Italian performance art
by Patrizio Peterlini

ITALIAN PERFORMANCE ART Cover

Fontana G.-Frangione N.-Rossini R. (a cura di), Italian Performance Art, Genova, Sagep Editori, 2015, pp. 384, italiano/inglese

Giovanni Fontana

Giovanni Fontana

A fronte di un forte interesse per quella che è comunemente definita performance art, documentato dal numero crescente di spettatori che hanno partecipato nel corso dell’ultimo anno ad iniziative quali la “Performance Art Week” di Venezia o la “Live Arts Week” di Bologna, risponde una scarsissima produzione e pubblicazione di letteratura sull’argomento. Quest’enorme interesse verso la performance, dovuto in parte alla sovraesposizione mediatica di alcuni suoi protagonisti ed in parte ad una morbosità scopica della società contemporanea che vi trova un suo appagamento, trova ora finalmente uno strumento agile e allo stesso tempo preciso: Italian Performance Art (Sagep Editori, Genova 2015, pp. 384, italiano/inglese, € 35,00). Un lavoro poderoso, quello sviluppato dai tre curatori del libro Giovanni Fontana, Nicola Frangione e Roberto Rossini, che si apre con un apparato critico che ne delinea i confini. In questo modo il libro si propone subito al lettore come un vero e proprio strumento didattico, fornendo importanti chiavi di comprensione ed interpretazione di una pratica oramai diventata consolidata. Recuperarne non solo l’importante tradizione storica, ma anche i riferimenti concettuali che la sottendono, è una operazione estremamente importante perché votata alla costruzione di un pubblico, di un osservatore consapevole ed informato, in grado di districarsi tra le mille proposte performative che in questi ultimi anni sono spesso scivolate in sterili “esibizioni narcisistiche” o in altrettanto improduttivi “manierismi accademici”.

Nicola Frangione

Nicola Frangione

Roberto Rossini

Roberto Rossini

Chiara Mulas

Chiara Mulas

Italian Performance Art è quindi un vero e proprio manuale, pensato e concepito come uno strumento agile e di facile consultazione, ed è diviso in tre parti. La prima dona al lettore un inquadramento teorico critico ampio, che rilancia alcune tematiche storiche legate alla performance art e ne sonda alcune di nuove, emerse come centrali negli ultimi anni, quali ad esempio il nomadismo. La seconda parte offre invece un percorso storico che, partendo dalle esperienze delle avanguardie storiche, si dipana inglobando esperienze parallele, non tradizionalmente ricollegate alla performance art, ma che ne costituiscono l’humus di c(o)ultura. Mi riferisco a tutta la sperimentazione teatrale che viene qui assunta e amalgamata alle esperienze più “tradizionalmente” artistiche. Una posizione questa che chiarisce alcuni equivoci di fondo legati ad una trattazione spesso “divisionista” per cui una esperienza teatrale o musicale non è ascrivibile al mondo dell’arte tout-court. L’approccio multidisciplinare (intermedia per l’esattezza) e assolutamente nomade (concetto ampiamente sviluppato da Fontana in un suo saggio) permette invece ai curatori di questo volume una libertà di movimento che semplifica ed esemplifica molto. È il caso ad esempio della Poesia Visiva e Sonora, spesso bistrattata perché inclassificabile (cioè non ascrivibile ad una classe estetica chiara) e che invece qui, in questo volume, fa la parte del leone (assieme al teatro) riemergendo a più riprese nella trattazione dei curatori e delineandosi come vero e proprio faro, in questa navigazione per tentativi che è stato lo sviluppo della performance art. Si scopre (o riscopre) così che la Performance Art ha una lunga ed importante tradizione in Italia. Il Futurismo ha sicuramente indicato, all’inizio del secolo, la possibilità della spettacolarizzazione della declamazione poetica in una sorta di parossismo teatrale affascinato dall’allora fiorente teatro di rivista e cabaret. Ma sono artisti come Ketty La Rocca, Adriano Spatola, Arrigo Lora Totino, Tommaso Binga (legati alla sperimentazione verbo-voco-visiva) che dagli inizi degli anni Sessanta riprendono e rilanciano quest’attenzione al corpo. Questo rinnovato interesse al Futurismo (non semplice negli anni Sessanta) e alle sue sperimentazione poetiche e sonore apre in Italia una stagione che, spingendo le possibilità corporee alle estreme conseguenze, trova nel suo sviluppo dei veri e propri maestri. Sia nella pura ricerca fonetico-vocale, e qui vale un nome per tutti: Demetrio Stratos; sia nelle espressioni più fisico-corporali: da Giuseppe Desiato a Luigi Ontani; sia nelle sperimentazioni più squisitamente legate al teatro: dai Magazzini Criminali alla Società Raffaello Sanzio. Tutta questa tradizione è rimasta per anni marginale perché legata a movimenti di scarso successo commerciale, come la Poesia Visiva e Sonora appunto (verrà il tempo di una sua doverosa rivalutazione?), o ad artisti che, nonostante i loro contatti internazionali con alcuni dei più importanti protagonisti dell’Azionismo Viennese (come Giuseppe Desiato) o del Fluxus (Gianni Emilio Simonetti) e il loro coinvolgimento personale in tali vicende, hanno sempre avuto una posizione refrattaria all’ambiente artistico (mercato, gallerie, musei, etc.) relegandosi in una sorta di auto-isolamento ideologico. Ebbene, tutta questa tradizione poco frequentata, poco esposta, marginale, antagonista viene ripercorsa in questo libro con precisione, competenza e un sano spirito partigiano (tutti e tre i curatori sono infatti impegnati attivamente come performer) e ciò che ne esce è una miniera di informazioni. La ricostruzione storico-filologica delle connessioni tra i vari artisti italiani ed internazionali, che costituisce l’ossatura della seconda parte del libro, trova suo compimento nella terza parte, dove sono presentate schede di approfondimento, semplici e precise, dei principali protagonisti italiani della Performer Art. Una vera e propria mappatura della scena attuale.

Vitaldo Conte

Vitaldo Conte

Alla fine resta il rammarico di vedere un lavoro così importante e puntuale pubblicato solo grazie allo sforzo dei curatori stessi e dei sostenitori tramite il meccanismo del crowdfunding. Evidentemente nessun editore (d’arte) è più interessato ad una indagine slegata dal mondo mercantile imperante.

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