Francesco S. Dòdaro: dal modulo all’Internet Poetry
by Francesco Aprile
2017-03-03

 

Il percorso dòdariano mette in evidenza come il dato di una parcellizzazione dei materiali si dia in quanto propedeutico alla formazione di una società rete. La pagina, destrutturata nel concetto di modulo, è sottoposta a scomposizione. A tal proposito, l’operazione effettuata in “Ghen”, ossia quella della realizzazione di un giornale modulare, ha comportato – oltre ad una articolazione funzionale del pensiero sui tracciati della sintesi e della compressione dell’oggetto-parola, che aveva dal canto suo la peculiarità, comprimendo, di velocizzare il tessuto poietico, connotandolo attraverso  trame compositive pronte ad esplodere, ritmate – differenti modalità di lettura; ogni modulo, il cui testo non si esaurisca nello spazio di una sola unità, procede di conseguenza su di un modulo successivo. Tale processo, lungi dal darsi in quanto lineare, a differenza di quanto avviene nelle pagine di un libro o di una rivista tradizionale, mostra come i moduli, provvisti di un identificativo, il quale è posto in alto (ad esempio “M2A” continua su “M2B” ecc.), vadano a costruire una lettura-rete, una stratificazione del testo a-lineare che molto ha a che fare con un ipertesto, in virtù di successioni non omogenee, ma capaci di darsi per salti, per connessioni (l’identificativo dei moduli agiva in “Ghen” come un link). La frammentazione della pagina, attraverso il modulo, prosegue nell’esperienza del 1977 dell’Archivio storico degli operatori culturali contemporanei pugliesi; questo era stato ideato da Dòdaro in moduli formato A5, a carte sciolte, totalmente svincolati dalla pagina, ma ne ritroviamo ancora l’evoluzione nell’impostazione modulare, da parte di Dòdaro per l’editore Manni, della rivista “L’immaginazione” nel 1984 e della modularità dattilo-A4 per il “Quotidiano dei poeti” di Antonio Verri nel 1989, fino ad arrivare alle collane “Mail Fiction”, “Spagine”, “Scritture”, “Diapoesitive”, “Wall Word”, tutte caratterizzate dalla fuoriuscita della pagina dall’uniformità lineare della tradizione. La dualità di queste operazioni, ossia di essere moduli isolati, slegati, da un lato, e in connessione, dall’altro, colloca ancora le operazioni di Dòdaro sui piani di una società rete, a-centrata e cooperante, nel senso di connettiva. Questa connettività della fruizione, esercitandosi sulla falsariga dei link del web, prima del web, si ripropone nell’esperienza dell’autore pugliese in relazione all’esplosione del villaggio globale internet, ovvero con l’ideazione della collana “Internet Poetry” per Conte Editore nel 1995, prima esperienza italiana di net poetry. La net poetry si è diffusa nel mondo a partire dal 1995 in diversi paesi. La prima esperienza italiana, perfettamente coeva alle primissime esperienze mondiali, dunque da ascrivere fra le prime sul piano internazionale, è rappresentata dalla collana “Internet poetry”, la quale era suddivisa in due edizioni bilingue (italiano-inglese); a quella online (pubblicata come iper-testo su www.clio.it/sr/ce/ip/home.html, oggi non più sul web) faceva seguito un’edizione cartacea, di più ampio formato rispetto al medium cartolina, ma comunque spedibile. Il primo titolo pubblicato fu “A tre deserti dall’ombra dell’ultimo sorriso meccanico” di Elio Coriano (1995), Premio Venezia Poesia nel 1996. Il tracciato guarda sempre ad un orizzonte multiplo accogliendo le evoluzioni dei media, l’impatto e le modificazioni che questi apportano sulla realtà dell’attore sociale, nonché la ricerca genetica volta dunque alla rifondazione dell’anthropos, collocando anche questa esperienza editoriale sui percorsi dell’alterità. Scrive Dòdaro, introducendo la collana “Internet Poetry”:

 

«L’anthropos, perdutosi tra le folle medievali, moderne, contemporanee, riappare nel Villaggio, nella telematic age, con la sua identità, i suoi segni, a digitare il suo pensiero pensante, il suo desiderio, l’urgenza della comunione. Questa collana vuole ascoltarlo»[1].

 

L’elemento principe del passaggio dal cartaceo all’online, nell’opera di Francesco Saverio Dòdaro, si rivela, dunque, oltre che una propensione dell’autore alla ricerca delle commistioni fra parola e new media, l’esperienza del modulo come scomposizione della pagina editoriale nella rivista “Ghen”, al punto che su Repubblica, nel 1979, si poteva leggere:

«tutto lasciava pensare che la vita del Movimento arte genetica sarebbe stata grama: l’aria che circola in Italia (e non solo) non è propizia all’avanguardia. Invece il movimento prospera, il periodico (“Ghen/arte”, con un’impaginazione faticosa che stimola a pensare) è in edicola per la terza volta, le adesioni e le simpatie non gli mancano»[2].

“L’impaginazione faticosa, che stimola a pensare”, è quell’elemento che implica modificazioni nelle modalità fruitive, dunque una diversa interazione che si riflette nel rapporto oggetto-rivista/lettore, dove quest’ultimo, nella scomposizione della pagina e conseguente fruizione a partire dall’assemblaggio dei moduli, rinviene nel corpo di “Ghen” un elevato tasso di coinvolgimento, di stimolo e autonomia; è proprio nell’autonomia che risiede la scelta del fruitore il quale, come sul web, articola e costruisce il proprio percorso.

[1] Dòdaro F. S., Introduzione a Internet Poetry, in Coriano E., A tre deserti dall’ombra dell’ultimo sorriso meccanico, Lecce, Conte Editore, 1995

[2] Articolo comparso in La Repubblica del 19/20-08-1979

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