Modulazioni granulari. Tre giovani autori: Francesco Aprile, Cristiano Caggiula, Egidio Marullo
by Giancarlo Pavanello
Il ritornello che i giovani autori si sentono ripetere di continuo è “tutto è già stato fatto nel Novecento, tutto l’abbiamo fatto noi fino alla fine del secolo scorso”. Già: sia in ambito letterario sia nel campo delle arti visive, fino all’esaurimento della ricerca e delle sperimentazioni, fino all’azzeramento, all’impasse. “Dopo di me il diluvio”. Il vuoto. Il “grado zero” [alludendo anche a Roland Barthes, che se n’era reso conto assai per tempo]. I più furbetti fra le nuove e le nuovissime generazioni fanno finta di niente e si mettono a copiare, se non a saccheggiare, gli artisti e i poeti di primo piano ma non necessariamente famosi o quantomeno ignoti alla maggioranza degli utenti dei mass media. Invece i più avveduti e i più seri, ossia i più colti, affrontano la situazione con calma determinazione, cercando con caparbietà di inoltrarsi in percorsi personali alla ricerca di pulsioni poetiche-grafiche-pittoriche il più possibile sorgive.
Parallelamente anche lo sguardo critico di ognuno di noi che operiamo nel XXI secolo ormai abbondantemente avviato si è appannato con la crisi dei grandi metodi critici. Restano le intuizioni, quelle che in gergo si chiamano “il fiuto” del talent-scout, una pasoliniana “descrizione di descrizioni”, una neo-critica impressionista? Forse. Forse semplicemente quello che dovrebbe guidare ogni vero collezionista: incuriosirsi e appassionarsi a qualcosa o ad alcuni autori o a una tendenza letteraria-artistica e indicarne le caratteristiche senza aspirare all’infallibilità. Tre esempi:
Francesco Aprile. Fra “scritture sbagliate” e pittura [e perfino pittura incline allo spessore materico], il tentativo di una poesia sorgiva in un magma informale, accettando perfino di immedesimare il proprio operato in una “fanghiglia” da cui si possa sperare l’emergere di qualcosa di nuovo o quantomeno alcuni residui verbali, l’“asemic writing” in un “abbecedario asemantico”, fra le tecniche digitali con i loro errori e le difettose derivazioni fotografiche [il “glitch”], il tutto riconducibile alla più generica formula internazionale di “vispo” [“visual poetry”]. Insomma, setacciando questa visione critica: un mix di a-scrittura, di grafica segnica e di pittura segnica e vera e propria scrittura genuina e “dicibile” in questo periodo storico senza apparire un residuo del passato.
Cristiano Caggiula. L’”insignificanza semantica”, secondo le indicazioni stesse dell’autore, è dominante nello scrivere e procede con un’accanita frammentazione delle parole fino a renderle illeggibili. Perfino dando spazio alle parole mancanti. Sembrerebbe il vuoto della dimensione esistenziale espresso con la rinuncia a esprimerlo, semplicemente indicandolo tale e quale quasi per distrazione o perfino per sottrazione. In questo caso l’insieme dell’operazione “verbo”-visiva [per così dire] si arresta in una fase precedente un qualsiasi tracciato comunicativo. Tuttavia ci comunica una pulsione definita: l’uniformità esclusiva della scelta grafica e pittorica nella proliferazione dei segni.
Egidio Marullo. Il punto di partenza appartiene all’ambito delle arti visive più che a quello della letteratura. Ma anche in questo caso, e forse ancora più marcata, è evidente la frattura con l’operato degli artisti accaniti sulle avanguardie del Novecento fino a un vero e proprio vicolo cieco. Molti volevano essere gli ultimi della storia dell’arte, quelli che la siglavano con la parola “fine”. Dopo la fase “concettuale”, però, è stato riammesso il procedere artigianale [sia detto in senso positivo], la maestria nell’uso degli strumenti tradizionali [non sostitutivi delle nuove tecnologie, tutt’altro] ma con una consapevolezza rinnovata e in sintonia con il presente. La presa di posizione potrebbe essere la “pittura-pittura”, la “pittura analitica”. La frantumazione della figurazione con stesure limpide e fresche ad acquarello [ma non solo] che alludono a qualcosa di esterno al supporto, alla realtà, ma per restare in ambito astratto [a volte più e a volte meno]. Una colorazione a macchia vicina a una scrittura asemantica, che infatti, spesso vi si associa come un proliferare di grafismi. Un’astrazione allusiva per sottolineare una figurazione mancante o appena abbozzata.
Se queste annotazioni, e queste interpretazioni, sono plausibili, non stupisce che questi tre autori abbiano deciso di produrre sperimentazioni a sei mani, mescolando il loro operato, che comunque ci permette di distinguerne la personalità nell’ambito di una stessa mostra.
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