Esegesi di una rinuncia
by Francesco Aprile

Estratti da Aprile F., Exegesis of a renunciation, Uitgeverij, 2014

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«haleine y ps y pour / pour une âme bien muette / my mu été / muette / parole / absente»
Emilio Villa, hisse toi re d’amour da mou rire, Torino, Geiger, 1975

1.
francesco aprile - esegesi di una rinuncia-1
2.
La scrittura come movimento. Il rapporto che intercorre fra autore e gesto e contenuto si esplica, fra le diverse declinazioni, nel piano vitale del movimento. L’apparato segnico che procede, dunque, dall’immagine, si relaziona al movimento perché è ciò che è insito nell’immagine e nel costrutto percettivo dell’attore sociale. La parola è mediatica e si nutre, nelle sue affermazioni storiche, dell’immagine, dalle forme del paleolitico ad oggi. La separazione mcluhaniana fra segno immagine e suono retrocede nell’afflato contemporaneo in seno ad un approccio transmediale che connota le scritture di ricerca di nuovi piani restituendole ad un processo vitale, dunque al movimento, al di là dello spazio della separazione che è nel processo di lutto, per questa stessa separazione, individuato dal sociologo canadese.

3.
Matrice del movimento è la forma del desiderio che nelle sue declinazioni connota l’elemento pulsionale, cardine, del linguaggio nella sua tensione di raccordo, di rapporto e congiunzione (Dòdaro, 1979) per quella manque à être come causa primaria per la separazione del soggetto dal complemento materno (Dòdaro, 1979). Non una “pretesa di”, ma un “desiderio di”, come movimento desiderante.

4.
Il passaggio da modalità di ipo-comunicazione a contesti di iper-comunicazione segna il processo di irritazione e risposta intellettuale come inibizione sentimentale. Il desiderio è oggettivato, l’Altro entra in un processo di destituzione, di svestizione.

5.
L’estensione del corpo da parte dei media, in un trittico Freud-Lacan-McLuhan, si riaffaccia nei new media come amplificazione estrema e artificiosa del miroir primario, archetipo, maternale (il primo media: il corpo della madre). L’attore sociale è narcotizzato nella proiezione della proiezione di sé, del numero come elemento inconscio, intimo e legato al senso del tatto (l’incontro, il contatto). La torsione psichica e sociale che ne consegue è una comunicazione interrotta nelle proiezioni delle proiezioni delle nostre intimità nelle scorrerie numeriche della nuova comunicazione. L’Altro è barrato. Coazione a ripetere di tentativi archetipi, antichi, intimi, individuali ed anche collettivi perché universali, di ricongiunzione affiorano in maniera scomposta e nervosa, nevrotica e morbosa: conflittuale.

5.1
La narcosi sociale.

6.
Esegesi di una rinuncia. È la cognizione di una lingua a volte incompiuta, non affiorata, rinunciata e che rinuncia a condizionarsi lungo le coordinate dell’emerso e inconsapevole perché poco desiderante. Una scrittura come desiderio di linguaggio, magmatica perché incompiuta e inaffiorata, ancorata alla matrice del guazzabuglio originario, archetipo, che sfonda la bordatura della das ding per lanciarsi nel movimento desiderante che appartiene al contatto dialettico della comunicazione, della pulsione “primaria” del linguaggio.

6.1
La pervasività mass-mediale come interruzione del rapporto con l’Altro, prima rimbaudiano poi lacaniano. Il linguaggio frana lungo i binari di una comunicazione interrotta. Le relazioni sociali come luogo privilegiato dell’azione dei grandi poteri che nel salto paradigmatico da un assetto sociale ad un altro diverso, immateriale, scavalcano la possibilità per l’attore sociale di costituirsi come soggetto storico, lungo i tratti di una fluidità immateriale che di continuo nasconde l’obiettivo allo sguardo collettivo.

7.
In questo contesto ritroviamo alla base del linguaggio poetico alcune tipologie di parole. Di queste, due paiono presentarsi o come parole subliminali – che si nutrono dell’apparato giornalistico-pubblicitario – o macerate, fattesi poltiglia causa comunicazione interrotta. Queste ultime si sostanziano come un morso di godimento dimenticato, che in pulsione, incontrando i limiti del corpo, pare scorgere il corpo stesso, al di là del corpo performativo, come luogo privilegiato, attraverso il linguaggio, del discorso artistico. La parola è macerata sulla pagina. È una poltiglia, è al capovolgimento semantico del corpo dell’Altro, inteso come punto nullo dal quale partire per fare esperienza di sé e del mondo, nella rilevazione della sua interruzione.

8.
Una scrittura come desiderio di linguaggio. Una scrittura del tondo archetipo, non del “resto” come fondamento ordinativo-repressivo della civiltà.

9.
Das Unheimlich freudiano. Il perturbante. Ciò che è inaffiorato, nascosto ma vicino, in casa, che potrebbe affiorare. Qui proposto come pratica autorale, eppure traslato. Unheimlich. Visto in quello stesso linguaggio così vicino, eppure nascosto perché inaccessibile, familiare perché in noi, in casa, ma perturbante perché ancorato all’inaccessibile esperienza primaria.

10.
Il fantasma di tale godimento perduto, di tale linguaggio smagnetizzato, si propone come le diverse articolazioni storiche che la parola in questo contesto vede realizzarsi. Il linguaggio artistico come pratica estetica della parola macerata, dell’isolamento dell’uomo, un linguaggio-poltiglia fattosi contrazione estetica, fantasma d’un residuo, di godimento, di linguaggio, di desiderio.

 

Testi citati:
-DÒDARO, F. S., Dichiarazione onomatopeica, Lecce, Ghen Arte, 1979
«Il linguaggio è una congiunzione. Il linguaggio è una “e”»
-Dòdaro, F. S., Codice Yem, Lecce, Ghen Arte, 1979

 

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