistere quotidianamente – ahimè! – alla mescolanza di volumi con insalate e carciofi nei supermercati. È nostro dovere fare qualcosa di diverso, qualcosa che crei la giusta differenziazione tra cultura e merce. Dove si può realizzare tutto ciò se non in una rivista che, per sua natura, è fatta da diverse persone e proposte? Coltivare unicamente, hic et nunc, il proprio orticello, per giunta gelosamente, con la convinzione che nel proprio orticello si producono i migliori “ortaggi” di tutto l’universo, a chi giova se non all’oblio? Invece, proprio la coralità e i tempi più o meno lunghi di una rivista, fanno maturare e riformulare alfine nuove idee, nuove proposte. C’è un tempo quasi infinito a disposizione.
- Esiste una continuità tra “Risvolti” e “Frequenze Poetiche”? E quali, invece, sono le differenze?
Soprattutto dal selezionare al meglio gli autori e gli interventi, non accogliere compromessi (magari per “vendere” qualche copia in più o ammiccarsi qualche seducente personaggio con proposte per un posticino nei piani alti del “palazzo dorato”). Ma tutto questo è possibile solo restando fuori dal mercato più vieto, dalla mercificazione della letteratura. Operare ai margini della centralità del potere, della “società-spettacolo” in modo che si possa avere più spazio e autonomia per “guardarsi intorno”. Tra le due esperienze letterarie, certo, una differenza c’è: con “Risvolti” si portava avanti un discorso più di tendenza, avanguardistico, antagonista; con “Frequenze Poetiche” si cerca di trovare delle buone risorse artistico-letterarie, diciamo, ad ampio raggio. E come per “Risvolti”, facendo convivere la poesia lineare con quella visuale, dando spazio anche alla prosa, alla scrittura asemica e all’arte visiva.