Lilith. Un mosaico (1-99)
Luca Sossella Editore, 2019
Davide Nota

 

 

1.

 

Oh Lilith, oh Eva. Contempleremo i morti? Lei scrive “BLOOD FOR SONGS” con marmellata di fragole sulla tovaglia di un piccolo bar. Torna a casa, alza lo schermo, la chat è ancora attiva. Un uomo sui quaranta scrive: “fai il 4 cn la mano”. Lei digita “INSANE FOR THE DESTINATION”. Poi mostra il dito medio e compie la verifica richiesta.

Ho sognato il mio piede mutare in tante piccole farfalle, molte ali leggere, era il mio corpo che evaporava ma chi ero se non ero più, chi mi guardava? Il segreto è scrivere risponde la voce solo lettere ad un amico fedele. Ma sono tutti diventati gli altri, alla ricerca di una posizione. Fratello dʼaltro secolo, il tuo nome è composto anche dalla mia voce. Apprendo segnali lungo il percorso dove non la scissione ma lʼebbrezza degli alberi si espande senza esitazione non dimentica il passaggio un cerchio dentro lʼaltro un anello infinito mentre nel cielo fiorito esplodono le profezie stellari. Ma sono tutti diventati gli altri, alla ricerca di una posizione. Vogliono credersi salvi per giudicare, alla maniera dei padri.

Quando la natura cominciò a mutare alcune pietre scivolarono nellʼacqua, poi si fecero serpenti e tu non eri ancora nata anima grande ma qualcosa doveva pur accadere perché questo filo dʼerba fosse posto tra le pagine secche del mio diario.

Così avvenne che una piccola foglia trascinata dal torrente si trasformò in un rettile e poi prese fuoco, perché il poema della gravità terrestre non altro dice che questo: metamorfosi ed amore.

Lei scrive “attendimi per una sigaretta davanti allʼedicola tabacchi in via Gorizia n.6 va bene?”. Qui comincia lʼavvento.

“Questo è per te”, mi dice (ti dice). Oh iniziata dai lunghi capelli neri, con una tunica rossa dal colore del legno che brucia. Dopo lʼimmagine conduci questo cieco nel mistero della tua grotta, tra i cuori verdi dʼedera e una gola dalle acque laccata. Ma persino uno smartphone ha la sua anima di faggi e un monastero risalente al secolo quattordicesimo. E lʼarco naturale fu così varcato, perché il miracolo della destinazione fosse compiuto.

Dopo lʼamplesso dico (dici): “Oh donna dai capelli di piccolo cane che dorme, i tuoi occhi nascondono unʼavventura.”. Lʼha solo pensato? Lei risponde cantando.

Un alveare di nylon, è una finestra, è un quadro marchigiano che attraversano lunghi capelli di luce di vento di vetro di tempesta è un temporale il mondo si sporge tra le fronde annerite e grandina ma siamo ancora vivi penso ho pensato in qualche parte del corpo ho deposto il mio passato dove la campagna insorge dalle crepe di un ponte abbandonato perché un gesto minuzioso era da compiere per trattenere la catastrofe fino a domani.

Dobbiamo riportare in vita i morti, le dico.

Addio. Addio. Vi lascio dove vʼho incontrati.

 

6.

 

È bello eiaculare in ogni modo e sempre eternamente leccare ed essere leccati sfondare muri innervati oppure essere sfondati in uno stato di grazia permanente, privi di personalità. Ma questi ragazzi ne facevano una grammatica. Il loro compiacimento mi nauseava. Pareva non soffrissero di nessuna esperienza. Solamente si testavano in quella omologazione di cui dovevano pur aver sentito parlare da qualche parte. Essa passava per la dimostrazione di avercela fatta. E avercela fatta voleva dire sghignazzare.

Vicino alla fontana una carcassa di micio è un ripieno di vermi di pistilli bianchi dalla testa rosa di cerino un fico spaccato in filamenti umidi ondosi mossi dal vento di foglie di falde di spermatozoi allʼassalto di un ovulo di sangue era un animale simpatico, una creatura adibita allʼincontro, adesso è qualcosa di nuovo, adesso è altro, eppure ha ancora un dentino, un piccolo dente bianco e aguzzo che si spinge dal musetto intatto rialzato. Leggevo Nietzsche, intanto, con una certa venerazione, nella misura in cui amavo riconoscermi in tutto ciò che egli definiva il male. Oh sì, viva gli storpi! Viva il cattivo gusto! Viva Gesù Cristo, il principe del caos! 

In un paese assolato e senza denaro, commerciando qualunque cosa allʼombra di un albero, si può pur sempre filosofare fino alla morte dice un giovane angelo stringendo il suo frutto non più proibito in mano.

 

7.

 

Non vi era più arte possibile al di fuori di unʼesperienza fisica estrema. Unʼavventura tangibile. Il resto era ogni cosa, ovunque. Parole… Ricordami chi sono. Ti prego, picchiami un poʼ. Oh maionese, maionese, sopra dorate patatine croccanti. Ed un cheesburger di carni scelte, con del bacon e molto formaggio. Fiume, fiume, in un bosco di faggi. E una cascata dove nasce la dea ogni estate, quando le fate ubriache spompinano il viandante. Lo schermo dellʼI-phone è un affresco sudato. Threesome. Amateur. Shared wife. La camera è nascosta in una libreria tra i libri di poesia e qualche indumento. Lui li osserva dallʼalto, su un soppalco in penombra. Segue la performance chiedendosi se è davvero reale. Inquadra da una camera a infrarossi lʼesibizione come non esistendo. I corpi sono verdi come le vittime di un raid militare. Dopo discende, offre un caffè al ragazzo. Scherza con lei, le sussurra qualcosa allʼorecchio. Il ragazzo chiede lo zucchero. Gira.

La nostra non è unʼepoca di promesse ma di pietre mutanti in cadaveri mai nati in un piccolo bosco che brucia mi addormento con la ventola surriscaldata del portatile sullʼesofago è un tombino rialzato fumigante in una strada oscura di Manhattan tra coccodrilli e tartarughe molto abili nelle arti marziali, alla corte di un topo vendicatore, divoratrici di tranci di pizza margherita consegnata ogni sera alla stessa ora da un ragazzo cinese di ventʼanni con un ramo di ciliegio tatuato sullʼavambraccio destro per coprire unʼabrasione. Unʼesplosione che scardina le nostre deliranti certezze. Pietose digressioni preregistrate dentro un cranio blindato da un esercito invasore, questo è un posto lei dice dove crescono ancora i fiori e una principessa nordica si ammala di tristezza sui binari di una piccola stazione dove cigola eternamente il regionale da Avezzano a Pescara. Unʼampolla di vetro. Essa si frantuma come unʼampolla. Era stata forgiata da mani sapienti. Era stata soffiata dai venti dellʼEst… Ora giace sulla banchina come un ubriaco moldavo. Una ragazza fotografa con lo smartphone un rettangolo di mare ad alta definizione. Il display si adagia sullʼangolo smussato del finestrino come un modulo del multischermo di una allnews.

Dobbiamo ambire al magico io dico senza essere ripugnati dalle trasmutazioni in orgia dalla dissolvenza delle identità nella crudeltà di un carnefice immaginario avrei bisogno dico che tu mi scopi come se fossi un uomo.

“Va bene”, mi risponde, amorevolmente.

Un giorno ce ne andremo su di unʼastronave straniera, alla ricerca di un pianeta gemello ove tradurre lʼintera creazione. Noè venturo, mio unico amico, saremo mai felici?

“E perché mai dovremmo esserlo?”.

Si incontrano alle venti e zero sette sotto la Torre degli Asinelli. Quando lei arriva ha ancora addosso gli abiti da cameriera.

“Ma sei davvero una studentessa?”.

“Certo che lo sono.”.

“Da quanto tempo incontri?”.

“E tu, da quanto?”.

“Lo fai solo per soldi?”.

Sorrise.

“Indossa, ti prego, delle calze autoreggenti. Cerchiamo di essere, tutti e due, entrambi.”.

 

27.

 

Petra si allaccia lo strapon borchiato nero. Copre la lampada, ridiventa Lilith. Intinge le dita in un vasetto di vasellina. Non si deve avere fretta di dire molte cose pensa, basta partire dai dettagli. Petali nitidi bianchi come la pelle dei morti orlati di viola. La mano si struscia sullʼano come una salvietta mentolata. Fiume, fiume. Chi ti cantava ancora?

 

28.

 

Dobbiamo riunire la vita e la morte dice, il maschile e il femminile, la gioia e il dolore in un unico pomeriggio dʼestate ubriachi di vino tra le pietre assolate. Guedi si abbassa i pantaloni ridendo come un bambino. Lilith lo afferra per i glutei e lo trascina a sé. Giorgio si accende una sigaretta in balcone. Lo schermo della porta-finestra incornicia la visione. Alle sue spalle il fruscio del mare Adriatico si svolge come una traccia campionata in postproduzione.

 

29.

 

Corpi sdoppiati, replicati senza pietà. Due torri gemelle eiaculano in minima differita.

 

30.

 

Dovremmo abituarci ad essere visualizzati in ogni elemento della nostra scansione. La vita interiore si è capovolta. Lʼintimità si è fatta schermo. La maschera rivelazione.

 

31.

 

Nudità anonime in autocombustione. Spalancano ferite su palchi sovraffollati. Espongono radiografie cartelle cliniche genitali di fronte a platee deserte, fino al sacrificio finale.

 

37.

 

Questa è una grande vigilia. Domani saremo gli antenati di carne. Gli adoratori organici della nuova prole. Il dominio dellʼutile non prevede ambiguità. Avanti non è indietro, nuovi alfabeti, funzioni.

Unʼepoca di sangue lenirà questi entusiasmi. Un barbarico black out quando il sole prenderà provvedimento.

 

39.

 

Il ritmo è un rito di autoipnosi attraverso cui emergono gli oggetti assassinati. Ma volevo dire altro, no, voleva… Lʼho dimenticato. Oh quanto grande appare, eppure, eppure. Fa emergere lʼarpia questo vedevo dʼansia che molesta il cuore. Anima oscura, che dalla radice invisibile benedici il collage mutazionale io ti chiamo EDIVAD o sonda Cassini precipitata sfiorando la meta finale la muta nel cielo violato di Saturno il grande vuoto è un segnale elettrico più acceso ora spento, era nata nel 1996 come noi che oggi moriamo. Io non sono cosciente né inconsapevole, ha detto. Ero stata lanciata. Tu mi avresti creduto? Avremmo visto? Vi era in lei un lessico nuovo fatto di gesti emergenti dal mare. Un mare mai visto se non nei sogni lucidi della disperazione. Le vite che ci precedono fanno ritorno stratificate un pomeriggio qualsiasi. Non solamente avanti, indietro. Una sfera ha mille occhi per vedere. Nellʼuscio scorrevole di un autogrill. Nel parcheggio di un grande ospedale. Nel ronzio elettrico in cui una donna solleva le pietre. Del volto. A suo tempo. Le ferite fioriscono lentamente, ho risposto, mentre la lavatrice ha ripreso a girare.

 

45.

 

A sette anni lanciai una chiave dalla finestra ridendo dunque fui messo in punizione perché allora conoscevo i miei poteri. Una pioggia di opinioni poi venne sedimentandosi in varie angolazioni ma nessuna conteneva lʼelemento rappresentato. Inizialmente il sogno e la vita erano una stessa cosa. Il corpo galleggiava. Poi lʼocchio iniziò a convincersi di avere ragione, come una cellula tumorale in espansione da migliaia di anni. La malattia è sempre un principio di personalità. Essa si posiziona allʼinterno di unʼepica. La lirica è un ritorno agli occhi chiusi nel sole. Prima del distacco iniziale. Ma questo è impossibile.

Corridoi, ascensori, stanze. Di chi erano le voci che lo abitavano? Chi lo invitava a una qualsiasi parabola lungo le possibilità della sua ipnosi? Saliscendendo, da cui non si esce mai, nel labirinto occhiuto della grammatica tridimensionale? Pensarvi un contenuto sarebbe stato troppo umano. Petra lo aveva bendato serrandogli la nuca con una t-shirt annodata. Gli aveva stretto i polsi con una calza di nylon. Se chiudi gli occhi il pensiero si combina da sé, aveva detto. Questo ho imparato. Continua.

Aveva voglia di vomitare, di cavarsi gli occhi, di darsi in pasto alle arpie del pensiero. Osservava il mondo come un ologramma. Lʼuniverso è un programma informatico, disse. Lo aveva letto. Adesso lo aveva pronunciato. Un computer quantistico, è la ricerca di un tale. Era il corpo dellʼuomo una volta. Lʼuomo universale. Sono cose che cambiano. Hai gli occhi troppo aperti, rispose Petra. Forse hai bisogno di una lezione.

 

53.

 

Chiuse gli occhi e immaginò di essere sotto la pioggia di maggio, quando la terra freme di una sete feconda, il cielo si chiaroscura e ovunque il bosco emana un forte odore di terra bagnata. Quando usciremo da questo surrogato inodore e toccheremo finalmente le cose? Lei non capiva più se la stavano profanando o se era lei stessa a partorire quel macchinario.

Oh quanto tʼamai sognando incredibili verità di puro tatto. Cascate del Njagara… Lì vidi lʼindiano. Su un tetto di Pescara  scrissi la mia prima poesia. Fiumi italiani gorgoglianti ruscelli fruscianti se vivo è solo per potervi un giorno di nuovo leccare. Nel giorno in cui Mitra emanerà le sue benedizioni… Io allora ero un poeta quando non avevo parole da usare che non fossero balbettii tremori di troppo pudore come vergognandomi della mia voce indecente. Nella carne che chiamava Madame Noire adesso si manifestava orizzontalmente come una statua levigata dai neon della cripta ospedaliera. Non più rughe sugose di tessuti elastici ma una nuova agonia ne aveva ricoperto i lembi di neve. Dopo essere esplosa ora implodeva come il respiro di una supernova.

Simbolacci, parassiti dellʼanima, chincaglierie e tafani in una palude di centrini e bicchieri di plastica bianchi gonfi di cenere e gusci di scampi, vorreste forse commuovermi? Il vostro lessico è risaputo. Io non vi sogno più nemmeno angeli ma marziani e robot. Dellʼicona programmata in HTML dove in una coppa dorata ruota il cuore della moglie di un camorrista, cosa vorreste dirmi? È lʼassenza del sesso, sotto gli abiti non cʼè più niente. Una patina bianca che secerne un siero. Una piscina di plastica abbandonata sotto le intemperie a ristagnare e sgonfiarsi. È ripugnante lʼasessualità. La deprivazione sensoriale. Lʼodore che secerne è acre, inavvicinabile. Ci scaviamo solcando una ferita che sanguina dove un tempo ci sfiorammo appena. Continuare è impossibile, la pelle irritata senza libido si gonfia come per un veleno mentre i lampioncini della corte esterna si spengono e i colleghi travestiti da camerieri si accasciano ad uno ad uno riversi sotto la costellazione del padronato.

 

55.

 

Partiamo da Macerata in prima mattinata. Lei piange perché finisce unʼepoca. Nel parcheggio del centro commerciale il cielo è allucinato bianco grigio metallizzato sui filari dei carrelli in vimini incapsulati a gettoni sbloccanti dove piove e cʼè il sole. Ma non piangere le dico di catrame e argento sei soltanto nata, il viaggio è appena iniziato e anche la morte sarà unʼavventura.

Un odore di viscere marine, sudore acido e borotalco. Un odore di gomma bruciata sul manto autostradale. (Il colore dellʼestate è il viola, in olio lucido su legno tarlato, oppure acrilico su benda medicale o vernice industriale sullʼinferriata di un garage, la cui ruggine leccandola è frizzante.)

Parole di pioggia, parole ghiande, parole fungo sotto cui passa uno gnomo. Parole grandine etc. Dove vi eravate ficcate?

Cʼè tutta questa grande quantità di vita nuova, estese praterie colline gli alberi tipo i platani ombrosi il grano e a cosa può servire una poesia. O suoni dʼacqua. Dal gocciolio alla sorgente (a ritroso). Vedevo opere accorgendomi di non trovare più in esse nessuna potenza espressiva. Rituali codici procedure attraverso cui realizzare una tentazione di esistenza (impossibile a darsi). Corsie di scorrimento (standard). Eppure quanto sogno.

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