I Canti alla macchia di Egidio Marullo
by Francesco Aprile

Quale relazione intercorre fra questa nuova proposta di Egidio Marullo e il mondo nel quale l’azione pittorica trova forma e si dà in segno? Canti alla macchia. È questo il titolo di un percorso che sembra tracciare una linea fra l’impasto materico di Fautrier e quei segni rapidi e feroci di Hartung. Eppure il discorso sull’opera non si esaurisce certo su questo piano e forse un possibile esaurimento del piano discorsivo dell’opera non appare mai realmente centrato. Si tratta di un percorso che può essere assorbito per intero o scomposto nella perizia violenta dei particolari. Esiste un modulo, direi, un orizzonte di aspettative, mental set (Gombrich), che rende possibile il passaggio dell’opera sul piano di un universale immaginifico che si allontana dalla riproposizione di un paesaggio. È in questo mental set che ritroviamo la dimensione concettuale che astrae il reale e anzi lo devia a partire da quell’alfabeto di codici pittorici e linguistici dei quali il pittore si è nutrito lungo il suo percorso. L’ambivalenza dei codici che l’autore porta sulla scena trascina il piano dell’azione pittorica sulle tracce di una intercambiabilità linguistica significante. L’impasto materico domina le superfici sia che esse siano cartoncini, terracotta, tele. Acrilico, olio, acquerello si stendono sulla superficie decretando un panorama linguistico che si dà in canto proprio in quanto media, in quanto significante. La natura della materia assume i connotati di linguaggio. E ancora ritroviamo segni violenti che dalla grafite al carboncino al gessetto completano i gesti dell’azione. È a partire da questi elementi che si struttura una intercambiabilità dei segni linguistici. Il segno calligrafico, la scrittura che spesso attraversa le sue opere, diventa elemento naturale del paesaggio. Al contrario quei segni rapidi e forti di grafite o carboncino che recano in sé una memoria di paesaggio hanno la forza di aprirsi al momento di una comunicazione autorale, quasi alfabetica, che si perde nel sedimento primordiale di un qualsiasi linguaggio. Il momento dell’azione, dell’intervento, coglie l’opera all’interno di un evento linguistico che porta l’autore in una relazione di reciprocità con lo spazio che sostanzia l’opera. È in questo senso che il percorso di Egidio Marullo entra in un filone del tutto Mediterraneo, ancestrale, senza tempo, che pure nella perizia segnica conquista il proprio tempo dilatandone le prospettive. L’intercambiabilità linguistica dei segni conduce l’opera su di un piano di apertura dialettica. Il passaggio che porta la scrittura a darsi come elemento naturale mostra come l’autore trovi nei suoi codici linguistici un rapporto di reciprocità con lo spazio. È in questa dimensione, come dicevo, che l’opera di Egidio Marullo entra in un discorso del tutto Mediterraneo perché si sostanzia di asperità e dolcezze, divagazioni e astrazioni, che nella dissipazione delle tracce autorali nello spazio richiama a sé quella linea che già il poeta Antonio Leonardo Verri individuava col nome di poeti selvaggi. In quest’ottica sembra possibile un ancoraggio dell’opera di Marullo alla dissipazione linguistica che caratterizza il percorso di Edoardo De Candia. Se Edoardo De Candia si era fatto pittore magistrale delle marine, Egidio Marullo propone un discorso linguistico che guarda un Mediterraneo interno, inteso geograficamente, che ha nell’impasto della materia lo stesso impasto dei corpi e della terra. Ma lo sguardo meridiano di Marullo è interno anche nell’ottica linguistica dei corpi. È un linguaggio materico, che ha fibra e poetica nella carne dei corpi come in quella della terra. Scrive infatti che qui da noi anche gli inverni sono atti d’amore. E il linguaggio dell’amore diceva Lacan non appartiene all’incivilimento dell’inconscio strutturato come linguaggio, è invece un fatto primordiale di corpi che abitano una lingua madre, detta lalangue, materica e personale perché è in ognuno diversa. È una lingua del “tutto indifferenziato” perché precede il momento sociale del linguaggio e questo riporta il percorso dei Canti alla macchia in quella dimensione di reciprocità col mondo e intercambiabilità dei segni figlia di una relazione strettissima fra soggetto e oggetto. Questa è poi trasportata sull’opera nella maniera in cui ogni atto di linguaggio riconduce ad un processo di riflessione interna sulla lalangue della quale restano tracce. Così si torna al costrutto sociale nel quale però affiora questa tensione della lalangue che lascia tracce poi trasposte all’interno del modulo pittorico di Marullo. Se c’è un senso nell’opera è nel significato dello stile, della forma, che è parte del contesto in cui istintivamente agisce e con cui è in relazione. I Canti alla macchia di Egidio Marullo sono un atto d’amore. Il segno è una linea di orizzonte. Il momento pittorico fra mental set e costrutti visivi rimanda ad un processo di universalizzazione del particolare, in questo caso dei luoghi catturati, che nella relazione di totalità che intrattiene col luogo vengono sradicati dal loro esserci e mutati nella fibra corporea dell’autore. C’è una materia viva e pulsante. Un inserto di rovi che allattano al cielo e sedimentano poesia.

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