ImmagINI prima e dopo l’INImmaginabile
by Angelo Merante

 

Apollinaria Signa,il nostro secondo manifesto, nel prossimo settembre sarà diventato maggiorenne. Intanto, anche molti non inisti si sono accorti che il trascorrere del tempo ha reso quanto mai attuale il contenuto nel documento. Diventa perfino frequente che dall’esterno ci vengano segnalati determinati passi del manifesto in cui, di volta in volta, vengono individuati elementi che corrispondono a un sentire oggi diffuso, o che contengono idee o prospettive avvertite e condivise.

Per noi inisti, in estrema sintesi, l’importanza di quel testo resta primariamente legata al tema generale dell’avvertire il progressivo estendersi della poetica inista oltre il dominio poetico stesso (volendo ancora indicarlo secondo l’accezione comune), attraversano i piani speculari della conoscenza e della coscienza, per introdursi pienamente nella vita – in tutti i suoi aspetti – e alimentarla creativamente.

Occorre sottolineare che Apollinaria Signa sanciva la conclusione della nostra fase pionieristica. Si era chiuso definitivamente un intenso periodo preparatorio di ricerca e auto-conoscenza che, dall’originario affermare la nuova identità poetica, fondata sull’astrazione dell’inia e sui simboli della fonetica internazionale, ci aveva condotti all’inedita polifonia di un nuovo sentire, a una visione/lettura ampia e carica di suggestioni. Da quel momento, puntavamo alla realizzazione piena e matura di quanto, fino allora, era stato visto e sentito, assorbito e confrontato, sperimentato e verificato.

Un’altra valenza – questa volta, programmatica – può essere ricavata dalle precedenti considerazioni. Nello stesso documento infatti si affermava che – tanto nelle opere quanto nell’essere – il sentiresi stava ormai traducendo, in modo sempre più esteso, in fare.Si era dunque deciso l’avvio di una fase “operativa” in cui le coordinate della nuova estetica si fondevano – per la prima volta in modo così esplicito – con una visione etica altrettanto nuova, per riflettersi inevitabilmente in tutti gli aspetti creativi del nostro vivere, agire e interagire.

Se l’attuale aumento di attenzione verso questo nostro manifesto, al pari di altre forme di riconoscimento, può attestare la validità di scelte compiute – e appunto manifestate – quasi due decenni fa, va anche precisato che tali scelte noi inisti già le consideriamo antiche,non avendo cessato di essere proiettati in avanti.

Un fenomeno analogo interessò il nostro primo manifesto, Qu’est-ce que l’Internationale Novatrice Infinitésimale,pubblicato a Parigi nel settembre del 1980. In quel caso, tuttavia, il fenomeno fu individuato e compreso dapprima all’interno della militanza inista.

Dopo un lasso di tempo dello stesso ordine di grandezza, nella primavera del 1996, Bertozzi aveva segnalato, a me e ad altri inisti, l’esito delle sue riflessioni inmerito alla collocazione temporale di quel testo. Convenni che la concomitanza tra gli eventi che avrebbero segnato gli anni successivi e gli effetti – non solo in ambito poetico – che sarebbero derivati dalle istanze della nuova corrente creatrice non poteva essere ritenuta occasionale. Le prime istanze iniste erano state infatti manifestate attraverso un’essenza fortemente connotata in senso ideologico. E tutto ciò era iniziato proprio nel 1980, dunque mentre quasi tutte le ideologie fino allora largamente accettate e condivise, nelle quali si militava e per le quali ci si batteva, cominciavano a rivelare i primi segnali della loro irreversibile crisi.

Bertozzi ha giustamente insistito – e puntualmente riferito (Messina ’96, una data da ricordare!)– che, in contrapposizione alla caduta delle principali ideologie, rinismo era nato e si era propagato ovunque, era rimasta l’unica fonte di istanze, poetiche e non, atte a motivare un senso al termine avanguardia. E – come attestano le prospettive e i programmi che stiamo confrontando nei lavori di questo Convegno – tali istanze sono quanto mai vive e vitali, tuttora in continua evoluzione ed espansione.

In entrambi i casi, dunque, sono stati i tempi a raggiungere, a rendere attuali, le idee che nel momento della loro pubblicazione non erano state completamente comprese, accettate. E non avrebbero potuto, appunto perché di idee nuove si trattava. La storia si ripete. Si ripeterà.

Il nuovo Manifesto della Critica inista cita opportunamente alcuni contenuti formulati, 18 anni fa, in Apollinaria SignaIndica le coordinate per il proseguimento del tragitto finora compiuto. Ne espande le prospettive e ne amplifica portata e implicazioni. Attesta, in modo deciso, che il tempo in cui viviamo, operiamo, creiamo, ha finalmente raggiunto quelle idee sviluppate,manifestate, quasi due decenni prima. Le coscienze, pure, nei casi migliori, le hanno raggiunte. E si predispongono per “leggere”, nelle condizioni migliori, i manifesti successivi, da quello sulla Videoinipoesia a quelli su\YArkitettura nwovae sulla Fotografia inista, passando attraverso gli altri testi che ne recano la valenza – siano essi manifesti propriamente detti o documenti non esplicitamente tali – da quello su La Realtà virtuale, agli interventi teorici su L’ Inika Sonorika o la Moda inista.

Le istanze e l’energia di questi documenti seguitano a operare. In area creativa, e oltre. E tutto lascia ritenere che anch’essi, negli anni a venire, saranno – di volta in volta, se considerati singolarmente – riconosciuti forieri di intuizioni (ma altro non sono che uno specchio del grado di sentire la storia, eventi e ragioni, ma anche il caso organizzato che ne articola lo sviluppo) e di “anticipazioni”. E sono altrettanto sicuro che sarà una “scoperta”, una sorpresa anche maggiore per chi – qualora volesse abbracciare in modo simultaneamente coordinato l’intero corpus teorico e programmatico dell’Inismo – si sarà dimostrato capace di coglierne lo svolgersi ininterrotto di idee, novazioni.

Intanto, noi inisti – felicemente costretti dalla nostra essenza a restare avanti – stiamo (si accetti il neologismo) INIevitabilmente predisponendo i prossimi, inimmaginabili, percorsi.

Prima di ripartire, tuttavia, vorrei ricapitolare gli esiti di recenti riflessioni sul ruolo delle immag’INI nella poetica, inista e non (volendo cogliere almeno alcuni aspetti storici ed evolutivi).

Affrontare lungo le coordinate critiche iniste il ruolo delle immagini nella poetica ha rapidamente dovuto fare i conti con due istanze, straordinariamente seducenti per risvolti e prospettive: comparazione e complessità.

La prima si individua nella necessità di cogliere in modo unitario fenomeni finora (erroneamente?) considerati poco o affatto collegati e, in quanto tali, separatamente trattati (ora la domanda pare almeno retorica: erroneamente?) La seconda riguarda l’approccio ai sistemi strutturati in rete (soprattutto, nel senso indicato dalla Scienza della Complessitài cui ambiti di studio e ricerche sono oggi molto in auge per le applicazioni in discipline quali la fisica e la biologia, per nominare almeno un paio di esempi).

Per quanto riguarda il primo punto, non occorre dilungarsi sull’impegno inista per il superamento dei generi, dei settori operativi, nel contribuire a scardinare quella frammentazione, figlia della super specializzazione, che fino a pochi anni fa ancora pervadeva in modo quasi esclusivo tutti i campi dello scibile, connotando fortemente il mondo della ricerca scientifica. È significativo l’essere riuniti in questo Convegno, accolti dal Dipartimento di Studi Comparati. Non ricordo con precisione l’anno della sua istituzione, ma è certo che, fra i tanti, costituisce uno dei primi effetti di quel sentire nuovo da noi segnalato già nel 1980. Tale Dipartimento rispecchia perfettamente una tendenza che oggi sta accomunando molti ambiti di studio e ricerca nel restituire priorità e rilevanza al metodo comparativo. Oltre fisici, chimici, biologi, medici… l’elenco di studiosi nelle discipline coinvolte si potrebbe prolungare a dismisura e raggiungere i filosofi e gli storici della scienza, o gli architetti (caso organizzato, volendo accentuare il richiamo all’approccio comparatistico contenuto nei contributi inisti per VArkitettura Nwoval).

Per quanto riguarda il secondo punto, lo studio delle reti e – in generale – lo studio della complessità, va precisato che è assai più vicino di quanto si possa immaginare all’esperienza diretta di tutti noi. È il nostro cervello, il suo stesso piano strutturale, a essere infatti organizzato come una rete. Una rete estrema- mente complessa che collega fra loro un numero elevatissimo di nodi. Un numero paragonabile, grosso modo, al numero di stelle conosciute. E collega tali nodi con modalità che variano da un individuo all’altro e anche nel tempo, rimodellandosi continuamente e assumendo conformazioni differenti di giorno in giorno in ogni singolo individuo, pur rispettando una serie – purtroppo ancora imprecisata – di coordinate comuni.

Il nostro sistema percettivo, il nostro modo di acquisire informazioni, catalogarle e consolidarle in memoria e conoscenza appaiono del tutto simili a quanto si evince dalle descrizioni delle reti complesse. Nondimeno, il nostro modo di anticiparee prevedere, di stabilire collegamenti, di usare la memoria e l’esperienza, di tradurre il pensare in azioni, di compiere scelte e decisioni e tutti gli altri meccanismi attraverso i quali ci relazioniamo col mondo circostante (in senso materiale e non), risultano legati a quanto si deduce analizzando le reti complesse.

In altre parole, da sempre usiamo la rete formata dai nostri neuroni. Spesso, senza saperlo. Del resto, quasi mai conosciamo a fondo il piano costruttivo o i dettagli strutturali e funzionali delle macchine che utilizziamo. Di più, nell’usare la rete dei nostri neuroni, facciamo ricorso (in modo quasi sempre inconscio, automatico…) alle modalità operative e alle strategie proprie delle reti.

Le ricerche che alimentano le nostre teorie sull’immagine (da Apollinaria Signa al Primo manifesto della fotografia inista) si fonderanno, oltre che sul superamento dei settori operativi, sulla consapevolezza dell’approccio non lineare alle reti complesse. Nelle opere creative, in poesia – ma ciò non desta gran sorpresa, in considerazione della rapidità con cui la poesia precorre… – la presenza di istanze non lineari riconducibili alle reti è rintracciabile fin dai prodromi dell’attività inista, le poesie tridimensionali, Voci parallele (Bertozzi, 1979), costituiscono il primo riferimento che la mia memoria suggerisce. Anche chi scrive non ha difficoltà a scorgere tali connotati in molte fra le proprie realizzazioni iniste, anche iniziali, da\VAnagramma ottico (1981), al romanzo Città (1984).

Ciò che invece lascia aperti ampi spunti per più approfondite considerazioni è il forte rapporto che unisce le parole e le immagini, in tutte le opere sopra citate e, più in generale, in tutte quelle in cui maggiormente si avverte l’uso di reti complesse in fase creativa. La complessità di un fenomeno – interno o esterno a noi – chiama a raccolta, simultaneamente, tutti i nostri sensi, dalla fase del sentirea quella del fare.

L’approccio non lineare è da tempo presente anche nei manifesti e negli scritti teorici inisti. Ciò che è mutato negli ultimi anni riguarda l’estensione verso l’applicazione sistematica e, soprattutto, la consapevolezza dell’uso di tali metodiche. Anche nell’indagine critica.

L’argomento assume una pregnanza ancora maggiore nella concomitante pubblicazione del Manifesto della critica inista.

Esistono, e si sono finora accumulate, innumerevoli letture e interpretazioni critiche di tipo lineare. Oltre la critica “tradizionale”, anche in tempi a noi più vicini, e da parte di chi non ha certo nascosto la sua accesa opposizione alla tradizione, le modalità di studio non si sono tuttavia discostate in modo sensibile dai tracciati consolidati. Ne sono chiari esempi certi diagrammi evolutivi della poesia (ma anche del romanzo, della pittura, del teatro…). Essi risentono dei metodi di analisi lineare, in cui sempre si parte da un’origine e si procede attraverso una serie di fasi successive, per arrivare a un determinato evento, di volta in volta operativamente considerato conclusivo. E difficile che da tutto ciò si possano ricavare più che direttive principali, tendenze, impressioni. Insomma, “elementi” di una situazione assai più complessa e articolata.

L’uso esteso di reti analitico-interpretative, anche utilizzando gli stessi elementi, messi in mutua e reciproca relazione, viene invece a formare uno schema esegetico che evidenzia un numero assai maggiore di motivi di riflessione, restituendo similitudini, correlazioni, concordanze, contrasti, etc.Non si tratta soltanto della possibilità di esplorare eventi, segni e significati, compresi molti finora trascurati o mal dimensionati nei processi interpretativi. Si tratta di creare contributi inediti, creativi. Si tratta di espandere la realtà (anche nel senso indicato ne La réalité virtuelle,di Bertozzi) e la sua conoscenza.

Un primo esempio – condensato nella Figura 1 – intende evidenziare il salto dimensionale che si realizza passando da un approccio lineare, o semi-lineare, a quello basato sull’uso delle reti: più ampia prospettiva di indicazioni, traiettorie, interrelazioni… di risultati, di contenuto d’informazione.

Confronto tra approcci interpretativi di tipo lineare, semi-lineare, non lineare.

 

Il metodo non lineare deve essere messo in relazione con la componente comparatistica dell’indagine, altro punto fermo della critica inista. Nel manifesto – lo stralcio citato è solo un esempio – si insiste che, con l’Inismo, l’approccio comparatistico prelude a usi alternativi, inediti, creativi, degli elementi coinvolti. Anche nella critica, ove il procedimento può esplicare grandi e inattese potenzialità creative:

 

LA TRADUZIONE È IL TUTTO: TUTTO È NELLA TRADUZIONE; TUTTO È PER IL TESTO; TUTTO È NEL TESTO.

IL CRITICO È TRADUTTORE; LA SUA FRONTE È DOPPIA COME QUELLA DI GIANO.

 

Con queste parole gli inisti spingono la traduzione (anche la traduzione astratta, ovvero il rapporto tra entità dissimili) nella zona più viva e sensibile della comparatistica, terreno oggi fondamentale per ogni approccio critico.

 

Il critico coglie la transizione tra sentire e dire.

Ogni parola è una traduzione.

La comparatistica non è figlia dell’Avanguardia, ma della Sensibilità creata dall’Avanguardia.

 

La creatività incontra nelle reti il supporto ideale per organizzare e rimodellare idee, pensieri, sentimenti e la dimensione polifonica del processo (nel senso introdotto dal concetto di inia) è alimentata, sostenuta e amplificata dalla componente comparatistica. Il manifesto della critica insiste sulla centralità dell’ima nella poetica inista. La concezione inista dell’immagine – a mio avviso (ma, credo, non solo mio…) – si integra perfettamente fra le componenti dell’inia, poiché:

 

La parola è (anche) immagine.

L’immagine è (anche) parola.

Una singola parola può racchiudere tutte le immagini.

Una singola immagine può racchiudere tutte le parole.

 

L’applicazione sistematica delle reti nell’indagine critica sta producendo inattesi, inediti e sorprendenti percorsi di lettura e interpretazione. Mi sto riferendo ai primi – parziali – risultati degli attuali studi che sto dedicando al tema dell’evoluzione del materiale poetico attraverso il mutare dell’uso e del ruolo delle immagini. Proprio in ragione del loro essere ancora parziali, dunque soggetti a riscontri e verifiche, non ritengo opportuno anticipare la loro esposizione che sarà pertanto oggetto di un prossimo contributo.

Mi contraddico subito, ma solo in parte, solo per attirare – sul puro piano dell’esercizio creativo – l’attenzione sulle possibilità di correlazione contenute negli schemi interpretativi (mi piace chiamarle reti iniste di lettura nwova) riprodotti qui di seguito. Si suggerisce la possibilità di tracciare – motivandole – altre frecce fra gli elementi indicati, ovvero di aggiungerne altri, e collegarli a loro volta, oppure toglierli…

L’opera – essendo inista, avrebbe potuto essere diversamente? – è, e resta, aperta.

Figura 2. I precursori. Esempio di base per un’analisi non lineare del rapporto tra poetica e immagine.

Figura 3. – L’avanguardia e l’immagine, esempio di schema interpretativo non lineare. L’uso dell’immagine nella poetica della prima avanguardia e in quella inista